Iddu

Iddu **1/2

Don Gaetano è appena passato a miglior vita in un letto di fortuna circondato da pecore. Dalla latitanza il figlio più piccolo Matteo gestisce gli affari di famiglia, che sembrano subire una crisi di liquidità.

Ad approfittarne una cellula dei servizi segreti, guidata dal Capitano Schiavon e dall’agente Rita Mancuso, la più determinata nel far cadere il castello criminale di Messina Denaro. Per far cadere in trappola Matteo, i servizi coinvolgono l’ex sindaco Catello Palumbo, appena uscito di carcere a Cuneo, dopo sei anni di galera.

La famiglia di Catello ha dovuto subire l’onta dei processi e delle cause e se la passa malissimo. Per di più la figlia aspetta un bimbo dal bidello della scuola in cui Catello era preside.

Sfruttando il sogno di costruire un albergo in una riserva naturale, i servizi spingono Catello a chiedere aiuto a Matteo, aprendo un canale di comunicazione con i pizzini che regolarmente attraverso una fitta rete di complicità vengono scambiati con la residenza del boss, intestata alla vedova Lucia.

Il grande affresco surreale di una Sicilia di uomini ridicoli e troppo furbi diventa per Grassadonia e Piazza un modo per indagare le connivenze del potere con la criminalità e la polizia.

I due mostrano le ombre che sembrano guidare e manovrare i destini degli uomini. Per quanti affanni e quanta intelligenza psicologica possa metterci Catello, pian piano si rende conto di essere solo una pedina sacrificabile di un gioco molto più cinico.

Persino per un vecchio democristiano rotto ad ogni corruzione, la spregiudicatezza dello Stato è al di là del bene e del male.

Il film è liberamente ispirato agli scambi epistolari tra il boss latitante Matteo Messina Denaro e l’ex sindaco di Castelvetrano Antonino Vaccarino dei primi anni duemila, editi nel libro Lettere a Svetonio (2008) a cura di Salvatore Mugno.

Iddu è una commedia illuminata da una scrittura felicissima, capace di ricostruire un duetto a distanza tra Catello e Matteo: i due non si incontreranno mai, ma restano le loro lettere forbite, scaltre, piene di insidie e parole non scritte.

D’altronde se in Italia “gli unici a leggere davvero sono i carcerati e i latitanti” è evidente che i due protagonisti di questa storia possano dialogare seguendo un registro alto.

Nel cinema di Grassadonia e Piazza la dimensione storico-realistica è sempre trasfigurata in un racconto che affonda le sue radici nel mito, nella leggenda. In questo caso il riferimento all’Efebo di Selinunte – u’ pupu – come elemento identificativo familiare è esplicito e attraversa simbolicamente tutto il film.

Toni Servillo e Elio Germano sono serviti da un pugno di dialoghi di profonda brillantezza e intelligenza. I due sono francamente uno spettacolo tutto da vedere anche perché possono dialogare con un gruppo di caratteristi meravigliosi e di scuola bellocchiana e sorrentiniana, da Fausto Russo Alesi a Daniela Marra, l’unica ad avere quella gravitas che il compito richiederebbe, da Tommaso Ragno a Barbora Bobulova, da Roberto De Francesco e Betti Pedrazzi, concludendo con la solita meravigliosa Antonia Truppo, la sorella sempre di cattivo umore di Matteo.

Il film è intelligente, ispirato, un piccolo apologo amaro di quella stagione in cui la lotta a Cosa Nostra è stata anche gestione dello status quo, illusione del controllo e forse anche occultamento di interessi indicibili.

Dopo il notevole esordio del piccolissimo Salvo e la conferma di Sicilian Ghost Story ispirata alla sparizione di Giuseppe Di Matteo, per Grassadonia e Piazza Iddu è un passo importante, che può trovare un discreto successo anche in sala.

La colonna sonora è curata da Colapesce.

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