The Penguin: personaggi complessi e travagliati in una serie gangster più psicologica che adrenalinica

The Penguin ***1/2

The Penguin è un racconto emblematico della nostra serialità televisiva. Al centro c’è un personaggio che più grigio non si può. Un tempo grigio voleva dire esprimere un parere negativo su qualcosa di indefinito che mancava della chiarezza del bianco e non raggiungeva l’oscura totalità del nero. I personaggi cool erano altri, quelli che si ponevano chiaramente nell’orizzonte tonale di una delle due polarità, ad esempio Darth Vader o Yoda di Star Wars. Oggi le sfumature del grigio sono invece particolarmente apprezzate perché esprimono al meglio la complessità e l’ambiguità. Nel sesto episodio Eve (Carmen Ejogo), parlando con Sofia (Cristin Milioti), la rimprovera perché può permettersi di vedere il mondo in bianco e nero, grazie alla sua educazione e al suo benessere economico. Lei, come il Pinguino (Colin Farrell), si muovono invece sempre tra i due colori, in quelle sfumature di grigio che tanto affascinano la nostra società contemporanea. Il protagonista, Osvald “Oz” Cobb, soprannominato The Penguin per l’andatura ondeggiante causata da una malformazione del piede, esprime al meglio queste sfaccettature in tutte le sue forme e manifestazioni. I sentimenti che prova, per quanto profondi, lasciano trasparire sempre una base cromatica ambigua: l’affetto è, per così dire, sporcato dal narcisistico desiderio di riconoscenza (Victor) o dall’esclusività morbosa (la madre Francis) mentre l’odio per i potenti è temperato da un affettato senso di rivalsa sociale.

La trama mette al centro proprio Oz: possiamo velocemente sintetizzarla nella sua scalata al potere, favorita dal vuoto derivante dalla scomparsa di Carmine Falcone a cui abbiamo assistito nel finale di The Batman (2022) di cui la serie è uno spin off. La scalata del Pinguino porta con sé dolore e abbandono, in un progressivo allontanamento dalla società che passa attraverso la scelta di utilizzare l’ex galleria dei trasporti metropolitani di Gotham come base delle sue attività illegali per arrivare al finale, tutt’altro che catartico. La rete di gallerie abbandonate era stata per Oz un luogo di esplorazione durante la pre-adolescenza, quando con i fratelli vi giocava a nascondino. Questo almeno è quanto racconta il Pinguino a Vic, perché poi scopriamo che in realtà quei sotterranei sono stati il luogo di una prima drammatica manifestazione dell’indole criminale del personaggio. Affascinati dal suo passato, proprio come Sofia, tendiamo a credere alla sua capacità affabulatoria, per poi scoprire che le sue parole vengono sistematicamente confutate dal prosieguo degli eventi. Il personaggio, interpretato magistralmente da Colin Farrell, in ogni caso è qualcosa di più di un delinquente sociopatico: in lui si respira quel desiderio di affermazione e di rivalsa tipicamente americano, nutrito da una volontà che nemmeno la natura, con la ben nota menomazione, è riuscita a fiaccare. Intelligente, ironico, coraggioso, capace di leggere le emozioni degli interlocutori: The Penguin è anche questo. Premuroso, attento ai dettagli, capace di creare identità: in lui c’è la stoffa del grande imprenditore che partendo dal nulla riesce a creare una dinastia di successo. Avrebbe potuto essere questo. Un pensiero fugace, proprio come la sensazione di pace che Oz prova guardando l’alba sorgere su Gotham, perché subito dopo ci troviamo immersi nella violenza, nell’ambiguità, nell’utilizzo della retorica per plagiare e irretire. Oz appare come una sottile copertura trasparente di affabilità sotto cui si apre un abisso di malvagità.

Nella sua scalata, The Pinguin si trova a combattere con diversi nemici, ma, tra tutti, quello che svolge la funzione di antagonista e che conquista lo spettatore per complessità drammatica è certamente il personaggio di Sofia Falcone, fatta incarcerare dal padre Carmine ad Arkham, il terribile manicomio di Gotham. Sofia ne esce miracolosamente (in realtà non è chiarissimo come abbia fatto ad essere rilasciata dopo dieci anni) e intende far sentire la propria voce all’interno della Famiglia. Una famiglia che non solo l’ha abbandonata, ma, seguendo gli ordini del padre Carmine, le ha anche attribuito i suoi omicidi. Sofia decide, dopo la morte dell’amato fratello Alberto, l’unico a starle vicino nei mesi di reclusione, di non voler più far parte di questa famiglia e con un colpo di teatro altamente drammatico, non solo ne elimina i vertici, ma, assunto il potere, ne cambia il nome, riprendendo quello della madre: Gigante. Fonda quindi una nuova famiglia, la sua famiglia. I Gigante possono quindi superare la tradizionale contrapposizione con i Maroni, guidati da Salvatore Maroni (Clancy Brown) e così controllare il traffico di droga in tutta la città. Dopo aver eliminato il Pinguino, naturalmente.

Come si evince da questo mio scarno riassunto, la trama criminale non è particolarmente complessa: è giocata sulle personalità più che sull’intreccio. Non c’è nulla della complessità e della profondità di analisi sociale dei gangster di Peaky Blinders e nemmeno della tensione drammatica di altre serie come Godfather of Harlem. E’ tutto sulle spalle dei personaggi che, per fortuna, riescono a reggere il peso del racconto grazie ad una scrittura efficace e ad interpretazioni di grande livello. Quando però si creano dei vuoti, nei momenti di attesa e di passaggio, la leggerezza della parte criminale indebolisce il piacere della visione.

La serie TV, ideata e sceneggiata da Lauren LeFranc (Chuck e Agents of SHIELD), è ambientata una settimana dopo l’alluvione con cui si è concluso il film The Batman (2022) di Matt Reeves e costituisce il collegamento con The Batman – Parte II in uscita nel 2026. Anche questo è un segnale chiaro dei tempi e della complessità narrativa, stratificata e ramificata, in cui ci troviamo letteralmente invischiati. Al di là dei dialoghi, di buon ritmo e non banali, la serie ha il suo punto di forza nelle qualità tecniche, in particolare nella splendida fotografia che rende Gotham una città livida, buia e senza speranza di redenzione. La mancanza di luce, esterna come interna (l’energia elettrica manca nei quartieri più poveri della città) possiede naturalmente anche un forte valore simbolico: tra scene notturne, case senza elettricità, esterni plumbei e piovosi, attività illegali svolte in caverne sotterranee possiamo davvero descrivere la serie come uno sfondo nero su cui si muovono le pallide ombre grigie di Oz e Sofia. Colin Farrell nei panni di Oz si candida per vincere l’Emmy, grazie ad una interpretazione davvero notevole, capace di dar corpo ad un personaggio che rimane nella mente dello spettatore. La sua performance è strepitosa, anche grazie al lavoro di quanti gli hanno letteralmente cucito addosso l’immagine del Pinguino, con un trucco e un intervento di computer grafica decisivo per la sua trasformazione scenica. Non sono solo i due antagonisti a far vivere un microcosmo di grande intensità: la fragilità della vecchiaia trasmessa da Deirdre o’Connell nei panni della madre di Oz è degna di un film dedicato e disturba per intensità e realismo.

Il tono populista con cui Sofia e Oz si muovono e attaccano le élite criminali della città rimanda al dibattito politico contemporaneo, così come la mancanza di collegamento tra le istituzioni e i cittadini e la sempre più ampia differenza tra chi ha mezzi e ricchezze e chi invece ha poco o nulla. Anche la fragilità dei nostri microcosmi, esposti a frequenti emergenze di ordine sociale, sanitario o ambientale rimanda direttamente alla cronaca. Tutti elementi che ci confermano come la serie esprima perfettamente il nostro tempo sia dal punto di vista narrativo che socio-economico.

TITOLO ORIGINALE: The Penguin

DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 50 minuti

NUMERO DEGLI EPISODI: 8

DISTRIBUZIONE STREAMING: Now Tv, Sky Atlantic

GENERE: Gangster movie Drama Noir

CONSIGLIATO: a quanti cercano una serie che fornisca uno sguardo diverso sul mondo di Gotham e sul passato di The Penguin in modo particolare. Non serve essere appassionati di tutta la sterminata produzione legata a Batman per godere di questa serie, assolutamente fruibile da tutti.

SCONSIGLIATO: l’alto livello tecnico e la qualità complessiva rende difficile sconsigliare la visione della serie, ma certo potrebbe non appassionare quanti sono legati all’immagine tradizionale del Pinguino come un dandy inquietante e bizzarro o a quanti sono alla ricerca di un prodotto adrenalinico e dalla trama complessa.

VISIONI PARALLELE: Qualcuno ha paragonato la serie a Scarface, film del 1983 diretto da Brian de Palma e scritto da Oliver Stone, interpretato come attore protagonista da Al Pacino. Il film racconta l’ascesa criminale di Antonio “Tony” Montana nella Miami degli anni ’80. Ci sembra però giusto ricordare anche, tra le molte altre influenze cinematografiche e televisive che concorrono a definire il protagonista, la serie The Soprano: Tony Soprano, boss della malavita del New Jersey, rimanda a Oz soprattutto per la fragilità psicologica.

UN’IMMAGINE: difficile trovarne solo una, per la potenza evocativa di molteplici immagini. Voglio soffermarmi un attimo sull’importanza dell’acqua nel racconto. La pioggia e l’acqua in generale sono presenti in diversi momenti cruciali, come nell’alluvione iniziale o quando i fratelli di Oz rimangono chiusi nella galleria sotterranea. L’acqua non rappresenta un elemento drammaturgico specifico, piuttosto va a braccetto con il buio nel modellare l’atmosfera, livida e senza speranza, in cui è immersa la città, ma al contempo il suo fluire dall’alto verso il basso, il suo scendere nel sottosuolo per attraversare la città, silenziosa, ma pervasiva rispecchia l’atteggiamento di Oz e ne esprime la natura, capace di adattarsii e di nascondersi con assoluta maestria.

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