Pachinko – La sposa coreana: sacrificio e riscatto nella seconda stagione di una grande saga familiare

Pachinko – La sposa coreana 2 ***1/2

La nuova stagione di Pachinko ci porta, in media res, nel cuore del secondo conflitto mondiale. C’è un vuoto di fatti da riempire e nel primo episodio veniamo a conoscenza della sorte del pastore Baek Isak. Il marito di Kim Sunja è in prigione da sette anni per aver appoggiato le rivendicazioni salariali degli operai, un crimine politico molto serio in tempi di guerra e nazionalismo spinto. Breve riepilogo: Pachinko è ambientata in Giappone, in un periodo storico che abbraccia il Novecento quasi per intero. Il secondo fuoco di questa serie ellittica è rappresentato infatti da un altro Giappone, quello ricostruito, rampante e smemorato dei valori di un tempo, il Giappone delle speculazioni immobiliari e dello yuppismo al suo apice. Le due linee narrative sono parallele che convergono.

Tutti i protagonisti, coreani trapiantati in Giappone, vivono da stranieri in terra straniera. La giovane Sunja del 1945, virtualmente vedova (poi lo diventerà realmente in maniera straziante), è costretta a sbarcare il lunario ricorrendo al contrabbando. La Sunja del 1989, ormai anziana, assiste ai tentativi del nipote Solomon di rilanciarsi nel mondo della grande finanza dopo il disastro della mancata acquisizione di uno stabile di proprietà di una testarda signora, non a caso, coreana. Il fallimento gli è costato il posto e anche la reputazione. In mezzo si sviluppano molte vicende. Alcune riguardano i due figli della protagonista, Noa e Mozasu, altre il facoltoso Koh Hansu, mentre si dilata l’attenzione prestata alla cognata Kyunghee, che si scopre vicina per crescente bisogno d’affetto (il marito è impiegato in una fabbrica di munizioni ubicata nella tristemente nota città di Nagasaki) e malcelata disperazione al braccio destro di Hansu, Kim Chang-Ho.

L’inizio della seconda stagione è percorso dalla profonda tensione prodotta dalla guerra. La distruzione del Giappone aleggia nell’aria. I bombardieri americani sganciano bombe sulle città del nemico. Fiamme in lontananza, schermo nero, sirene. Immagini spettacolari evocano la morte piovuta dal cielo. Pachinko evoca sempre uno stato di irrequietezza. La qualità media resta elevata. Il tema centrale è sempre il destino. Non cieco, non cinico e baro, bensì segnato da ragioni imperscrutabili.

Il compassionevole Isak torna a casa moribondo, rovinato nel fisico eppure ancora capace di provare sentimenti umani, tanto da perdonare la persona che l’ha tradito. “Giochiamo tutti la stessa partita e la pietà è riconoscere che per sopravvivere c’è sempre un prezzo da pagare”. Hansu procura un medico a Isak, anche se è troppo tardi per sperare in una guarigione. In cambio ottiene il consenso di Sunja a fuggire con lui con i figli e la cognata.

Hansu torna di prepotenza nella vita di Sunja. Nonostante l’odio covato nei suoi confronti, per l’inganno, il raggiro e l’umiliazione subita, Sunja non ha scelte e accetta di seguirlo. L’agiato imprenditore, uno zainichi (ovvero un coreano residente in Giappone), è il padre biologico di Noa. Nella prima stagione abbiamo imparato a conoscerne il carisma, l’opportunismo e le ambiguità. Il viaggio in auto verso zone più sicure è un simbolico attraversamento di soglia. La sequenza vibra potente. Là fuori, oltre i vetri, sfilano volti di amici e conoscenti. Mani premono sui finestrini, persone implorano un passaggio. Chi resta in città, muore.

Tra le risaie di una campagna soggetta a regole di pura sopravvivenza fioriscono nuovi rapporti e altri si riallacciano. Il rinnovato interesse di Honsu per Sunja è solo un pretesto per avvicinare a sé Noa. Il ragazzo, che nulla sospetta della relazione giovanile tra Honsu e la madre, è versato negli studi. Ma Noa è pur sempre un coreano inserito a forza in una nazione ostile. Anche la seconda stagione di Pachinko evidenzia il razzismo dei giapponesi verso il popolo conquistato (epiteti come maiali e scarafaggi sono utilizzati con frequenza). I piatti degli immigrati sono disprezzati. I nomi coreani non possono essere pronunciati e vengono tradotti per legge nell’equivalente nipponico. Le tasse esorbitanti gettano molti zainichi nella disperazione. Qualcuno si suicida per la vergogna.

Intanto, lontano dalle città in fiamme, la guerra inventa convivenze impossibili e pareggia i bisogni. Noa impartisce una lezione morale a un bullo invidioso della sua intelligenza che, spinto dalla fame propria e altrui, una notte è scoperto a rubare uova dal pollaio comune. Kim, l’attendente di Honsu, gli offre la possibilità di vendicarsi, ma Noa, al pari di suo padre adottivo, sa perdonare. Grande è la delusione quando il giovane, di nascosto, vede Honsu prendere a pugni un morto di fame, colpevole di averlo derubato. Può un uomo essere insieme premuroso e feroce? Cosa vuole da lui Honsu, con i suoi abiti eleganti e la sua generosità illimitata? E perché gli procura una radio e giornali da leggere (tra le righe), indirizzandolo con energia ad iscriversi all’università?

Tokyo ha milioni di abitanti ma è ancora un paese”. Il giudizio di Solomon sulla capitale del Giappone piacerebbe al maestro Ozu. Nel 1989 si combatte una nuova guerra, quella del profitto. Il nipote di Sunja ha un’idea, acquistare un fondo e amministrarlo da sé. Il know-how non gli manca. Nessuno però si fida di Solomon, nessuno gli concede un prestito. La sua colpa? Aver dimostrato rispetto per una donna, l’ultima resistente in trincea davanti alla speculazione trionfante. Non è la prospettiva del guadagno a dare coraggio a Salomon, quanto un’istanza più vera e profonda. Il movente delle scelte e delle azioni che ne conseguono è il riscatto. “Non posso continuare a vivere provando dispiacere per te”, dice a Sunja, idealtipo della donna eternamente votata al sacrificio. Per avviare la sua attività Solomon rifiuta i soldi offerti dalla famiglia e tenta l’azzardo, con l’involontaria complicità di un mucchio di ossa sepolte sotto il terreno. Appartengono a caduti per la patria, sono sacre e potrebbero fruttare molto, anche in termini di vendetta. Intanto ritrova Naomi, la sua ex collega del ramo giapponese di Shiffley’s e stringe con lei una relazione complicata.

Al tramonto del secolo il razzismo non cala di vigore. Stavolta il contesto è anche più interessante della scuola, della fabbrica o del mercato di strada. In un supermercato, un luogo apparentemente neutro, Sunja riceve un’offesa. Con parole sprezzanti il banconista le rinfaccia la sua pronuncia imperfetta. Solomon, che è con lei, interviene rabbiosamente, agitando un differente argomento, non meno odioso. Saranno pure coreani, ma lui, a differenza del dipendente che vende torte, ha studiato a Yale. “In un giorno guadagno quanto tu in un mese”. Anche se Solomon in quel preciso momento è un disoccupato, conta il parametro utilizzato, il valore attribuito alla gerarchia sociale, la sottolineatura della vetta raggiunta. Sunja, che appartiene a un mondo ormai dissolto, si scusa. La situazione di imbarazzo introduce un’occasione di conoscenza. L’anziano signore giapponese che osserva la scena diventerà un buon amico di Sunja. Il primo dopo molti anni.

L’incipit del quinto episodio dura pochi, magistrali minuti. Per raccontare il bombardamento atomico su Nagasaki, Pachinko utilizza un registro stilistico particolare. Le immagini sono girate in un bianco e nero elegante. È l’inizio di agosto. Nella fabbrica dove lavora il marito di Kyunghee si attende la visita del consigliere dell’Imperatore. Agli operai è richiesto uno sforzo supplementare. Un collega di Yoseb Baek socializza con un giovane che manifesta l’intenzione di assassinare l’emissario. I giornali radio diffondono la notizia di una nuova arma utilizzata dagli americani su Hiroshima. Il conflitto è agli sgoccioli e il Giappone è in agonia. Nonostante le evidenze, i vertici militari fanno finta di credere alla vittoria. Infine, arriva il fatidico 9 del mese. Baek sarà l’unico a salvarsi. Si risveglierà nella casa di Honsu, con il corpo bruciato, impotente di fronte agli eventi, con una domanda assurda in gola: chi ha vinto la guerra? Baek diventerà un hibakusha, un sopravvissuto all’atomica.

La serie slitta in avanti, portando lo spettatore negli anni Cinquanta. Noa affronta la prova di ingresso all’università di Waseda il giorno in cui scoppia la Guerra di Corea. Sunja, che gestisce un chiosco dove gli avventori possono trovare un delizioso Kimchi, attende impaziente il ritorno di suo figlio per sapere se abbia superato il test. “Ci sono cose fuori dal nostro controllo”. Sunja ha ragione. Pachinko è una metafora di questa condizione dell’essere che si rinnova di continuo. Il processo di avanzamento verso mete successive è messo in dubbio da qualche biforcazione del destino, esattamente come il percorso della sfera d’acciaio nel flipper del pachinko. In questo gioco d’azzardo la sconfitta è sancita dalla caduta della pallina sul fondo e la possibilità del disastro è una variabile non eliminabile. Riuscirà Sunja ad aprire il ristorante dei suoi sogni? Solomon convincerà Naomi ad assecondarlo nel suo progetto? Qual è il destino di Noa? Su tutto aleggia lo spettro della povertà, un orrore da relegare nel passato.

Il personaggio di Hansu si arricchisce di sfumature. “Devo vedere con i miei occhi cosa è in grado di fare”, dice di Noa. L’interesse per la carriera dell’unico figlio maschio, nato fuori dal matrimonio (un segreto destinato a essere svelato), diventa anche il suo punto debole. Il potente suocero è il tramite tra il suo mondo di affari, confinati soprattutto nella miniera del mercato nero e minacciati da concorrenti in ascesa, la politica e la mafia locale. La dipartita degli americani dal paese sconfitto spalanca opportunità da cogliere. I vertici del partito liberale sognano di ricostruire la nazione su nuove basi. Il sentimento patriottico e il disprezzo per il capitalismo si alimentano a vicenda. La frattura tra coreani e giapponesi sembra non ricomporsi mai del tutto. Perfino nel 1989, quando i gusti importati (emblematica la scoperta della cucina messicana da parte di Sunja) fanno di Tokyo una babele culturale, l’incontro con uno zainichi genera sorpresa.

Kim Min-ha, Youn Yuh.jung, Jin Ha, Jong Eun-chae, Lee Min-ho, Kim Kang-hoon, Anna Sawai e gli altri attori presenti nel cast non mostrano incertezze. La sceneggiatura si conferma solida. Gli incastri narrativi sono sviluppati con eleganza. A livello seriale, Pachinko è una delle migliori saghe familiari di sempre.

Resta una domanda, rivolta a tutti noi: cos’è il paradiso? Sunja la pone a Noa nel sesto episodio. Ognuno dovrebbe avere una risposta. Lei ce l’ha. Il paradiso è il suo paese natale in Corea, che, così almeno immagina, non vedrà mai più. Il figlio comprende che quel piatto di tofu, mangiato ai margini di una decisione importante, ha tutte le caratteristiche della nostalgia. Perché il paradiso, probabilmente, esiste solo nella memoria.

Titolo originale: Pachinko – Season Two

Numero di episodi: 8

Durata: 45 – 50 minuti l’uno

Distribuzione: Apple Tv+

Uscita in Italia: 23 agosto – 11 ottobre 2024

Genere: Historical Drama

Consigliato a chi: al primo appuntamento azzecca sempre il ristorante, preferisce un campo da golf a un grattacielo.

Sconsigliato a chi: è andato fuori strada con l’insegnante di scuola guida, non sopporta chi getta le molliche ai piccioni.

Visioni e letture parallele:

  • La forza dell’amore e la ricerca della verità nel film di un grande regista coreano: Madre, di Bong Joon-ho, disponibile su Prime Video.

  • Il reportage autobiografico dello scrittore giapponese più tragico e tormentato: Dazai Osamu, Tsugaru, Lindau (2024).

  • Di Han Kang, poetessa e scrittrice sudcoreana premio Nobel per la Letteratura 2024, segnaliamo: Atti umani (2017) e Non dico addio (2024), entrambi pubblicati da Adelphi.

Una testimonianza:La testimonianza degli Hibakusha, i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, è unica. Questi testimoni storici hanno contribuito a generare e consolidare un’ampia opposizione alle armi nucleari in tutto il mondo attingendo a storie personali, creando campagne educative basate sulla propria esperienza e lanciando avvertimenti urgenti contro la diffusione e l’uso delle armi nucleari. Gli Hibakusha ci aiutano a descrivere l’indescrivibile, a pensare l’impensabile e a cogliere in qualche modo il dolore e la sofferenza incomprensibili causati dalle armi nucleari”. Dalla motivazione con cui il Comitato norvegese per il Nobel ha assegnato il Premio Nobel per la pace 2024 all’organizzazione giapponese Nihon Hidankyo, fondata dai sopravvissuti alle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.

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