Landman: in origine era il petrolio

Landman ***

“We will drill, baby, drill!” (dal discorso d’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, 20 gennaio 2025).

Midland, Texas: polvere, sabbia e cieli infuocati. L’ambientazione di Landman, western contemporaneo firmato da Taylor Sheridan, è questa. Se lo schermo potesse restituirci anche l’odore, un qualche odore associato a ciò che vediamo, il nostro naso riconoscerebbe l’aroma bruciato e sgradevole del petrolio. Pozzi in attività da decenni, pozzi quasi esauriti in manutenzione, pozzi che esplodono. La vita nel Texas occidentale può essere un vero inferno. Trentacinque gradi all’ombra, serpenti a sonagli in agguato tra gli sterpi e… il rumore assordante di centinaia di pale eoliche, perché laggiù, nel profondo nulla, lontano dalla rete elettrica e dalla civiltà, gli impianti petroliferi necessitano di fonti di energia alternativa per funzionare. Il paradosso, per quanto incredibile, esplode con brutalità: il fossile ha bisogno del vento.

“L’industria del petrolio e del gas fa tre miliardi di dollari al giorno di profitto. Genera un fatturato di 4,3 trilioni all’anno. È la settima industria più grande al mondo, viene prima di quella alimentare, di quella automobilistica e dell’estrazione del carbone. Quella farmaceutica con 1,4 trilioni non è neanche nella top ten. Le industrie prima del petrolio e del gas dipendono totalmente dal petrolio e dal gas. E più loro crescono, più cresciamo noi. E può solo aumentare”.

La riflessione (come tutte quelle che seguiranno) è di Tommy Norris, interpretato dal solito, strabiliante Billy Bob Thornton. Tommy è il “landman” della MTex, formalmente un direttore generale, in pratica un segugio di terreni adatti allo scopo: trivellare, estrarre, vendere, guadagnare. Il suo lavoro non è esente da pericoli.

Perché nel primo episodio Tommy è in un hangar, incappucciato e legato a una sedia? Semplice. Per operare la MTex deve venire a patti, spesso e volentieri, con i narcotrafficanti messicani. Tommy sa come uscire vivo dalle brutte situazioni. Serve intelligenza, molto coraggio e soprattutto un intuito che si affina con l’esperienza. In fondo, le compagnie petrolifere e la mafia puntano entrambe alla massimizzazione del profitto, sebbene in settori molto diversi. La sopravvivenza ha l’aspetto di un accordo fragile e inevitabile (salvo far scoppiare una guerra al confine tra Stati Uniti e Messico), ovvero di una spartizione. Tommy, però, ha anche una vita privata. E questa, con i suoi alti e bassi, è parte integrante della storia.

Il figlio di Tommy, il giovane Cooper, è interpretato da Jacob Lofland (Mud, Maze Runner, Joker: Folie à Deux). Cooper ha una strana tendenza a infilarsi nelle situazioni pericolose. A un passo dalla laurea in economia, molla l’università per mettersi a fare l’operaio presso i campi petroliferi gestiti dalla MTex. Sporcarsi le mani, pensa Tommy, è un’introduzione alla professione più efficace dei libri. Il padre accetta la scelta a malincuore.

L’impatto di Cooper con la realtà è devastante. Le squadre sono formate da gente con la pelle dura. La solidarietà tra colleghi non è scontata e qualcuno esagera con la cattiveria. Gli incidenti sono frequenti. È possibile veder morire uomini che, fino a pochi secondi prima, commentavano l’ultima partita dei Dallas Cowboys, incuranti dei rischi del mestiere. Cooper scampa alla tragedia il secondo giorno di lavoro. I suoi compagni saltano in aria, complice una leggerezza. Le vittime appartengono tutti alla stessa famiglia. Messicani. Uno di loro lascia una moglie, Ariana. Di cui, fatalmente, Cooper si innamora.

“Ci sono due tipi di persone che lavorano nei campi, i sognatori e i perdenti. Prima era così per l’intera nazione. I falliti andavano a Ovest per morire o avere successo. Andavano fino in California. Ma là fuori non ci sono più sognatori, solo ladri o stupidi”.

Ainsley è la figlia diciassettenne di Tommy, in visita al padre approfittando dello spring break, le vacanze concesse agli studenti all’inizio di ogni primavera. Sprezzante della sensibilità, dell’anticonformismo e dell’intelligenza emotiva manifestata dal fratello Cooper, Ainsley, interpretata da Michelle Randolph (già diretta da Taylor Sheridan nella serie 1923), è il modello di ragazza americana bionda e fatua ai limiti dello stereotipo, avvenente quasi per diritto naturale e in grado di far girare la testa a chiunque. In fatto di relazioni, Ainsley propende nettamente per i giocatori di football, meglio se quarterback in ascesa e, in prospettiva, futuri campioni pieni di soldi. Tommy deve faticare, e non poco, per salvaguardare l’onore di sua figlia. In superficie tosta e volitiva, Ainsley è andata fino a Midland, dove è impossibile fare shopping, inseguendo un ricordo: la famiglia Norris prima della disgregazione, forse non felice, ma in qualche modo unita.

“Il primo divorzio è stato uno spasso, così vogliamo riprovarci”.

Cooper e Ainsley non sono gli unici ad essere attirati dal selvaggio Texas. Tommy aveva una moglie, Angela. Ricompare anche lei. Ed è un trauma per tutti. Ali Larter (Heroes, la saga di Resident Evil) infonde al suo personaggio un vitalismo pazzo e sciroccato da sexy eroina di fumetti e una quota extra di volgarità. Angela è un super concentrato di pensieri antifemministi (la donna perfetta si fa mantenere dal suo uomo in cambio di sesso a volontà, dice) che magicamente si conciliano con il salutismo spinto. L’ossessione per il fitness, lo step fatto in palestra per rassodare i fianchi e la battaglia contro il consumo massivo di cibi super processati fanno di Angela e di sua figlia Ainsley due aliene in terra texana. L’occhio di riguardo per la terza età, con i surreali annessi e connessi, tra festicciole alcoliche e gite al casinò, è la naturale prosecuzione, verrebbe da dire ideologica, della cancellazione del pensiero della morte (un orrore superato solo dalla povertà). Eppure, a Midland e dintorni si muore facilmente, anzi, la vera sfida è restare vivi.

Tra i grattacieli di Houston forse non si percepisce la reale durezza del Texas. Un ambiente naturalmente ostile chiede di adattarsi molto in fretta. Kayla Wallace (Quando chiama il cuore, Wingman) impersona Rebecca Falcone, avvocato fresca di studi. La giovane Rebecca sa bene che ogni mediazione deve essere spietata. Non a caso guadagna 900 dollari all’ora per appianare ogni possibile difficoltà derivante dal leasing delle terre. Il caso principale da risolvere… è più spinoso di una pianta del deserto. Un aereo di narcotrafficanti atterrato nel momento sbagliato, un incidente casuale che coinvolge un’autocisterna di una compagnia terza e un carico di droga andato letteralmente in fumo sono le fiches di una complicata partita a poker.

“Quel ragazzo ha qualcosa che non va. È attratto dai problemi come gli insetti dalla luce. Non è abbastanza cattivo per stare qui”.

In Landman si entra nei dettagli della burocrazia e nei gangli del sistema, laddove politica, industria e criminalità giungono a compromessi. Tre latinos morti sono una voce marginale nei bilanci di un’impresa petrolifera dai profitti immensi. Contro questa visione nichilistica, che l’avvocato Falcone incarna con puntiglio da vera iena, c’è Cooper e Cooper vuol dire amore, tenacia e speranza. Il confronto tra padre e figlio è il tema più interessante di Landman. Il ragazzo vuole costruire con Ariana qualcosa di importante, a costo di trovarsi a terra mezzo morto dopo un agguato. Per fortuna il politically correct è tenuto a bada e così gli operai messicani possono permettersi di essere brutti, sporchi e cattivi.

Vedere all’opera Jon Hamm (l’indimenticabile Don Draper di Mad Men) è sempre un piacere. Il suo personaggio, Monty Miller, è un titano dell’industria petrolifera del XXI secolo. A capo della Mtex, ricco sfondato, condivide con Tommy Norris un lungo percorso professionale. Monty è convinto che il fossile non sarà mai soppiantato dalle fonti alternative perché l’economia non potrà mai prescindere da quel motore delle cose chiamato petrolio. Ogni terreno ancora da trivellare (drill, baby, drill!) conferma questo assunto. È il mito della frontiera che si rinnova. Ovviamente si tratta, anche, di una forma di pensiero magico, un’illusione che governa con il pugno di ferro il nostro mondo. Giocare in un verde campo da golf in una terra arida: nessuna immagine potrebbe descrivere le assurdità del sistema con la medesima efficacia.

Le riunioni tra i tycoon del petrolio convalidano le convinzioni reciproche. Monty però è anche un uomo solo, sebbene abbia al suo fianco una donna premurosa (Demi Miller interpreta Cami, figura destinata, comunque, a restare in secondo piano). Dove sono i suoi figli? Quale eredità lascerà dietro di sé? Un tema non irrilevante è costituito dal binomio corpo-salute. Né Monty né Tommy sembrano riguardarsi granché. I due pacchetti al giorno fumati dal landman e il cuore malandato del leader rimandano allo stesso vizio. È come se l’immane sforzo per estrarre petrolio dal sottosuolo richieda un sacrificio non rinviabile in termini di benessere personale, forse la rinuncia stessa alla felicità. Questo senso di fatalismo, o meglio di dura necessità impermeabile ad altre istanze, pervade l’intera serie.

Quando Tommy invita sua moglie Angela a non aspettarsi gratificazioni per i piatti europei cucinati alla famiglia e alla crew (nella stessa casa pernottano anche un ingegnere, Dale, e un anziano avvocato, Nathan) non agisce con spirito negativo. Mette semplicemente Angela di fronte all’evidenza. Un uomo non può guidare per 900 chilometri nel deserto texano e poi dimenticare le angosce quotidiane grazie a un piatto di paella. C’è una distanza incolmabile, una dismisura, tra la sgradevolezza di giornate segnate dalla sofferenza fisica, nonché mentale (la visione di un collega schiacciato da una montagna di tubi, la resistenza esercitata davanti alle minacce di un tagliagole della mafia messicana…), e il piacere artificiale, anzi artificioso, di ricette “esotiche” impiattate a tavola per sfizio, alla vana ricerca di una normalità mai esistita.

Per scacciare le paure, nel loop immodificabile di una vita da cani, gli schiavi del petrolio si affidano alla forza del rito: spendere otto dollari per un caffè amaro servito all’alba da una cameriera in bikini o abbandonarsi, a pranzo, alla promessa di una coscia di pollo con contorno di purè e patatine. Toglieteci tutto, sembrano dire Tommy e i suoi operai, ma non le nostre consuetudini così semplici e basilari.

“Ciò che ci ucciderà è il fatto che il petrolio finirà prima di aver trovato un’alternativa”.

Infernale meccanismo di produzione retto da regole che sfuggono alla morale, tragica parodia della terra dell’abbondanza, teatro di presenze condannate a recitare un copione. È un realismo che sconcerta e ferisce, benché temperato dalla grottesca comicità delle parti femminili, perfette nelle loro funzione di disturbo… L’autore di Yellowstone e Wind River fissa la realtà dei nostri tempi, ovvero il mondo che non cessa di essere plasmato dal petrolio, senza cedere a finzioni o compromessi. È una piramide incapace di crollare. Alla base gli operai, spesso immigrati, poveri, brutalizzati. Al vertice i manager, ricchi, incravattati e corrotti. Con Landman, tratto da un podcast di Christian Wallace, Taylor Sheridan rappresenta un’America che non ha alcun desiderio di nascondere la spiacevole verità dei propri ingranaggi economici e sociali.

Titolo originale: Landman

Numero di episodi: 10

Durata: 45 – 60 minuti l’uno

Distribuzione: Paramount+

Uscita in Italia: 17 novembre 2024 – 12 gennaio 2025

Genere: Drama

Consigliato a chi: chiude a chiave la porta del bagno, diffida delle donne che sanno fare la spaccata.

Sconsigliato a chi: non ama i piatti piccanti, pensa che studiare la bibbia sia un passatempo innocente.

Visioni e letture parallele:

  • Sicario e Soldado, sceneggiati da Sheridan, sono disponibili su Prime Video.
  • Un documentario sulle trasformazioni della società e dell’ambiente dovute all’estrazione del petrolio: I sogni del lago salato di Andrea Segre. Disponibile su RaiPlay.
  • Un romanzo che inizia con un uomo caduto in mare da una piattaforma e continua con un viaggio fino alla fine del mondo… Dove arrivano le acque di Anja Kampmann, Keller, 2002.

Tommy e la definizione di sé: Divorziato, alcolizzato, indebitato fino al collo. E sono uno dei più fortunati.

E tu, cosa ne pensi?

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.