Un attentato terroristico a una portaerei del Regno Unito causa numerosi morti. Un vero e proprio attacco militare condotto da ignoti, con importanti conseguenze per la politica internazionale: tra ritorsioni, prove di forza e sospetti il mondo sembra destinato a precipitare verso un ennesimo conflitto; da una parte c’è il Regno Unito, con gli storici alleati americani, dall’altra un nemico imprecisato che inizialmente sembra essere l’Iran. In mezzo, nel tentativo di tessere una tela di relazioni in grado di evitare un ulteriore conflitto internazionale, c’è la nuova ambasciatrice americana a Londra, Kate (Keri Russell), aiutata dal marito Hal (Rufus Sewell) Wyler. La coppia, con il supporto di un piccolo gruppo di uomini e donne che definiremmo “di buona volontà” tra cui il ministro degli esteri inglese Austin Dennison (David Gyasi), la referente della CIA, Eidra Park (Ali Ahn) e il compagno della Park, nonché assistente di Kate, Stuart Heyford (Ato Essandoh), si attiva per capire chi c’è dietro all’attacco: la tesi che vede nell’Iran il colpevole infatti non regge e i (numerosi) contatti dei coniugi Wyler sembrano portare in tutt’altra direzione. Kate non è certo il tipico ambasciatore di rappresentanza: è preparata, ha esperienza ed è pronta a intervenire, correndo il rischio di farsi dei nemici pur di raggiungere l’obiettivo, come appare chiaro dopo che la sua tesi sul mancato coinvolgimento dell’Iran ha offuscato agli occhi del Presidente quella del Segretario di Stato. Kate non deve solo dipanare questo intrigo internazionale: anche la sua vita privata è ingarbugliata, sospesa tra un matrimonio in grande difficoltà e un’attrazione, a tratti irresistibile, per Dennison. Come se non bastasse, in gioco c’è anche il suo futuro professionale, dato che qualcuno a Washington la giudica adatta (competente, efficiente, ma senza ambizioni politiche personali) per ricoprire la carica di Vice Presidente degli Stati Uniti.
Dalla sintesi della trama appare chiaro come la politica sia al centro del racconto, con numerosi riferimenti all’attualità (Ucraina, Afghanistan, etc.) che trasmettono un’idea di freschezza e di realismo che cattura facilmente l’attenzione dello spettatore. Tuttavia la politica non è materia per tutti e quella estera, specie se ricca di riferimenti ad avvenimenti specifici, sembra un mondo a parte, lontano dalla quotidianità. Il racconto si sofferma sulle liturgie, sulle trame sotterranee, sulle mezze verità e sui doppi (o tripli) giochi dei protagonisti della politica, ma anche sul valore che assume in una crisi internazionale la capacità di tenere insieme interessi diversi nel raggiungimento di un obiettivo di pace comune. Tra gli egoismi, le piccolezze, i personalismi, il racconto riesce a far filtrare questa flebile luce che illumina la politica in modo ben diverso da quello di altre narrazioni del genere, come ad esempio House of Cards. Non mancano nemmeno in questa serie i colpi bassi e il cinismo, ma c’è qualcosa di più, che va oltre e che lascia sperare che davvero ci sia una rete di persone, diffuse in tutti i Paesi, in grado di operare, al riparo da riflettori e telecamere, per tenere sotto controllo la parte peggiore dei rispettivi sistemi politici ed economici. I coniugi Wyler sono quindi molto diversi dai coniugi Underwood per il modo di intendere la politica e anche il rapporto matrimoniale. Il matrimonio dei Wyler è infatti il secondo polo narrativo, con uno strettissimo intreccio con il principale, perché davvero per questa coppia la vita lavorativa e quella privata sono simbiotiche. C’è un equilibrio singolare tra i Wyler che si esprime in una serie di piccoli gesti quotidiani: comportamenti slegati da un’armonia complessiva, che si ripetono in modo meccanico e che sembrano far parte delle abitudini di vita come lavarsi i denti o leggere prima di addormentarsi: non sono quindi armonizzati all’interno di un rapporto che, a tratti, finisce per apparire sclerotico. Il sesso è ad esempio slegato dalla passione (Kate fa sesso con Hal dopo una scena carica di tensione erotica con Dannison e in un contesto relazionale molto complicato), la cura dell’altro dal punto di vista fisico (Hal imburra le fette di marmellata per la moglie) è slegata dalla condivisione (Kate mangia da sola le fette imburrate da Hal), la fedeltà è slegata da valori morali, ma sembra piuttosto dipendere da elementi fisici (Hal non riesce ad avere un’erezione con un’altra donna). Il rapporto tra i due è quindi basato su una serie di momenti condivisi, alcuni legati alla sfera privata e altri alla sfera lavorativa, più che su di un orizzonte comune. Una situazione strana, complicata dall’esigenza di restare uniti per l’opinione pubblica, che porta lo spettatore a simpatizzare soprattutto con Hal, guascone e burlone, in apparenza superficiale e vanitoso, ma dei due quello che riesce a tramettere qualcosa che più si avvicina all’amore.
I due poli, quello romantico-drammatico e quello politico, sono trattati con un giusto equilibrio che crea un’alchimia gradevole, stemperando la pesantezza delle questioni politiche. La serie trova infatti il suo punto di forza nel team di scrittura, coordinato da una veterana del genere come Debora Cahn (Homeland, Grey’s Anatomy, The West Wing): i dialoghi sono brillanti, taglienti, tecnici, ma comprensibili anche dai non addetti ai lavori. A volte ci sembrano iper-specializzati, ma questo non preclude la comprensione dell’importanza che hanno gli avvenimenti nell’economia della narrazione. Ci sono poi momenti di grande ilarità, come la colluttazione tra Kate e Hal a cui le guardie del corpo assistono imbarazzate.
Certo ci sono delle scelte improbabili, come l’attacco alla portaerei britannica, un gesto inconsulto e senza senso, da chiunque provenga, o come il peso riservato alla consulente dei Tory, con un potere di veto e di influenza nei confronti del Primo Ministro davvero eccessivo. Anche la possibilità che Kate diventi VP appare poco plausibile perché completamente svincolata dalla dinamiche politiche interne al partito del Presidente. Nel complesso più che di errori, si tratta di scelte discutibili, che non minano la coerenza complessiva e il senso di credibilità della narrazione, impreziosita da attori in ottima forma che, con il loro non verbale, completano al meglio e valorizzano la scrittura di Debora Cahn. Forse a qualcuno verrà in mente che nella serie succede davvero poco e che l’unico momento di azione lo abbiamo nel cliffhanger finale: questo è vero, ma il fatto che ce ne accorgiamo solo al termine della visione, dopo 8 episodi, qualcosa vorrà ben dire.
TITOLO ORIGINALE: The Diplomat
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 55 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 8
DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix
GENERE: Thriller Drama
CONSIGLIATO: a quanti amano gli intrighi politici, le dinamiche di coppia e i dialoghi taglienti.
SCONSIGLIATO: a quanti cercano azione e avventura: per diversi episodi non si va oltre a brillanti scambi di battute verbali.
VISIONI PARALLELE: West Wing, serie culto, trasmessa dal 1999 al 2006 che racconta dall’interno lo staff del presidente degli USA. 155 episodi entrati nella storia della TV, tra le produzioni che hanno rinnovato la serialità televisiva tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000.
UN’IMMAGINE: quando Kate ha bisogno di un parere lo chiede ad Hal. E’ come se lo chiedesse a se stessa, alla parte maschile di sé e così non esita a domandargli nemmeno se le sue ascelle puzzano, avvicinandole senza troppi problemi al compagno che si adopera con spirito critico nel darle un parere in merito. Una scena che strappa un sorriso, ma che descrive anche un rapporto di fiducia, complicità, utilità e pragmatismo a cui però manca qualcosa per funzionare davvero.

