Il nuovo film del prolifico messicano Michel Franco, l’ottavo in appena quattordici anni, è girato in una New York indefinita, marginale, dove vivono i due protagonisti di questa storia.
Lei è Sylvia, assistente sociale in un centro diurno per disabili, la incontriamo ad una riunione degli Alcolisti Anonimi. Sobria da 13 anni nasconde nel suo passato un grumo di dolore che scopriremo solo molto più avanti.
Alla festa della sua highschool un tipo con la barba si siede accanto a lei e quando si alza e se ne va d’impulso verso casa, l’uomo la segue.
La mattina lo ritrova ancora davanti alla sua porta, mezzo assiderato dal freddo. Si tratta di Saul Shapiro: anche lui ha frequentato lo stesso liceo, ma è ammalato di demenza senile e pur ricordando il passato, si scorda il presente.
Il fratello di Saul e la nipote quando scoprono che Sylvia è un’assistente sociale le chiedono di prendersi cura di Saul. Lei è riluttante, lo accusa di aver abusato di lei quando aveva dodici anni assieme all’amico Bob negli anni della high school.
Ma non è così, la sorella di Sylvia scopre che Saul è arrivato solo quando lei ha cambiato scuola.
Accettato l’incarico tra i due si insinua un sentimento diverso, che si nutre delle ombre del passato.
Il film scritto e diretto da Franco è un curioso incontro di solitudini, tra chi non riesce più a ricordare e chi è invece rimasta prigioniera dei ricordi, veri o falsi che siano.
A complicare le cose una dimensione familiare che per entrambi è complessa e castrante, in qualche modo.
Questa volta Franco evita gli eccessi melodrammatici e le svolte narrative cruente, costruendo un film meno estremo e affidandosi a due interpreti che giocano perfettamente con i loro ruoli: due personaggi sconfitti dalla vita, chiusi dentro il proprio mondo, ostili a quello che accade all’esterno, ma in modo opposto.
Saul vorrebbe uscire, mentre il fratello Isaac lo rinchiude in casa, Sylvia invece vive blindata: chiavi, allarmi, catene alla sua porta.
Jessica Chastain dopo ruoli da eroina d’azione completamente sbagliati e del tutto inadatti, sembra essere tornata a recitare, con un personaggio nel quale sfruttare il suo registro drammatico fino in fondo, Peter Sarsgaard è indovinatissimo nella parte di chi non ha più modo di controllare il suo destino e continua a sorridere per non piangere disperazione.
I due in qualche modo riusciranno a trovarsi a mezza strada. Basterà? Il film si chiude intelligentemente lasciando tutto in sospeso.
Quando durerà nessuno può saperlo, ma in fondo cosa importa? Quello che conta è essere finalmente usciti dalla propria solitudine, dai propri incubi.
Tra alti e bassi e lavori più riusciti e compassionevoli ed altri decisamente estremi e reazionari, il cinema di Michel Franco rimane indubbiamente interessante, capace di sfidare continuamente lo spettatore, mettendolo scomodo sulla punta della sedia.
E non è poco.

