La prassi dei matrimoni combinati in India è tutt’altro che un retaggio del passato, ha solo subito qualche piccolo ammodernamento, come ad esempio l’uso dei social network. Ancora oggi sono frequenti i casi di matrimoni concordati a tavolino tra sconosciuti, spesso di età differente, e quanti si oppongono gettano discredito sulla famiglia e possono anche venire allontanati dalle loro comunità. Non è quindi strano che Paul torni nel Punjab dall’Inghilterra, dove si era trasferito, per sposarsi con una perfetta sconosciuta che non ama e per cui non prova attrazione. Poco prima del matrimonio il giovane viene però trovato morto in un campo di grano con la gola tagliata e i pantaloni abbassati. Nella stessa sera anche il suo migliore amico e testimone di nozze, Liam, cittadino inglese, scompare misteriosamente. Le indagini sull’omicidio di Paul e sulla scomparsa di Liam vengono affidato al Vice Ispettore Singh Balbir (Suvinder Vicky), poliziotto dai modi bruschi, ma di grande esperienza e al giovane e dinamico Amarpal Garundi (Barun Sobti). Balbir è alle prese con una situazione familiare turbolenta: la figlia Nimrat infatti ha lasciato il marito e si è trasferita a casa sua con il nipotino Golu, una scelta che il padre non riesce proprio ad accettare; Garundi invece ha una relazione con la cognata, ma desidera trovare una moglie e allontanarsi da lei e dal fratello per costruire la propria famiglia. Nel frattempo le indagini si muovono su più fronti e i due investigatori devono resistere alle pressioni dei superiori che vogliono chiudere il caso il prima possibile.
Kohrra è l’ennesima serie crime con protagonista la controversa polizia indiana. Non è strano che la serialità complessa degli ultimi anni, alla ricerca di eroi in chiaroscuro, travagliati e sul crinale tra criminalità e legalità abbia trovato terreno fertile in un corpo di polizia spesso al centro di accuse per i metodi violenti utilizzati nei confronti dei sospettati e per la corruzione di molti dei suoi uomini. In un contesto sociale complesso e stratificato, ricco di contraddizioni e sempre sul punto di esplodere, il corpo di polizia indiano sembra il contesto ideale dove ambientare l’azione di un eroe/antieroe in grado di conquistare il pubblico dello streaming TV.
Balbir è questo: un antieroe adagiato in uno spazio narrativo realistico e immersivo che fa sentire, quasi toccare con mano, il sapore dell’India, con il suo tè speziato al latte (chai), i guidatori di giganteschi camion Mahindra, l’aspirazione all’opulenza tecnologica occidentale (come l’Iphone) che stride con la tradizione e la semplicità della vita nelle immense zone rurali. Nei sei episodi di questa serie, trasmessa da Netflix, troviamo poliziotti pronti a tutto pur di far confessare i presunti colpevoli, con comportamenti violenti in famiglia come sul lavoro, relazioni difficili, vite private cariche di solitudine e incomprensione, circondati da corruzione e dalla tendenza dei superiori all’insabbiamento. Eppure è anche la determinazione di questi uomini, nel nostro caso dei due protagonisti, a consentire di risolvere il caso; il loro coraggio di guardarsi allo specchio con consapevolezza e realismo, confessando i propri errori consente anche allo spettatore di alzare la testa e di respirare una boccata d’aria fresca. Il valore dell’amicizia e quello della responsabilità verso gli altri spingono Balbir e Garundi a superare i propri limiti e a oltrepassare i preconcetti che fino a quel momento li avevano guidati. E’ proprio questa unione di realismo sociale e di tensione al superamento dello status quo a rendere il racconto a tratti troppo costruito, elaborato con cura per non superare alcuni limiti imposti dal politically correct: i tratti violenti e/o patriarcali di Balbir vengono spinti fino ad un limite accettabile per lo spettatore occidentale. Forse qualche spruzzata in più di ironia, sul modello di altre serie crime indiane, non avrebbe guastato e avrebbe un po’ allentato questa sensazione. Sia il tema della condizione femminile sia quello dello scontro tra generazioni e della particolare difficoltà ad accettare e capire i figli omosessuali sono certamente attuali in una società ancora per larghi tratti arcaica e tradizionalista e quindi non sono in discussione in quanto tali. Essi però rischiano di appesantire il racconto, soprattutto nella parte finale. Balbir condivide con la società indiana la partenza, ma gli eventi lo spingono a cambiare la propria mentalità: se lui cambia, anche se gradualmente, gli altri genitori appaiono incapaci di evoluzione. La narrazione sembra suggerire che le famiglie, con il loro tradizionalismo, le loro disfunzionalità, il loro senso della tradizione rappresentino un limite non solo per il futuro dei propri figli, ma in generale anche per lo sviluppo del Paese.
La parte drammatica del racconto è esposta quindi in modo ampio e graduale, con una coerenza e una cura che a tratti la rende preponderante rispetto alla parte investigativa. Le indagini sono descritte con buon ritmo, ma c’è il tempo per vicoli ciechi, depistaggi e trame, per così dire minori, che complicano il lavoro di Balbir e di Garundi e al contempo ne restituiscono tutta la complessità. La narrazione inizia con il rinvenimento del cadavere di Paul in mezzo alle campagne del Punjab: dal punto di vista cinematografico è una citazione di Memories of Murder (2003), celebre thriller di Bong Joon Ho, dal punto di vista sociologico è la rappresentazione dell’ambientazione del racconto, mentre dal punto di vista significativo la nebbiolina che avvolge le cose rispecchia non solo la situazione investigativa, ma anche quella privata dei due protagonisti, soprattutto di Balbir. Subdiver Vicky è bravissimo nel rendere la complessità emotiva che Balbir nasconde sotto una facciata distinta e autoritaria: egli esprime raramente i tormenti che lo consumano, nella miglior tradizione del personaggio. Spesso i due investigatori lavorano su piste diverse, così da permettere al racconto di svilupparsi in modo parallelo avanzando sia nella ricerca dell’assassino di Paul che della scomparsa di Liam. Gli sceneggiatori hanno creato una fitta ragnatela capace di avvolgere lo spettatore, a volte anche di disorientarlo di fronte alla quantità delle informazioni e alla molteplicità dei soggetti coinvolti. E’ piacevole perdersi nello sviluppo dell’indagine e il tono quotidiano e realistico contribuisce a trasmettere quel senso di immersione in culture diverse che tanto affascina lo spettatore occidentale.

La scrittura descrive personaggi sfaccettati e tridimensionali che le ottime interpretazioni di Sundiver Vicky e Barun Sobti rendono concreti e reali. La regia di Randeep Jha, che ha firmato tutti gli episodi, è salda e coerente nel dare spazio all’umanità dei protagonisti, ben supportata nel descrivere luoghi ed emozioni dal prezioso lavoro della fotografia di Saurabh Monga. La musica di Naren Chandavarkar e Benedict Taylor presenta echi locali e ricorda le composizioni tipiche del Punjab.
In sintesi possiamo definire Kohrra come un solido prodotto di genere, particolarmente apprezzato dal pubblico indiano che ne ha fatto una delle serie meglio accolte da pubblico e critica.
TITOLO ORIGINALE: Kohrra
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 50 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 6
DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix
GENERE: Thriller Crime Drama
CONSIGLIATO: a chi ama i crime indiani per il loro realismo e per i personaggi ricchi di contrasti. Troverà conferma dei propri interessi in questo prodotto di genere ben confezionato.
SCONSIGLIATO: a chi ama i crime indiani, apprezzandone il tono leggero e l’ironia diffusa. Qui c’è poca ironia e il tono vira decisamente sul drammatico.
VISIONI PARALLELE: per quanti vogliono restare nel solco del genere crime indiano con un orientamento realistico e altamente drammatico, consigliamo Delhi Crime, serie Netflix del 2021, che racconta un caso di violenza sessuale così efferato e mediaticamente esposto da sconvolgere l’India e attirare l’attenzione internazionale.
UN’IMMAGINE: più che un’immagine, un oggetto: il turbante che Balbir si sistema accuratamente in capo rappresenta un simbolo potente di tradizione e decoro. Particolarmente diffuso nel Rajastan e più in generale nelle regioni del Nord del Paese, è un elemento importante che non può mancare quando un indiano è vestito in modo formale. Il turbante rappresenta quindi un elegante complemento dell’abbigliamento che in passato era associato alla protezione dagli spiriti maligni. Interessante sapere che non solo ci sono lunghezze diverse, ma anche modalità diverse di acconciarlo, che possono variare tra un centro e l’altro, anche a distanza di pochi chilometri.

