Comandante

Comandante **

In mare sono tutti alla stessa distanza da Dio. La distanza di un braccio, quello che ti salva.

Si apre con questa epigrafe e con la caduta in mare del Comandante Salvatore Todaro, da un idrovolante il nuovo film di Edoardo De Angelis, che apre la Mostra del Cinema di Venezia.

Con la schiena a pezzi e la morfina a calmare i dolori lancinanti, la moglie Rina lo vorrebbe a casa, a godersi la pensione di mutilato.

Ma Todaro è un uomo di mare e accetta una missione a bordo del sottomarino Cappellini che parte nel settembre del 1940 verso l’Oceano Atlantico a combattere la flotta inglese.

Con il fidato Marcon come secondo e con una ciurma che riunisce le diversità italiane in un unico corpo battagliero, ma destinato ad una fine miserabile, nel fondo del mare.

Le crocerossine piangono i marinai che salpano, l’occhio premonitore di Todaro lascia a terra un sardo che due giorni dopo avrebbe avuto un attacco di peritonite.

Nello stretto di Gibilterra delle mine costringono Vincenzo Stumpo, il corallaro di Torre del Greco, ad affrontare le profondità del mare per salvare i compagni a bordo.

Poco dopo il Kabalo, un mercantile belga ufficialmente neutrale, attacca il Cappellini: il marinaio Danilo Stipovitch perde la vita, ma nella lunga battaglia in mezzo al mare il sottomarino italiano ha la meglio.

L’equipaggio del Kabalo trova riparo su due scialuppe. La prima viene raccolta da una nave, la seconda viene soccorsa da Todaro che gli consegna cibo e coperte, non potendo accogliere gli uomini negli spazi angusti del sottomarino.

L’indomani tuttavia ci ripensa e grazie al naufrago Reclerq, che parla italiano, riesce a comunicare con i 26 uomini rimasti in mare, decidendo di trainare la loro scialuppa fino a Santa Maria delle Azzorre, per oltre 300 miglia marine.

Il viaggio tuttavia non sarà così semplice.

Il film, scritto da De Angelis con Veronesi a partire dalla vera storia del comandante Todaro, nasce dalla citazione di un piccolo episodio dimenticato della seconda Guerra Mondiale, nel discorso pronunciato dall’ammiraglio Giovanni Pettorino in occasione dei 153 anni della Guardia costiera italiana nel 2018, con un evidente riferimento alle politiche dell’esecutivo di allora contro le ONG e verso la crisi europea dei migranti.

Nel film di De Angelis, a cui ha collaborato la nostra Marina Militare, fornendo documenti e appoggio logistico, si sente tuttavia il peso delle intenzioni esplicite e quello di una retorica fin troppo esibita, che alimenta un film colmo di parole pensose, gravi, che sembrano uscite da un romanzo e che appesantiscono inutilmente un film a cui avrebbe giovato invece una messa in scena molto più essenziale e minimalista.

Certo De Angelis è un regista che ama il melodramma, i suoi film migliori hanno proprio quella dimensione massimalista, teatrale come loro cifra, da Indivisibili a Il vizio della speranza, da La vita sognata degli adulti agli adattamenti edoardiani girati per la Rai.

Eppure in questo caso la storia aveva già al suo interno un carico emotivo forte e un contesto storico controverso, che non meritavano ulteriore enfasi, anzi a cui bisognava togliere retorica e seminare dubbio, senza indugiare in scelte che alla fine sembrano quasi agiografiche e che invece di rafforzare il messaggio universale del film gli attirano interrogativi legittimi.

Quando uno dei naufraghi cerca di sabotare il Cappellini e accusa Todaro di essere un fascista, la risposta che ottiene è “sono un uomo di mare”. E quando nel finale il comandante del Kabalo chiede a Todaro perchè ha deciso di salvarli, al di là delle logiche di guerra, quest’ultimo gli risponde: “Perchè siamo italiani”.

Davvero c’è una specificità nazionale in questo campo? Davvero era opportuno sottolineare doppiamente che ci sono stati anche fascisti leali e dignitosi nell’esercito e nella marina italiani della Seconda Guerra Mondiale? O forse non era meglio lasciare un certo didascalismo tronfio fuori da un contesto già chiarissimo ed esemplare?

Le voci off prima delle crocerossine poi dello stesso Todaro che legge le lettere inviate alla moglie non aggiungono molto a quello che le immagini già mostrano chiaramente.

Forse De Angelis non si è fidato della sua messa in scena, forse ha lasciato emergere troppo una certa vena romanzesca del suo co-sceneggiatore: il risultato è un film che ad un occhio straniero potrà sembrare quantomeno ambiguo e ad uno italiano inutilmente lezioso.

Anche se mi pare evidente che l’intento di De Angelis non sia quello di esaltare l’eroismo bellico degli italiani, dipingendoli semplicemente come uomini generosi e leali, eroi loro malgrado, fratelli degli Oreste Jacovacci e dei Giovanni Busacca monicelliani.

Avremmo preferito ascoltare il rumore sordo del mare, il sibilo ovattato e fastidioso della meraviglia meccanica e l’affanno degli uomini che vi si muovono all’interno, sovrastato invece da musica, parole, effetti che cercano un’enfasi superflua.

Anche le scelte musicali anacronistiche funzionano fino ad un certo punto. L’intermezzo della Cavalleria Rusticana che torna tre volte è sempre capace da solo di sconvolgere l’animo, meno efficaci invece Un’ora sola ti vorrei e O surdato ‘nnammurato che vorrebbero essere stranianti e che in un impianto così tradizionale finiscono per essere solo eccentricità fini a se stesse.

Ovviamente Favino gioca un campionato tutto suo e la caratterizzazione del veneto Salvatore Todaro è un altro dei suoi formidabili exploit mimetici, che tuttavia non si mangiano interamente il film, nonostante la centralità assoluta del suo personaggio che invade ogni scena anche solo per lo spazio angusto in cui tutto si svolge.

Purtroppo il film non lo aiuta, rendendo sempre esplicite le sue scelte e annullando il mistero che ogni grande ruolo dovrebbe mantenere, per essere davvero ricordato.

Il cast di contorno è diviso a metà: efficaci e ben scritti i ruoli dei marinai della Cappellini, che forniscono alleggerimento comico, carico eroico e solidarietà umana alla storia, anche nelle differenze che esistono tra di loro, segnalate in modo intelligente dalle asprezze dialettali in cui ciascuno si esprime. Assai più stereotipati sono invece i naufraghi belgi, tra cui l’unico ad avere un certo peso è il “traduttore” Johannes Wirix.

La Mostra non ha fatto un gran favore a De Angelis consegnandogli il ruolo d’apertura: il suo film non ha forse le spalle adeguatamente forti per sostenerlo e lo scrutinio riservato a chi comincia è sempre fin troppo invadente, così come troppo alte le aspettative.

Nella tradizione dei film di guerra che De Angelis sembra voler evitare, ma in cui inevitabilmente finisce per ricadere, è evidente che Comandante si posizioni nello spazio antimilitarista e anche in questo caso il confronto è purtroppo impari.

Irrisolto.

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