Lettere da un serial killer: il mistero Zodiac

Lettere da un serial killer ***

Il titolo originale, This is the Zodiac Speaking è molto eloquente nel definire i termini di questa docuserie in tre episodi trasmessa da Netflix: presentare materiale, in parte inedito, direttamente attribuibile a Zodiac, uno dei più famosi serial killer del mondo occidentale. A quest’uomo sono stati infatti attribuiti, prevalentemente nella seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso, almeno 5 omicidi, ma come spesso accade con i serial killer, il sospetto è che le vittime siano molte di più, superando la trentina: per lo più coppie di adolescenti o giovani adulti appartati in luoghi tranquilli per stare in intimità, uccisi con un’arma da fuoco, strangolati una della corda o accoltellati. L’autore di questi brutali omicidi se ne assunse la paternità con comunicazioni scritte ai principali quotidiani della California, firmandosi Zodiac e utilizzando codici cifrati, alcuni dei quali tradotti solo a distanza di decenni. Un uomo quindi con un quoziente intellettivo molto alto, un dissimulatore così cauto da non farsi mai catturare, pur continuando a tener desta l’attenzione dell’opinione pubblica sul proprio operato. La serie Netflix, basandosi sulle nuove rivelazioni della famiglia Seawater, identifica il killer con uno degli storici sospettati, Arthur Leigh Allen (1933-1992).

Il fatto che quest’uomo sia il killer dello zodiaco nasce non tanto da sue confessioni o comunicazioni dirette, come vorrebbe lasciar intendere il titolo, ma da prove che potremmo definire indiziarie, raccolte tramite interviste ai figli di Phyllis Seawater e tramite le lettere che Allen ha scritto alla donna, con cui ha intrattenuto una fitta corrispondenza epistolare. “Io e i miei fratelli lo chiamavamo Mr. Allen” esordiscono nel primo episodio, rivelando un’intimità affettiva che perdura a distanza di anni e che ora sembra loro, in particolare a Connie, di tradire. Dai ricordi dei Seawater emergono infatti una serie impressionante di coincidenze che si vanno ad incastrare con il profilo di un uomo disturbato (Allen sarà rinchiuso in un ospedale psichiatrico per molestie su minori), intelligente, dotato di capacità organizzative e visione strategica, manipolatore e narcisista. L’identikit perfetto per un serial killer: del resto Allen rappresentò per lungo tempo uno dei principali sospettati, ma le numerose perquisizioni non portarono mai a nulla di concreto. La serie si muove quindi sul binario dei ricordi dei figli di Phyllis: David, Connie e Don che hanno conosciuto Allen come insegnante alle scuole elementari, ma anche come accompagnatore in diverse escursioni estive, trascorrendo momenti piacevoli in compagnia di quest’uomo che di fatto è andato per loro a sostituire la figura paterna. Ciascuno dei tre racconta il suo particolare punto di vista: mettendoli insieme e confrontandoli con gli avvenimenti di quegli anni si ha la sensazione di scendere nelle profondità di una mente malata e terribilmente pericolosa. Ancora una volta però, ed è doveroso specificarlo, non ci sono elementi sostanziali e non è un caso che tra i molti investigatori amatoriali (un fenomeno particolarmente diffuso) che continuano ad occuparsi del caso, ci siano anche gruppi convinti della colpevolezza di altri sospettati, basandosi sul fatto che le impronte digitali e le perizie calligrafiche hanno sempre scagionato Allen.

La serie accompagna le rivelazioni della famiglia Seawater con il racconto e l’opinione di investigatori e giornalisti, tra cui anche Robert Graysmith, il vignettista già presente nel film Zodiac di Fincher e autore del libro Serial Killers and their victims che puntava direttamente sulla colpevolezza di Allen. A oltre 80 anni d’età, la testimonianza di Graysmith è non solo lucidissima, ma anche capace di farci rivivere il sapore del lavoro editoriale in una grande testata giornalistica, come il San Francisco Chronicle. La teoria di Graysmith sulla colpevolezza di Allen è anche alla base del film di Fincher: proprio la presenza di spezzoni del film è significativa di un accumulo video-narrativo in cui si sovrappongono elementi di finzione ad elementi reali, come l’intervista di una emittente locale negli anni ’90 ad Allen e i video amatoriali estivi degli anni ’60 in cui si vede Allen tuffarsi in piscina. L’accumulo visivo, il mix di rappresentazioni consente di far rivivere il protagonista e al contempo toglie alla figura del serial killer la sua aurea mostruosa. Ci troviamo infatti davanti ad un uomo corpulento, piuttosto goffo, amante dell’acqua e dei tuffi dal trampolino, appassionato di auto e motori, piuttosto solitario. Quando lo ritroviamo da anziano, vive in compagnia di un cane, cercando di far quadrare i conti per sostenere i costi della dialisi. Niente di mostruoso, ma piuttosto il racconto di un’esistenza come tante. La narrazione si sviluppa con un ritmo gradevole tra filmati d’epoca e ricostruzioni che trasmettono il senso di liberazione provato dai giovani ragazzi durante le gite estive compiute con quest’uomo, capace di portarli via, lontano dalla quotidianità. E’ una metafora potentissima: la fiducia degli innocenti riposta in qualcuno che la tradisce, che ne abusa e la sfrutta: che sia o meno il famigerato Zodicac, a distanza di anni Allen infatti avrebbe confessato telefonicamente a David di averli drogati e di aver abusato di Connie.

L’offerta di una fuga, di un tempo migliore, di una vita diversa finisce per rivelarsi una maschera dietro cui si nasconde una mente disturbata. Un segreto familiare basato su rimozione, superficialità e accondiscendenza da parte della madre, un dramma che segna il destino dei ragazzi nel sostanziale disinteresse delle figure genitoriali e della società. C’è molto del rapporto tra cittadino e istituzioni, c’è molto anche del rapporto tra giovani e figure genitoriali, c’è forse anche qualcosa del senso di perdita dell’innocenza di una nazione di cui ci ha raccontato, tra gli altri, Clint Eastwood nel suo capolavoro Mystic River. E’ in particolare Connie che, più degli altri fratelli, sembra aver negato per anni la vera natura delle attenzioni di Mr. Allen; mentre Dave si è portato dietro un pesante senso di inadeguatezza per non essere stato in grado di proteggerla.

La docuserie riesce indubbiamente a catturare l’attenzione dello spettatore, con un ottimo utilizzo dei video dell’epoca e un ricorso circoscritto alle ricostruzioni d’ambiente che sono ben inserite nel contesto narrativo. Sebbene gli omicidi siano descritti nei primi minuti del primo episodio, la storia dell’indagine mantiene alto il ritmo per arrivare nel terzo episodio ad un paio di colpi di scena d’impatto. Non sono però sufficienti: rimane nello spettatore un senso di insoddisfazione: non ci sono rivelazioni davvero decisive e anche quanto contenuto nel box lasciato, per cosi dire, in eredità da Phyllis ai figli, con la richiesta esplicita di accedervi solo dopo la sua morte, finisce per non offrire certezze sulla colpevolezza (o sull’innocenza) di Mr. Allen.

Con una narrazione compatta in tre episodi, seguendo un modello reso canonico dalle molte produzioni del genere targate Netflix, la serie è di fatto un intenso dramma familiare, che si sovrappone alle vicende del serial killer e delle persone che hanno lavorato a più riprese sul suo caso. This is the Zodiac Speaking forse non porta elementi decisivi a supporto della colpevolezza di Allen, ma da un lato aggiunge ulteriori elementi ad un quadro accusatorio già piuttosto ricco e dall’altro spalanca comunque abissi sul buio che si annida nell’animo umano e sui meccanismi che spesso adottiamo per sopravvivere.

TITOLO ORIGINALE: This is the Zodiac Speaking

DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 47 minuti

NUMERO DEGLI EPISODI: 3

DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix

GENERE: True crime, Documentary.

CONSIGLIATO: a quanti sono interessati a ricostruire la vicenda del killer dello zodiaco a livello sociale, comprendendo meglio l’impatto sulla società americana del tempo.

SCONSIGLIATO: a quanti si aspettano una risposta definitiva o non discutibile sul nominativo del killer: alla fine la serie non ha rivelazioni straordinarie ed esaustive, ma piuttosto carica il profilo del principale sospettato di ulteriori elementi indiziari.

VISIONI PARALLELE: The Zodiac (2007) realizzato da David Fincher con Robert Downey Jr. e Jake Gyllenhaal. Un film che lascia aperte diverse strade, ma che punta, proprio come la serie, a fornire una pista razionalmente praticabile. Gli omicidi occupano la parte iniziale del racconto che finisce per soffermarsi soprattutto sulle indagini e quindi a muoversi maggiormente nel campo della detection che in quello del thriller o del crime. E’ un film che contiene in nuce lo spirito con cui Fincher andrà a produrre Mindhunter (2017-2019), una pietra miliare della serialità crime investigation.

UN’IMMAGINE: la foto di Mr Allen con la tuta impermeabile che si è costruito da solo. L’accostamento tra il cappuccio della muta e quello utilizzato da Zodiac mette i brividi, soprattutto per l’associazione tra un momento apparentemente ludico e spensierato e un elemento successivamente utilizzato per compiere un terribile omicidio. La fragilità del confine tra momenti piacevoli e violenti è un tratto comune a molti serial killer, ma l’oggettivazione di questa fragile separazione in un singolo oggetto, in un capo di abbigliamento realizzato con l’aiuto di bambini, lascia gli spettatori annichiliti.

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