Pain Hustlers

Pain Hustlers **

Dopo aver diretto gli ultimi quattro capitoli della saga di Harry Potter e i tre di Animali Fantastici, inframmezzati da un dimenticato The Legend of Tarzan, Peter Yates, noto precedentemente solo per i suoi lavori televisivi in Inghilterra, sembra uscire dalla sua comfort zone con questa commedia ambientata durante la crisi degli oppioidi.

Produce Netflix che è sempre prodiga di risorse per progetti traballanti e questo rientra appieno nella categoria.

Scritto da Wells Tower a partire da un articolo di Evan Hughes per il New York Times e dal suo libro The Hard Sell, Pain Hustlers è il tentativo di raccontare l’avidità e la spregiudicatezza delle Case Farmaceutiche e dei suoi informatori scientifici, dall’interno.

La protagonista è una madre single, Liza Drake, che vive nel garage della sorella e cerca di sopravvivere come lap dancer in Florida.

Durante una serata conosce l’ambizioso Pete Brenner che lavora per una start-up farmaceutica, la Zanna, che ha inventato un oppioide spray per i malati terminali, il Lonafen, che combatte il dolore molto più velocemente dei concorrenti, ma che nessuno sembra intenzionato a prescrivere.

La compagnia è sull’orlo del fallimento e con una mossa disperata Brenner assume Liza, dandole cinque giorni per convincere uno dei medici della sua zona a prescrivere il Lonafen.

Ma il meccanismo di favori, regali, corruzione e pigrizia che mantiene il sistema è difficile da scalfire e la protagonista termina il suo giro in anticipo senza riuscire a convincere nessuno.

Ritornando dal primo medico visitato, il Dott. Lydell, per recuperare un tupperware, Liza finisce per incrociare un paziente che si lamenta dell’inefficacia della cura per il dolore prescrittagli. Convince così Lydell a provare il Lonafen, promettendogli di farne il protagonista dello Speaker program della Zanna, ovvero l’oratore di punta di quelle conferenze in luoghi esotici, spesate dalla compagnia, che sono un’altra sottile forma di corruzione.

Il sassolino della prima prescrizione diventa presto una valanga di spray diffuso in tutto il sud est del Paese e Zanna viene quotata in borsa con numeri record…

Costruito come una commedia sociale che alterna il racconto cronologico dell’anno vissuto pericolosamente da Lisa Drake alle testimonianze dei protagonisti dello scandalo in bianco e nero, raccolte dopo il processo, Pain hustlers è indeciso su quello che vuole essere: recitato da tutti molto sopra le righe e attraversato da una leggerezza che fa a pugni con l’orrore che l’uso sconsiderato degli oppioidi hanno diffuso negli Stati Uniti, la prospettiva del film è unidirezionale e tende a farci empatizzare con la povera mamma single che pare avere una coscienza e dopo aver intascato i soldi dei suoi bonus decide di confessare le sue colpe e andare a fondo delle menzogne raccontate da Zanna. 

Pain Hustlers però non ha mai davvero il passo del thriller, non crea nessuna tensione, i personaggi sono così grotteschi – in particolare Chris Evans e Andy Garcia – da lasciare sconcertati più che indignati.

La dimensione giornalistica e d’inchiesta del film, ispirato proprio da un articolo di giornale rimane curiosamente muta e il film diventa così uno showcase per la Blunt, che sembra l’unica a prendere davvero sul serio quello che vediamo sullo schermo.

Per tutti gli altri la lavorazione pare essere stata una bella vacanza spesata in Florida e in Georgia.

Il film di Yates – il cui talento appare ad ogni film più discutibile – è il più classico dei prodotti Netflix, un lavoro undercooked come direbbero al di là dell’oceano, insapore, incolore, su cui si sarebbe dovuto lavorare ancora molto, in fase di scrittura.

La messa in scena è corretta, invisibile, paratelevisiva, incapace di dare senso a quello che vediamo, appoggiandosi un po’ furbescamente sul mito della seconda possibilità e sacrificando ogni altra dimensione.

Il confronto con Dopesick o anche solo con The Dropout, è impietoso.

E tu, cosa ne pensi?

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.