Se pensate che la pasticceria possa essere considerata una branca dell’architettura andrete d’accordo con Carême, il protagonista dell’omonima serie scritta da Ian Kelly e da Davide Serino. Kelly, oltre a essere un attore, è anche autore di biografie di personaggi storici e proprio dal suo libro Cooking for Kings: The Life of Antonin Carême, The First Celebrity Chef è tratta la produzione AppleTv+. Più noto al pubblico di casa nostra è Serino, sceneggiatore di Esterno Notte di Marco Bellocchio, grazie al quale si guadagnato una nomination al David di Donatello e coautore, con Antonio Scurati e Antonio Bises, di M – Il Figlio del secolo.
Nel primo episodio Carême, interpretato da Benjamin Voisin (Estate ’85, Illusioni perdute), salva la vita a Napoleone Bonaparte. No, non ci troviamo sui campi di battaglia e non si tratta di un episodio particolarmente edificante della biografia del futuro imperatore, all’epoca (siamo nel 1803) primo console. Napoleone è colpito da un serio attacco epilettico mentre è tra le braccia di una prostituta. Il giovane Marie-Antoine lo “cura” attraverso una mistura segreta.
Carême era un pasticcere, un cuoco, un leader autorevole e autoritario tra i fornelli, ma anche un esteta, un amatore, un conoscitore dei corpi (soprattutto femminili) e un edonista istintivo, in un’accezione più pratica che filosofica. Carême sa che dalla natura, pianta o animale che sia, si può ottenere tutto, guarigione, piacere e vita. Dalla natura all’istinto il passo è breve e all’istinto, come è noto, non si comanda.
La serie ha un lato erotico esplicito che ci viene proposto senza troppe mediazioni. Carême ha un’amante, Henriette, interpretata da Lyna Khoudri (Premio César per Non conosci Papicha). Entrambi sono figli di nessuno. Henriette porta con sé segreti dolorosi, rivelati con sofferenza a Carême solo per fargli comprendere le ragioni di un comportamento all’apparenza ambiguo. Antonin, dal canto suo, può contare su un padre adottivo, che però al suo rifiuto di lavorare per Bonaparte è tradotto in carcere, dove morirà.
Amarsi significa farlo fino in fondo, carnalmente, dove l’incontro dei corpi è, essenzialmente, scoperta dell’altro. Ma l’amore, il sesso, è anche strumento di procreazione. Con l’irruzione nella storia di Giuseppina di Beauharnais, prima moglie di Napoleone, s’impone il tema della discendenza. Josephine fu infatti ripudiata non a causa della condotta dissoluta (rappresentata nella serie con dovizia quasi aneddotica), ma per l’impossibilità di dare al marito un erede.
Carême è un dramma politico a tinte forti. La messa in scena è fastosa. La serie ci proietta nella Francia “pacificata” da Napoleone, in realtà ancora percorsa da opposte tensioni. Neogiacobini e sostenitori del ritorno dei Borboni minacciano i precari equilibri politici raggiunti dopo il colpo di Stato del 18 Brumaio (novembre 1799), che chiude l’epoca rivoluzionaria per aprirne una nuova. La Francia vuole qualcosa di durevole, recita un manifesto affisso a Parigi qualche giorno dopo l’avvento dei consoli provvisori della Repubblica, l’instabilità l’ha rovinata, quindi è la saldezza di governo che essa invoca.
Negli anni di Carême, Napoleone è un sovrano in attesa di corona. Per la borghesia, terrorizzata dallo spauracchio di nuovi stravolgimenti rivoluzionari, l’auspicata pace sociale passa dal consolidamento del potere nelle mani di uno solo. Chi, se non Napoleone, è l’uomo forte in grado di preservare l’unità della nazione e codificare le conquiste dell’epoca appena trascorsa? Nel quarto episodio assistiamo a una missione voluta da Talleyrand, uno dei politici più ambigui della storia di Francia, per convincere Luigi XVIII a rinunciare al trono. Fouché, il brutale ministro della polizia, fa saltare tutto perché, nella cornice di un ragionamento che sarebbe piaciuto a Foucault, solo il caos giustifica l’esercizio della repressione.
Carême racconta l’impossibilità, per i potenti, di rinunciare all’esercizio di un qualsivoglia ruolo nella terribile commedia umana. Ognuno, a modo suo, desidera contare. L’ex vescovo Talleyrand, di orientamento liberale, è un personaggio centrale della serie. Uomo dalla biografia politica sconfinata, segnata da equivoci e comodi adeguamenti (“mi definite banderuola ma è il vento a cambiare”), in Carême si distingue per il noto cinismo. Talleyrand non esita ad assumere il giovane cuoco alla sua corte e lo costringe ad impegnarsi in missioni rischiose, compreso il tentativo (fallito) di assassinare Napoleone, con la promessa di intercedere presso Fouché al fine di liberare il padre adottivo.
Di ritorno dall’America, dove era stato esiliato, Talleyrand scrisse che la Parigi costituzionale era assai diversa da quella rivoluzionaria. Notò come i balli, gli spettacoli e i fuochi d’artificio avessero sostituito le prigioni e i comitati. E poi, sempre nella stessa lettera indirizzata a un amico rimasto oltreoceano, ebbe l’intuizione su quale fosse l’unico, solido elemento di continuità tra l’Ancien Regime e l’epoca successiva al Terrore: il ritorno delle donne al centro della scena politica. Certo, notava Talleyrand, le dame di corte sono scomparse, eppure le mogli dei borghesi ne hanno preso il posto, ripristinando il libertinismo, un approccio al mondo maschile, ovvero al potere, condannato e soppresso dal puritanesimo rivoluzionario.
È esattamente quanto vediamo in Carême. La principessa Grand, amante di Talleyrand, si distingue per dissolutezza. Josephine, regina in pectore con un triste futuro davanti a sé, è posseduta da un solo pensiero. Henriette ama concedersi. La donna seduce, usa il corpo e fagocita il malcapitato di turno nella sua rete, per esserne, a sua volta, fagocitata (emblematico l’episodio della ghiacciaia). Ma non è solo trucco e finzione. La serie esalta il sesso come possibilità di espressione personale, autentico canale di relazione e apertura verso il futuro. La storia tra Carême e Henriette è sincera nel suo essere, prima di tutto, appassionata. Il piacere è la dimensione privilegiata dell’esistenza e rende possibili nuovi capitoli della storia umana.
La disinvoltura femminile, in primis nell’ambito dei costumi sessuali, è spesso un calcolo in cui i costi sono soppesati e messi in relazione ai vantaggi attesi. Il libertinismo è un’azione consapevole. L’ingordigia di mariti e amanti crea il contesto perché certi comportamenti moralmente disdicevoli risultino necessari e quindi assorbiti nel linguaggio del potere dell’epoca. Le donne comprendono, anche più della controparte maschile, che la politica è una tessitura di rapporti. Con la seduzione, la preda si fa predatrice. Segreti, macchinazioni, tranelli, missioni segrete: le donne partecipano al gran ballo della menzogna apparecchiato dagli uomini, sfruttando, talvolta per bisogno, in altri casi con spontaneo moto di intelligenza, le armi a disposizione.
Il giovane Antoine comprende che il cibo può essere un’arma. Le pietanze, sofisticate, ingegnose, innovative, sono i grimaldelli per scardinare i salotti buoni di Parigi. L’ingrediente nascosto in ogni ricetta, come qualcuno intuisce, è lo stesso Carême. Nel primo episodio il suo fantasmagorico dolce a forma di piramide, evocativo della campagna d’Egitto e richiesto, non senza una buona dose di insolenza, dal primo console in persona, provoca un mezzo scontro diplomatico tra il governo francese e il console inglese invitato per cena. Il ragazzo geniale interviene per sgonfiare il caso, fornendo a tavola un’interpretazione ruffiana di quel piatto potenzialmente incendiario.
Nella cucina convergono sensazioni, storia e cultura. Quando Antoine va in Polonia, portando con sé meravigliose conserve riversate in boccacci di vetro (oggetto di boicottaggio), è convinto di ammaliare Luigi XVIII evocando, ad arte, reminiscenze d’infanzia. Sono sufficienti una manciata di patate ben insaporite a suscitare nel Borbone esiliato un ricordo accostabile, ante litteram, al meccanismo psicologico della madelaine proustiana. In quella ricetta, all’apparenza semplice e contadina, sostiene Carême, c’è il sapore della Francia. Vero o falso che sia, il cuoco sa incantare i propri clienti. Le parole stesse, condite da un pizzico di inevitabile retorica, si prestano a farsi veicolo di sensazioni tattili. Il piacere non può prescindere da una mente appagata, degna complice di un corpo rifocillato e saziato.
Fouché è un personaggio negativo, un villain cartoonesco che non si vergogna delle proprie imprese passate. Anzi, il capo della polizia si appunta sul petto la medaglia al merito della carneficina dei rivoltosi (“sono il macellaio di Lione”). Fouché, voluto dall’uomo forte del Direttorio, Barras, poche settimane prima di Brumaio, era stato un terrorista deviato e corrotto. Notoriamente, vi fu chi abusò dei principi rivoluzionari per esercitare poteri assoluti, soprattutto nelle periferie legate al vecchio regime. I proconsoli, tra cui Fouché, si macchiarono di gravi crimini. Dopo il fallimento dell’insurrezione federalista del 1793 centinaia di lionesi furono massacrati e la città ribelle parzialmente demolita. “Avevamo tutto da guadagnare, da disfare e da rifare”, avrebbe poi detto di quel periodo. Successivamente il terrorista Fouché, ormai screditato agli occhi di Robespierre, fu il primo a diffondere la parola d’ordine “abbasso il tiranno” nella speranza di un cambio di potere che gli evitasse una rischiosa resa dei conti.
Negli anni di Carême, Fouché è un servitore o meglio un costruttore del nuovo ordine, un assassino graziato dalla politica che punta alla conservazione dello status quo. Per Fouché ogni mezzo è lecito, compresa la menzogna, la tortura e la falsificazione di lettere (si vanta di possedere i timbri di tutti i reali d’Europa…)
Non mancano momenti ironici. Ad esempio, scopriamo che la storia di Francia deve molto al pollo “alla marengo”… Nell’episodio della gara culinaria, l’appuntamento annuale con l’Almanacco dei golosi organizzato da Talleyrand, Josephine decreta che la palma della vittoria andrà a quel cuoco perfettamente in linea con i gusti dell’illustre consorte, minacciando ritorsioni nei confronti dei giurati disobbedienti. Agathe, la vera vincitrice del concorso per aver prestato le mani al padre infortunato, è una pupilla di Carême, amica, amante e rivale, l’unica donna a condurre il gioco quando stanno insieme. Agathe è una donna gelosa della propria libertà, lontana dagli intrighi e consapevole di poter diventare una grande chef.
In Carême nessuno aspira alla bontà, nessuno è irrimediabilmente cattivo. Ogni manicheismo è messo da parte in nome di una definizione chiaroscurale dei personaggi. La logica della sopravvivenza, politica, fisica o anche entrambe, prevale su altre considerazioni. Si è costretti a mentire, a fuggire, a giocare col fuoco.
Il racconto mira a colpire l’immaginario con precise ricostruzioni della Parigi di allora, brulicante di paure diffuse. Le attese di molti saranno presto esaudite: l’Impero, sancito nel 1804, è a un passo. Gli interni sfarzosi sono luoghi popolati da un vitalismo sfrenato, dove l’erotismo confina con la violenza. L’estetica vira su un registro contemporaneo, quasi punk-rock, basti vedere gli abiti, i tagli e le acconciature ardite. L’epica post-rivoluzionaria non ne esce falsata. Carême non vuole essere una ricostruzione fedele del periodo. Semmai, il carisma e le vicissitudini reali del protagonista rischiano di essere schiacciate sotto la lente di un maledettismo da manuale, si potrebbe dire programmatico, che, alla lunga, mostra la corda. Bravissimi comunque gli attori. Oltre a quelli citati, da ricordare Jéremié Renier (Talleyrand), Micha Lescot (Fouché), Alice Da Luz (Agathe) e Maud Wyler (Josephine).
Triste nota biografica: nonostante abbia lavorato per Principi, Re, Zar, Imperatori e il barone de Rothschild sia stato il suo ultimo grande anfitrione, Antonin Carême, probabilmente il primo cuoco moderno della storia, morirà in povertà all’età di 49 anni.
Titolo originale: Carême
Numero di episodi: 8
Durata: 45-60 minuti ciascuno
Distribuzione: AppleTv+
Uscita in Italia: 30 aprile – 11 giugno 2025
Genere: Political thriller, spy, historical drama.
Consigliato a chi: vorrebbe essere incoronato re della propria cucina, conosce il segreto delle feste ben riuscite, diffida da chi gli chiede: mancino o destrorso?
Sconsigliato a chi: associa il tempo a una ghigliottina, non ha mai sopportato il famoso gioco con i bigliettini in testa, rimpiange i matrimoni combinati.
Visioni e letture parallele:
Il film ispirato alla biografia della chef personale di Mitterand: La cuoca del presidente (2012), disponibile su Prime Video.
A cura di Massimo Montanari: Cucina politica. Il linguaggio del cibo fra pratiche sociali e rappresentazioni ideologiche, Editori Laterza.
Una citazione: “Avevo l’eccellente abitudine di annotare, la sera, rientrando a casa, le modifiche che avevo apportato al mio lavoro in cui ogni giorno operavo qualche cambiamento. La penna in mano, registravo le ragioni che avevano determinato la mia mente” (Dall’appendice di: Marie Antoine Carême, L’arte della cucina francese nel XVIII secolo. Trattato elementare e pratico, Mattioli 1885).

