Guns & Gulaabs: una nuova serie dagli autori di The family man

Guns & Gulaabs ***

E’ con piacere che ritroviamo Raj & DK (The Family Man) che ci regalano una nuova scanzonata serie tv crime ambientata in India. Questa volta siamo nel mezzo degli anni ’90 a Gulaabgunj, una cittadina agricola che potrebbe per alcuni aspetti essere nell’Uttar Pradesh, anche se altri elementi lascerebbero intendere una diversa collocazione. Quello che è certo è che la principale attività economica della zona è la coltivazione dell’oppio che viene in parte ceduto allo Stato per utilizzi a scopi medici e in parte viene venduto a gangster locali (che peraltro lo pagano profumatamente). Quando un boss di Kolkata (Calcutta) chiede una fornitura extra di oppio, tra le due principali gang della zona, quella di Mr. Ganchi (Satish Kaushik) e quella del suo ex pupillo Nabeed (Nilesh Divekar) che si è stabilito nella vicina città di Sherpur, si scatena una guerra che coinvolge i coltivatori, gli abitanti del posto e … la polizia! Elemento immancabile nei crime indiani, la polizia rappresenta un ottimo contesto per antieroi problematici e travagliati, con sfumature che coinvolgono in particolare gli aspetti morali. E’ così anche per Arjun Varma (Dulquer Salmaan), ispettore della narcotici appena arrivato da Bombay, che si trova nel mezzo della disputa per l’oppio e decide di provare a trarne giovamento. Anche Tipu (Rajkummar Rao), che di lavoro fa il meccanico e sogna una vita tranquilla, possibilmente sposando Chandralekha (T.J.Bhanu), l’insegnante d’inglese della scuola locale, si ritrova coinvolto in questa guerra tra clan. Lui del resto è il figlio di Babu Tiger, un famoso sicario di Mr. Ganchi (Satish Kaushik), ucciso in un agguato da Atmaram, un killer (quasi immortale) assoldato da Nabeed e con cui ingaggerà, seppur controvoglia, un duello senza tregua.

La serie omaggia gli anni ’90 e trasuda riferimenti a quel periodo storico, non solo con l’ambientazione, la scenografia, i costumi, la musica curata da RD Burman, ma più in generale con la ripresa del senso estetico proprio del periodo, sapientemente rivisitato con una spruzzata di violenza anni ‘70. Un omaggio curato nei dettagli: i livelli di tutta la produzione sono elevati e nobilitano quella che in apparenza potrebbe sembrare una storia piuttosto scontata.

Il racconto in sé infatti non è particolarmente originale, ma lo sviluppo e l’abilità dei protagonisti a calarsi in personaggi veri, tutt’altro che retorici, lo rende qualcosa che non ha il sapore del già visto. Pur muovendosi in solchi già percorsi da numerose altre produzioni, la scrittura di Raj & DK ha il merito di dare ai caratteri un vivido senso di realtà, forse perché prescindono da rigidi schemi morali e si adattano con pragmatismo alla situazione in cui si trovano ad agire. Il che vuol dire fare dei compromessi, ma non significa mancare di senso morale o di una scala di valori. La famiglia, l’amicizia, la ricerca dell’amore e della propria via (come darà prova nel finale anche il figlio di Ganchi) hanno la meglio su posizioni rigide e su valori morali assoluti. Nello sguardo dei due autori c’è tanta empatia verso personaggi stralunati che si trovano a combattere, loro malgrado, per sopravvivere, ma che riescono a preservare i propri sogni (oltre che, naturalmente, la propria incolumità!). I dialoghi sono brillanti e in più occasioni rimandano alla commedia, in particolare negli esilaranti scambi tra Tipu e le sue spalle, ovvero l’aiuto meccanico Kumarcut prima e lo scagnozzo di Ganchi, Bunty, successivamente. I personaggi vengono accettati per quello che sono, con le loro aspirazioni, come quella ‘ad avere tutto’ che porta inizialmente Chandralekha a dissuadere Tipu dal corteggiarla. Anche le iniziali ripetute dimenticanze di Tipu verso la vendetta del padre sono presentate con leggerezza, pur definendo un tratto importante del personaggio: sarà con il recupero della memoria di Babu Tiger che Tipu diventerà a tutti gli effetti il protagonista del racconto, riuscirà a sconfiggere il temibile Atmaram e a conquistare la bella Chandralekha. Completerà così il suo personale viaggio dell’eroe, archetipo ben riconoscibile nel suo arco narrativo. Tipu infatti inizialmente non vuole seguire le orme paterne, ma finisce in qualche modo per essere, se non costretto, quantomeno spinto dagli eventi (e dalle persone che lo circondano) in quella direzione. Egli sfida i nemici e li vince, ma con la capacità di mantenere un profilo morale che supera qualsiasi forma di etica criminale: il ragazzo continua nel profondo ad essere una brava persona, capace di distinguere chiaramente tra bene e male. La sua evoluzione permette ai nostri autori di metterci in guardia, con leggerezza, sul peso che la dimensione sociale ha sul singolo, specie in contesti economici e culturali fragili e ricchi di contraddizioni.

Rispetto alle abitudini narrative degli ultimi anni ci lascia un po’ straniti la scelta di limitare lo spazio e l’importanza dei caratteri femminili. E’ innegabile che in G&G la donna venga descritta solo attraverso gli occhi maschili, come oggetto di desiderio e motore delle vicende. Sono occhi gentili, sorretti dall’amor cortese, ma pur sempre di sguardo unidirezionale si tratta. La scelta, per quanto discutibile, va però contestualizzata alla storia raccontata, al periodo storico e alla localizzazione della vicenda: caratteri femminili autorevoli ed emancipati, come sono quelli che ci propone da tempo la serialità narrativa, anche quella indiana, non sarebbero stati qui del tutto calzanti. Questo non spiega la pochezza dell’apporto femminile, che si esaurisce di fatto in Chandraleka. L’ex amante di Arjun, Yamini, in possesso dei negativi delle foto con cui l’ispettore della narcotici viene ricattato, appare troppo stereotipata, non all’altezza degli altri caratteri, al di là delle considerazioni sulla rappresentazione dei generi. Lo stesso si può dire per la moglie di Arjun, che coniuga brillantemente lavoro e famiglia, ma che nel racconto compare solo come ombra/riflesso del marito.

Il ritmo del racconto nel corso dei sette episodi che compongono la stagione viaggia a corrente alternata: inizia forte, rallenta e poi si riprende negli ultimi due episodi, di cui in particolare l’ultimo tiene lo spettatore con il fiato sospeso con salti temporali, colpi di scena e cambiamenti di prospettiva, verso una conclusione che dirsi finale sarebbe inappropriato a meno che non si adotti la formula liquida, aperta e in-concludente che i finali hanno assunto in modo sistematico nella nostra serialità.

Ottimo il lavoro di tutto il cast e in particolare di due degli attori più conosciuti e apprezzati nel contesto produttivo indiano: Rajkummar Rao e Dulquer Salmaan. Peccato che in realtà i loro momenti di interazione non siano numerosi, viaggiando più che altro su binari paralleli nell’evoluzione della vicenda.

Guns & Gulaabs è un’opera godibile per tono e ritmo, forse inferiore al livello delle precedenti produzioni di Raj & DK, ma certamente da non perdere per tutti i fan dei crime indiani.

TITOLO ORIGINALE: Guns & Gulaabs

DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 55 minuti

NUMERO DEGLI EPISODI: 7

DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix

GENERE: Crime Drama con una spruzzata di Romance Comedy

CONSIGLIATO: A quanti amano il tono scanzonato e antiretorico degli eroi quotidiani che ci propongono Raj & DK. Forse questo non è il prodotto migliore della coppia di autori, ma vale lo stesso la visione.

SCONSIGLIATO: a chi preferisce crime con forte venatura drammatica.

VISIONI PARALLELE: per quanti non conoscessero le altre serie di Raj & Krishna DK, in particolare The Family Man e Farzi, entrambi visibili su Prime Video.

UN’IMMAGINE: La serie come detto omaggia gli anni ’90. Questo a partire dall’iconica sigla iniziale che ci presenta con l’utilizzo di colori fluo e tratti grafici propri di un fumetto i principali protagonisti della vicenda.

 

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