I Fantastici Quattro – Gli inizi *1/2
Immaginiamo di tornare indietro nel tempo a quel 24 aprile 2019 in cui usciva trionfalmente nelle sale di mezzo mondo Avengers Endgame, l’ultimo capitolo di una saga colossale iniziata un po’ in sordina con Iron Man undici anni prima e poi capace di imporsi come una macchina spettacolare senza confronti, almeno in termini di seguito internazionale.
Difficile credere allora che l’MCU sarebbe entrato in una lenta e dolorosa crisi di idee e di incassi, che si trascina da ormai sei anni e che ha caratterizzato tutta la Fase 4 e la Fase 5.
Kevin Feige, idolatrato campione del box office americano, capace di cedere lo scettro solo alle sporadiche sortite di James Cameron, sembra diventato ora un Re Mida al contrario. Sì, qualche film della Marvel ancora incassa tonnellate di dollari, come il demenziale Deadpool & Wolverine, ma si tratta ormai di eccezioni.
I Fantastici Quattro rappresenta per molti versi il tentativo di un nuovo inizio, primo capitolo di una Fase 6 che dovrebbe condurre a due nuovi film dei rinnovati Avengers, con i fratelli Russo richiamati in fretta e furia e con il ritorno di Robert Downey jr, in libera uscita dal ruolo di Tony Stark, come dalla sua pensione dorata, allietata dall’Oscar conquistato per il primo film in cui è sembrato davvero tornare a recitare, dopo vent’anni in cui carisma e sbruffoneria sono stati sufficienti.
L’azzardo di Feige, bisogna essere sinceri, è di quelli da far tremare i polsi: nessun supereroe in calzamaglia ha avuto un destino cinematografico più infelice dei personaggi creati da Kirby e Lee nella lontanissima America kennediana del 1961.
Feige ha pensato che, per allestire una commedia familiare che strizza l’occhio alle vecchie sit-com, nessuno fosse più adatto del losangelino Matt Shakman, regista di infiniti episodi tv, che già ci era riuscito con la serie Wandavision.
Allestito così un cast di attori in rampa di lancio istintivamente simpatici, affidata la sceneggiatura a otto mani diverse e immersi i personaggi in un universo che vorrebbe palesemente omaggiare Kirby, finendo per sembrare piuttosto una puntata di Cash or Trash, tra modernariato, stramberie kitch e anacronismi curiosi, Feige si deve essere convinto che il più era fatto.
Il film è pieno di citazioni, personaggi, madeleine per lettori storici del fumetto, contenti di ritrovarsi a proprio agio. Il world building è minuzioso, affettuoso e appagante per chi lo sa riconoscere.
Poi rimane il film. E in effetti, ambientato in un multiverso alternativo chiamato Terra-828, che sembra il sogno bagnato di Bernie Sanders, il film scorre senza scosse tra uno sbadiglio e l’altro per due ore, in cui i quattro astronauti tornati dallo spazio con poteri sovrannaturali, sono chiamati a proteggere il loro mondo dall’appetito di Galactus, un gigantesco tiranno che attraversa l’universo mangiando letteralmente i pianeti, per saziare la sua fame atavica.
Ad annunciarlo c’è una Silver Surfer che non spaventa nessuno e attrae invece l’attenzione di Johnny Storm, ovvero la Torcia Umana.
Galactus, per risparmiare la Terra, vuole il figlio che la Donna Invisibile porta in grembo, che dovrebbe avere il potere di placare la sua fame.
Ovviamente i quattro rifiutano lo scambio e si preparano a resistere.
La storia è davvero tutta qui. E i personaggi sono figurine bidimensionali che farebbero arrossire Lee, se fosse ancora in giro…
Pedro Pascal, al suo settimo film in due anni, deve essere un po’ confuso in questo periodo e, per non sbagliare, ha deciso di mantenere la stessa unica espressione contrita per tutto il film. Lo segnaliamo volentieri alla giuria dei Razzie per i premi di fine anno.
Vanessa Kirby è costretta ancora una volta a partorire sullo schermo dopo Pieces of a Woman e poi addirittura a risorgere per mano della sua stessa creatura.
E’ troppo anche per lei…
Su La Cosa c’è poco da dire, siamo nel campo dell’animazione e il povero Ebon Moss-Bachrach ha giusto un paio di brevi flash del passato in cui può mostrare il suo volto.
Lo stesso si può dire di Julia Garner, coperta d’argento come una band girl e costretta ad andare in giro su un ridicolo surf per tutto il film.
L’unico che sembra crederci davvero è Joseph Quinn che dopo Stranger Things sta cercando di costruirsi una discreta carriera tra cinema e tv e sarà George Harrison nel prossimo film dei Beatles di Sam Mendes. Peccato che in questi Fantastici 4 due terzi delle sue battute le scambi con la CGI di La Cosa e Silver Surfer.
Abituato al nulla che la Marvel gli ha propinato per anni, il pubblico potrebbe anche gradire: e l’atmosfera da negozio di modernariato potrebbe sembrare anche una novità.
Un consiglio spassionato: se proprio volete vedere una famiglia di supereroi, recuperate le due avventure de Gli Incredibili di Brad Bird. E’ sempre della famiglia Disney, ma almeno ci trovate il cinema… e la vita.
Desolante.
P.S. Forse abbiamo ecceduto in sarcasmo e ironia. Ci perdonerete. Come diceva il grande Morando Morandini, un buon critico deve avere una cattiveria militante…
