Ancora un’estate – L’été dernier *1/2
Anne è un’avvocata specializzata nella tutela dei minori in contesti familiari problematici e in casi di violenze.
Con il marito Pierre ha adottato due bambine con cui vive in una bella villa fuori città. Nella vita di Anne c’è spazio solo per il lavoro e per la sorella Mina, che ha un salone d’estetista e un figlio della stessa età delle sue bambine.
Il figlio più grande di Pierre, Théo, dopo essere stato sospeso dal collegio di Ginevra dove studia, ritorna a casa per l’estate.
Théo è un adolescente contro, svogliato, annoiato, costantemente con lo sguardo rivolto al suo telefono: dopo aver inscenato un furto nella casa del padre, per rubare stupidamente qualche oggetto già suo, finisce per instaurare con Anne un rapporto ambiguo, di complicità e segreti, che poi diventa un’infatuazione e una relazione sentimentale e sessuale impossibile.
Il film di Catherine Breillat, già attrice per Bertolucci in Ultimo tango, poi sceneggiatrice con Fellini per E la nave va, per Cavani con La pelle e per l’epocale Police di Pialat, scava nei tabù della sessualità e cerca lo scandalo, ma finisce per trovare solo una storia tanto improbabile quanto mal costruita.
Nella sua lunga carriera come regista ha spesso sfidato i tabù della rappresentazione del sesso maschile e femminile, ha impiegato due volte Rocco Siffredi nei suoi lavori e ha pescato sovente nei suoi libri e nella sua autobiografia per restituire sullo schermo il conflitto tra i sessi.

Si direbbe che il racconto schizofrenico di Anne, professionista impeccabile con i suoi giovani clienti e poi madre degenerata, bugiarda e abusiva, sia quella del villain senza speranza di questa storia. Invece Breillat sembra quasi parteggiare per lei e per il suo cinismo egoista.
L’avesse girato un uomo, il film sarebbe stato ridotto ad una fantasia misogina da dimenticare presto. Nelle mani di una regista che ha sempre lavorato sulla sessualità, anche la più estrema e conturbante, sembra solo un film mal scritto e con le idee poco chiare, che costruisce un personaggio implausibile, di difficile definizione psicologica, se non utilizzando categorie patologiche.
Il racconto, soprattutto dopo la confessione di Théo al padre, deraglia completamente in una serie di eventi a cui non si crede mai. La conclusione infine, con un nuovo fugace incontro tra i due in un capanno, è ai limiti del ridicolo involontario.
E’ tutto sbagliato nel film della Breillat, un racconto immorale che sembra invece terribilmente moralista.
Un’estate che vorremmo subito dimenticare.
