Opera seconda del trentottenne norvegese Kristoffer Borgli, presentato in anteprima a Un certain regard nel 2022, Sick of Myself è esattamente quello che ci potremmo aspettare da una commedia scandinava di un giovane regista noto per una serie di formidabili cortometraggi intitolati Former Cult Member Hears Music For The First Time, Softcore, A place we call reality, The Loser, Eer, The Altruist: affilatissima critica sociale, humor nero, scorrettezza politica, attenzione al ritratto psicologico e d’ambiente.
Siamo a Oslo e la protagonista di questa storia tragica e ridicola assieme è Signe, una giovane tra i trenta e i quaranta, che lavora come cameriera in un bar. Il compagno Thomas è un artista che lavora con oggetti di design che ruba. Li incontriamo a cena in un locale elegante, per festeggiare il compleanno di lei: lui ordina una bottiglia molto costosa e poi fugge, inseguito da un cameriere.
La vera festa è a casa di amici: a Marta che lavora come giornalista, Signe confida che secondo lei “sono i narcisisti quelli che ce la fanno nella vita. Combinato con il talento è un vantaggio“. Quando Marta le chiede allora perchè lei lavori in un caffé, Signe risponde che lei “non è narcisista”.
Tutto quello che vedremo nel resto del film sembra smentire clamorosamente questa confessione. Quando una donna viene attaccata da un cane e si rifugia sanguinante nel suo locale, Signe le presta soccorso allontanando gli altri e vestendo i panni dell’eroina. Tuttavia il suo atto eroico non è abbastanza per attirarle fama e ammirazione.
Mentre il compagno tiene una personale in una famosa galleria e poi partecipa a eventi pubblici e viene intervistato da una rivista importante, lei cerca continuamente di attirare su di sè l’attenzione.
Arriva a fingere una reazione allergica durante una cena, ma poi quando scopre su internet che un farmaco russo per l’ansia provoca terribili effetti collaterali devastando l’aspetto di chi l’aveva assunto, chiede al suo pusher ignaro di procurarle queste pillole e comincia a prenderle quotidianamente.
Arrivano così i primi rush, ma non sono sufficienti: il pomeriggio del servizio fotografico e dell’intervista di Thomas, ne assume una dose da overdose, restando sfigurata.
Rimane in ospedale a lungo e poi esce completamente bendata. La madre le suggerisce un gruppo di supporto olistico e alternativo, ma qui una delle partecipanti l’accusa di fingere i suoi sintomi.
Convince l’amica Marta a occuparsi di lei e della sua misteriosa malattia, ma il giorno in cui il suo articolo viene pubblicato una strage familiare finisce per occultarne l’evidenza. Il giorno dopo però il giornale cartaceo le regala la copertina e una certa fama…
Ma sarà sufficiente a soddisfare la sua fama di celebrità?
Il film di Borgli è sgradevole e scioccante, perchè descrive un comportamento certamente patologico, tuttavia non così lontano da quelli che viviamo quotidianamente nella nostra vita, soprattutto nella sua dimensione social.
L’ansia di apparire, di essere riconosciuti, di essere al centro dell’attenzione, di accumulare like e follower è un vortice che travolge con livelli diversi molti di noi. Si tratta di un sentimento che non ci è estraneo e che forse possiamo anche arrivare a comprendere, soprattutto all’inizio, quando le sue manifestazioni sono più blande e corrispondono all’ascesa di Thomas a cui Signe risponde con un desiderio smodato di non restare nella sua ombra. La loro è una relazione che oggi definiremmo tossica, fondata su una competizione invidiosa che scorre sottotraccia.

Intelligentemente Borgli si focalizza su diversi livelli: da un lato c’è la satira crudele e dissacrante della nostra società fatta di media famelici, astuti manipolatori e di una cultura della vittimizzazione che dietro l’inclusività nasconde solo un’altra forma di sfruttamento; dall’altro c’è invece un ritratto tutto al femminile di una donna irrisolta, insoddisfatta, probabilmente invidiosa del successo altrui, certamente molto sola, che è pronta a tutto per essere semplicemente notata. Ancora una volta il corpo della donna ad assumere un ruolo centrale nel racconto. Questa volta esposto nella sua deformità che provoca repulsione e spettacolo allo stesso tempo.
E’ una delle ossessioni della nostra contemporaneità, che lascia tuttavia una lunga scia di delusioni e frustrazione.
Il film è tutto nella distanza che corre tra questi due piani, che il regista astutamente non risolve mai: spesso infatti assistiamo ai sogni ad occhi aperti di Signe, ai suoi desideri realizzati. Programmi televisivi, notorietà, libri biografici, confessioni restano tuttavia solo flashforward impossibili nella mente della protagonista.
Borgli ha dichiarato che è stato il suo soggiorno a Los Angeles a suggerirgli lo spunto narrativo di un film che ha scritto, diretto e montato: “L’influenza dell’ambiente intorno a me ha davvero influito sulla storia e il personaggio. I tratti personali del suo essere estremamente ambizioso, opportunista e forse anche un po’ narcisista sono cose in cui mi sono imbattuto più frequentemente qui che in Norvegia”.

Come spesso accade anche nei film di Ostlund di fronte a certi momenti ironici non si sa se ridere dei personaggi o se avere compassione per loro: in particolare durante il colloquio di Signe con l’agente di moda la presenza di una ragazza cieca funge da elemento comico più volte, ma le risate rimangono strozzate in gola, perchè quello che vediamo non potrebbe essere più imbarazzante per il paternalismo e l’idiozia della situazione.
Il finale resta inevitabilmente aperto, tuttavia la confessione all’amica non risolve nulla: la comprensione immaginata diventa distanza e biasimo e Signe continua a mentire, anche quando la piccola fama del compagno Thomas si rivolta contro di lui.
Il film esce per Wanted il 5 ottobre 2023, a distanza di un anno e mezzo dal suo debutto a Cannes.
Nel frattempo Borgli ha girato per la A24 Dream Scenario con Nicolas Cage, prodotto da Ari Aster.

