Quando il 4 dicembre del 2011 debutta su Channel 4 in Inghilterra la mini-serie in tre puntate ideata da Charlie Brooker come monito all’invasività sempre più pericolosa della tecnologia nelle nostre vite, l’attenzione e lo scandalo sono enormi.
The National Anthem è già il vertice e la sintesi di Black Mirror: l’idea che il Primo Ministro inglese sia costretto in diretta televisiva ad avere un rapporto sessuale con maiale, come riscatto per la liberazione della principessa sequestrata da un misterioso rapitore è un paradosso talmente estremo e scioccante della dipendenza della politica dal consenso e dalle manipolazioni degli eventi reali, che coglie in pieno lo humor nero e la natura moralista del lavoro di Brooker, la sua vena provocatoria e il carattere distopico delle sue intenzioni.
Eppure in quella prima stagione, The Entire History of You e 15 Million Merits univano sapientemente alla dimensione satirica e sociale un lato più sentimentale, rivelando uno sguardo malinconico disilluso anche nei confronti delle relazioni umane.
Quello stesso sguardo che avrebbe trovato la sua manifestazione migliore in San Junipero, il quarto episodio della terza stagione, un’altra delle vette della serie e della serialità tutta dell’ultimo ventennio.
Il successo clamoroso delle prime stagioni e dello special natalizio con John Hamm spinge Netflix ad acquistarla, proponendo a Brooker un sorta di patto faustiano, con la moltiplicazione delle puntate, in una sorta di sfruttamento intensivo e fordista del suo talento: sedici episodi in appena tre anni, fortunatamente interrotti dal COVID.
Tra questi spicca Uss Callister, che apre la quarta stagione con il sinistro ritratto di un incel, programmatore di un notissimo gioco immersivo di Virtual Reality, nella cui versione privata ha intrappolato per sempre i cloni virtuali dei suoi colleghi d’ufficio, in una sorta di riedizione personale della serie spaziale amata da bambino.
Nel 2023 esce poi una debole sesta stagione che si apre con un episodio, Joan Is Awful, che sembra voler mettere alla berlina la pervasività delle piattaforme e la loro passione invasiva per il real time e il true crime.
Questa sesta stagione – nei suoi episodi migliori – sembra interamente attraversata dall’umanesimo di Brooker e dalla sua vena più intimista e sentimentale.
La stagione si apre con il notevole Common People, in cui una coppia piccolo borghese – Amanda e Mike – sono costretti ad affrontare l’imprevedibile e inoperabile malattia cerebrale che colpisce la protagonista durante una delle sue lezioni a scuola.
Solo una start up high-tech ha la possibilità di risolvere il danno, recuperando i ricordi e le capacità del lobo temporale che dovrà essere asportato e rimettendoli a disposizione del paziente in un cloud accessibile al prezzo di un abbonamento mensile.
Solo che con il passare dei mesi il costo dell’abbonamento sale vertiginosamente e le funzionalità ancora accessibili diminuiscono in modo drammatico, rendendo impossibile ad Amanda e Mike continuare la loro vita insieme.
Nel secondo episodio, Bête Noire, Brooker affronta il tema del bullismo scolastico e delle ripercussioni sulla psicologia della vittima, in un modo completamente imprevedibile, grazie anche al ritorno del computer quantistico che già era stato utilizzato in passato nella serie.
Hotel Reverie è un divertissement hollywoodiano: si immagina infatti che grazie ad un programma di intelligenza artificiale si possa inserire – letteralmente – un attore di oggi in un classico degli anni ’40, ricreando in diretta un film senza set, senza registi e sceneggiatori.
Solo che basta un caffé rovesciato su uno dei computer utilizzati dall’AI, per creare un cortocircuito spazio temporale che lascia le due protagoniste intrappolate nella realtà del set, mentre l’una e l’altra prendono coscienza di sé.
Il quarto episodio intitolato Plaything, sembra una sorta di cold case, ambientato nel 2034: quando lo strambo nerd Cameron Walker (il Peter Capaldi di Doctor Who) viene arrestato per taccheggio, il suo DNA viene ricollegato ad un vecchio irrisolto caso di omicidio. Will Poulter riprende il ruolo del programmatore di Bandersnatch e dieci anni dopo, nel 1994, affida al giovane Cameron, che scrive recensioni per la rivista PC Zone, la sua ultima creazione in anteprima, Thronglets, nel quale si simula la nascita di una vita digitale e la sua continua evoluzione esponenziale. Grazie all’LSD di uno spacciatore che capita per caso a casa sua, Cameron comincia a comunicare con i Throng, ne amplifica con continui update tecnologici la potenza, fino a impiantarsi una porta neuronale che gli consente di fondersi con le creature digitali. Il suo arresto non è altro che l’ultimo approdo di un piano che lo conduce al potere assoluto. L’intelligenza artificiale può generare rivoluzioni giacobine?
Il capolavoro della stagione è tuttavia il quinto episodio, Eulogy, scritto da Brooker con Ella Road e interpretato da un Paul Giamatti come sempre gigantesco.
Invecchiato e isolato dal mondo, Phillip viene contattato da una società chiamata Eulogy, che gli comunica la morte di Carol, una donna con cui aveva trascorso tre anni in gioventù e di cui non aveva più saputo nulla da moltissimo tempo. La società si occupa di ricreare dai veri ricordi delle persone care, un filmato che celebri le defunta. Per evocare la memoria di Carol, l’assistente vocale di Eulogy chiede a Philip di recuperare immagini del tempo, musica e di ricostruire un pezzo alla volta la loro vita assieme. Questo costringe Philip a fare i conti con i fantasmi del passato e con un trauma con cui non è forse mai venuto a patti.
La stagione di chiude quindi con il sequel di Uss Callister: Infinity, che riprende là dove avevamo abbandonato i protagonisti.
Robert Daly il programmatore di Infinity è morto e la società diretta dal CEO James Walton deve affrontare lo scandalo che un giornalista del NYT sta per denunciare: ovvero la creazione vietata per legge di cloni digitali che popolano il gioco. Per evitarlo, James, aiutato dalla programmatrice Nanette entrano in Infinity per trovare i cloni che viaggiano ancora sulla Callister dispersi nella nuova versione del gioco, cercando di sopravvivere online.
Al cuore di Infinity c’è qualcuno che lavora senza sosta per espandere il suo universo e il suo potere, con cui Nanette dovrà confrontarsi ancora una volta.
Black Mirror, nei suoi episodi migliori, ha saputo raccontare attraverso lo specchio della fantascienza, tutti i pericoli del nostro entusiasmo tecnologico, della nostra incoscienza di cittadini-utilizzatori-clienti, mostrando il lato oscuro di uno sviluppo accolto con troppa enfasi e poco equilibrio: la digitalizzazione senza limiti, l’iperconnessione, l’ascesa dei social e la loro influenza sulla nostra psicologia e sulla nostra reputazione, lo sfruttamento delle reti oscure per finalità criminali e terroristiche, la manipolazione genetica e il condizionamento psicologico delle multinazionali.
Nei suoi momenti più ispirati, come accade spesso alla fantascienza distopica, Black Mirror è stata capace di aggiornare le domande di sempre sulla nostra esistenza, sui limiti della nostra coscienza e sul potere della nostra conoscenza.
L’episodio più atteso di questa stagione era certamente l’ultimo, ma nonostante si siano messi in quattro a scriverlo – Brooker, Bisha K. Ali, William Bridges & Bekka Bowling – il risultato non aggiunge molto alle riflessioni già evidenti nel primo episodio, qui in realtà piuttosto annacquate dall’assenza di Robert Daly, il vero deus ex machina dell’originale e il personaggio chiave di un certo modo di vivere la propria incapacità di rapportarsi al mondo reale.
Nell’Inghilterra di Andrew Tate e di Adolescence, il sequel di Uss Callister rimane poco più che un divertissement, in cui la dimensione tossica di una certa cultura nerd e geek riemerge solo alla fine di un’avventura che si prolunga per 90 minuti.
Sul tema mi è parso molto più perturbante il quarto episodio, Plaything, in cui ritorna invece la figura dell’incel solitario, cospirazionista, chiuso nel mondo rappresentato dalle quattro mura della sua stanza, iperconnesso attraverso uno schermo ad una realtà reinterpretata secondo coordinate del tutto estranee a qualsiasi contesto sociale. Brooker non è stato mai tenero con la sottocultura dei digital games, ma questa volta sembra spingersi ancora un passo oltre.
I due episodi migliori restano quello d’apertura con Chris O’Dowd e Rashida Jones, che vedono la loro condizione personale e familiare scendere un gradino alla volta perso la povertà più insostenibile e che cercano di restare a galla barattando la propria dignità sino l’abiezione personale, e il penultimo in cui i rancori e i rimorsi di una vita intera si sono nutriti di incomprensioni, stupidità, tradimenti, casualità capaci di allontanare due persone che forse si sono continuate ad amare da lontano senza potersi più vedere.
Il sistema sanitario privatizzato, l’illusione della gratuità di servizi che dopo essersi resi indispensabili diventano sempre più costosi e invadenti, il degrado della classe media, le scorciatoie che la crudeltà online consente, ma che comportano sempre un prezzo anche quando non sembra: Common People è il Brooker più politico, osservatore della nostra realtà e censore radicale della pervasività disumana del capitalismo high-tech in cui il tuo dolore si può vendere per poco a degli sconosciuti.
In Eulogy invece la tecnologia è solo uno strumento, capace di aiutarci ricostruire à rebours, le tracce di un passato che abbiamo interpretato male e che ha deciso della nostra vita senza riuscissimo a comprenderlo davvero.
Si tratta di due episodi in cui prevalgono l’amarezza, la desolazione, il rimpianto per gli errori commessi e la consapevolezza di non averli potuti evitare.
Sono episodi che ci confermano la misura dell’umanesimo di Brooker, meno sulfureo e arrabbiato di un tempo, forse più disilluso.
In ogni caso, restano due gemme che brillano in una stagione complessivamente media, in cui il resto appare di puro contorno e che sembra rispondere più all’imperativo di Netflix a produrre bulimicamente, piuttosto che a una vera necessità narrativa.
TITOLO ORIGINALE: Black Mirror 7
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 46-90 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 6
DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix
GENERE: fantascienza distopica

