Kajillionaire – La truffa è di famiglia

Kajillionaire **

Uno dei film più attesi del 2020 era certamente il nuovo lavoro di Miranda July, il suo terzo dopo l’acclamato debutto di Me And You And Everyone We Know del 2005, Camera D’Or a Cannes e Special Jury Prize al Sundance e il successivo e dimenticato The Future del 2011, rimasto inedito in Italia

Anche Kajillionaire, come i precedenti ha debuttato nello Utah, al Sundance a febbraio, salvo poi finire fagocitato dalla pandemia e riemergere solo alla Festa di Roma, in autunno.

Ma la colpa non è solo della chiusura delle sale e degli enormi problemi distributivi che sta vivendo il cinema americano più di tutti gli altri.

Kajillionaire vuole giocare la carta del piccolo film indie, ma è prodotto da Annapurna, Plan B, Focus Features e distribuito da Universal: un segno evidente che le ambizioni della July si muovevano in senso opposto alla natura minimalista del suo racconto.

Nella prima inquadratura fissa facciamo la conoscenza dei re protagonisti, una famiglia di piccoli truffatori che vivono ad L.A. in un ufficio abbandonato che cade a pezzi con un’infiltrazione di schiuma rosa.

Robert e Teresa sembrano due vecchi hippie fuori tempo massimo, la figlia Old Dolio – poi capiremo il motivo di un nome così strambo – li segue passo passo, spesso autrice in prima persona dei piccoli furtarelli, delle truffe, degli affari poco chiari della famiglia.

I tre sfuggono quotidianamente alle rivendicazioni del padrone dell’ufficio, che vorrebbe un canone di locazione, nonostante tutto, e cercano sempre nuove occasioni per raccimolare qualche dollaro.

Quando Old Dolio s’inventa una truffa con l’assicurazione dei bagagli in aeroporto, i tre viaggiano da L.A. a New York e sul volo di ritorno conoscono Melanie, un’assistente in un negozio di ottica, che Robert e Teresa prendono in simpatia e che li aiuta nell’inganno ai danni della compagnia.

Solo che Old Dolio è gelosa delle attenzioni che i genitori riservano alla ragazza e i rapporti tra i quattro si fanno via via più complicati.

La July, questa volta solo regista e sceneggiatrice, sfrutta elementi di genere per costruire il puzzle imperfetto del suo film: ci sono elementi che vengono dagli heist movie, ibridati con il racconto di formazione, con il dramma familiare e infine con la commedia romantica.

Tuttavia prevale sempre un certo gusto arty, che si declina soprattutto in una sensazione di artificio, di forzatura, di stramberia programmata e studiatissima, che contagia il film e lo rende insincero, costruito.

Il racconto di questa famiglia disfunzionale che poi ce la fa sempre a tirarsi fuori dai guai, suona piuttosto falso, non sembra esserci vero interesse in questo mondo di ultimi, diseredati e anaffettivi, quanto piuttosto l’occasione per mettere in scena qualcosa, che appaia originale a tutti i costi, eccentrico ma non disturbante, perfettamente dentro il politically correct di genere.

Tutto secondo le attese, tutto troppo facile per essere davvero divertente o interessante.

Kajillionaire resta dentro i confini molto precisi del classico film da Sundance, con i suoi colori pastello, la sua fotografia diurna e luminosa, la sua musica caruccia, i suoi interpreti impeccabili.

La July ha almeno la fortuna di indovinare il finale, che almeno vede una trasformazione possibile per alcuni dei personaggi, dando senso compiuto ad un percorso narrativo, altrimenti bloccato e lineare. Niente che non fosse ampiamente prevedibile, ma raccontato con grazia.

 

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