Scritto dal redivivo David Koepp, firma dei maggiori franchise degli anni ’90 (Jurassic Park, Mission: Impossible, Spider-Man), Presence è il trentacinquesimo film di Steven Soderbergh in una carriera lunga esattamente trentacinque anni, a partire dal seminale Sesso, bugie & videotape del 1989.
Nella ricchissima filmografia del regista di Atlanta, occupa lo spazio dedicato ai suoi lavori più sperimentali e teorici, un piccolo trattato di messa in scena che sembra all’inizio solo un artificio retorico originale e che pian piano invece mostra di avere altre frecce al suo arco, soprattutto dal punto di vista narrativo e ideologico.
Presence è curiosamente affine a Here diretto Robert Zemeckis, un altro regista capace di giocare con gli strumenti del cinema, cercando di spostare i confini della rappresentazione del reale, senza dimenticare mai la dimensione emotiva.
In entrambi i film l’elemento centrale è una casa nei sobborghi, una villetta in questo caso a due piani, che vediamo vuota nell’incipit, sul punto di essere affittata dalla famiglia di Chloe Payne, un’adolescente che ha appena perduto una delle sue migliori amiche per una presunta e chiacchierata overdose.
Apparentemente chiusa in se stessa, Chloe passa le sue giornate in camera, tra la preoccupazione del padre, l’indifferenza della madre e le ironie del fratello Tyler, convinto che la sua apatia sia dovuta all’erba che fuma.
Pian piano Chloe trova conforto nella vicinanza con Ryan, un amico del fratello, che la rifornisce di marijuana e diventa il suo confidente e poi qualcosa di più.
Chloe sempre più spesso sente nella sua stanza una “presenza” che la osserva, le sposta i libri, le chiude le porte: i genitori sono increduli e diffidenti, fino a che un piccolo tornado inspiegabile devasta la stanza di Tyler.
La visita di una medium serve solo a confermare i sospetti di Chloe che riesce a sentirla meglio degli altri proprio a causa del trauma che ha subito.
Quando i genitori di Chloe sono fuori casa per un weekend, Ryan approfitta della situazione e mostra le sue vere intenzioni, ma non ha fatto i conti con la “presenza” che abita la villa dei Payne.
Il film è raccontato interamente dal punto di vista della “presenza” in un tour de force visivo in cui la soggettiva grandangolare è l’unica forma narrativa consentita. Soderbergh usa continue ellissi con dissolvenze al nero ma non altera la scansione temporale, accentuando invece la dimensione sinistra del film, senza mai rispondere agli interrogativi più elementari: chi è il fantasma che abita a casa dei Payne? perché protegge Chloe? è forse l’amica recentemente scomparsa? perché sembra quasi intrappolata nell’abitazione?
Il copione di Koepp rielabora creativamente il tema dell’abuso e della tossicità delle relazioni adolescenziali, in maniera intelligente, come faceva L’uomo invisibile di Leigh Whannell, affidandosi ad una prospettiva di genere.
Presence acquista senso nel finale, quando gli elementi in gioco chiariscono la posta in palio e quando l’artificiosità della messa in scena è funzionale allo sviluppo narrativo.
La dimensione puramente di genere e il cliché della casa infestata, consentono a Koepp di disseminare indizi nel corso del film, che la narrazione debole sembra lasciar cadere in modo distratto e che invece acquistano rilevanza solo nell’ultimo atto.
Koepp aveva scritto per Soderbergh anche Kimi, un film in cui la protagonista in pieno COVID sembrava incapace di uscire dalla propria abitazione, così come Panic Room per Fincher, con madre e figlia costrette a subire le conseguenze di una home invasion da parte di una banda di ladri.
E’ piuttosto evidente che Presence sia il terzo capitolo di una ideale trilogia claustrofobica sugli spazi familiari.
Soderbergh si dimostra ancora una volta un regista-teorico, un autore capace di ragionare intelligentemente sui generi e le forme di sguardo, spiazzando le attese, forzando le sue scelte, con una radicalità che lascia ammirati.
Il fatto che sia lui stesso l’operatore, il direttore della fotografia e il montatore dei suoi film, in questo caso sembra amplificare i motivi dell’operazione. E’ come se avesse portato tutti i suoi pseudonimi direttamente sullo schermo, assieme ai fantasmi del cinema amato.
La “presenza” invisibile sulla scena è proprio quella del regista, lo sguardo attraverso cui ci viene raccontata la storia dei Payne è il suo.
E così mentre la tensione si insinua lentamente nelle maglie del film, non possiamo non riconoscere la natura personale di Presence e il suo spirito compassionevole e umanista.
Curiosamente, proprio come accede in Here, la macchina da presa si libera dalla cattività dello spazio in cui è costretta per tutto il film proprio nel finale, uscendo finalmente all’esterno e allontanandosi verso un altrove che qui appare ancora più ignoto.
In Italia con Lucky Red.
Anteprime il 23, 24 e 27 giugno. Nelle sale dal 24 luglio.


Ottimo! 😊