Cinema con vista: The Hateful Eight

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Il cinema dell’ossessione visiva e sonora ha un nuovo modello troppo generoso nella durata, capace di scatenare la fantasia col fuoco dell’aggressività e del delirio. Le innevate alture del Wyoming non sanno cosa sta per succedere. Guardano gli avventurieri con indifferenza e accolgono la bufera senza pensare alle conseguenze. L’uomo comune corre veloce in cerca di un riparo, ma alcune persone non dovrebbero mai riunirsi. Tarantino ci ricorda che trovarsi costretti sotto lo stesso tetto può rivelarsi deleterio per la salute. In particolare se si tratta di un cacciatore di taglie, con una preda da diecimila dollari al seguito, a cui si aggiungono sette uomini dai dubbi valori morali. La diligenza corre veloce e l’ultima corsa per Red Rock è iniziata: chi arriverà alla fine?

The Hateful Eight è tutto ciò che Le Iene non è. L’opera prima di Tarantino è una brillante rappresentazione di stile, cinica e violenta allo stesso tempo. Racconta la follia umana con la genialità dei dialoghi e incalza la platea con una tensione palpabile, tutta rinchiusa in un’ambiente di quattro mura. Più di vent’anni dopo, il regista ci riprova. Richiama Tim Roth e Michael Madsen e blocca otto uomini in un emporio costruito in mezzo al nulla, ma il risultato non è lo stesso.

Questa volta pensa in grande e scrive un’opera ambiziosa, a partire dall’ouverture iniziale di Morricone fino all’intermission di quindici minuti, per un totale di tre ore di pellicola. Un film titanico che pecca di ridondanza, frutto di un’eccessiva sicurezza per una strada già percorsa.

La prima parte è un triste susseguirsi di dialoghi già sentiti. Le scene si ripetono in modo ciclico, cambiando solo personaggi e qualche battuta. Si esprimono gli stessi concetti per circa cento minuti, con banali campi e controcampi che si inseguono alla disperata ricerca di un po’ di ritmo. Ad animare la platea c’è qualche evento scherzoso e alcuni evidenti errori scenici, visibili in particolare sulla diligenza. L’operatore sbaglia ad inquadrare e il personaggio parla con un posto vuoto, invece di guardare un po’ più a sinistra verso il suo compagno. Intanto la fotografia assume una posizione onirica, con lo scintillio della neve che si fionda nell’emporio come il sole a mezzogiorno.

Poi arriva l’intervallo e Tarantino torna a fare cinema. Smette di arrotolarsi su se stesso e alza l’asticella della tensione, imbrigliando lo spettatore con l’audacia del suo storytelling. Si ispira a Dieci Piccoli Indiani e accantona la politica, per ricominciare a giocare col tempo tanto caro alla sua filmografia.

Inutile ricordare Pulp Fiction, ma è necessario citare Django Unchained per ragionare su come si possano trattare grandi temi con naturalezza e senza un artificioso manierismo. La potenza del messaggio era già presente nella storia, mentre questa volta sono necessari dialoghi costruiti per infondere spessore.

Quando la sceneggiatura latita, il gore e lo splatter assurgono a veri protagonisti, mentre gli “odiosi otto” non riescono a far breccia nel cuore dei presenti. Manca l’immedesimazione nei personaggi, perché troppo dannati anche per i malpensanti incalliti. Cadono come le foglie dagli alberi, ma in fondo non importa a nessuno, perché non si sa per chi parteggiare.

The Hateful Eight sarà anche l’ottava fatica di Tarantino, ma non è facile per nessuno. Il titanismo del progetto mal si amalgama con la leggerezza della storia, sempre bloccata tra il decollo e il ristagno. Bisogna aspettare la seconda metà per rivedere le doti del regista, questa volta appannato dalla troppa arroganza. Lo salvano Morricone con la sua musica e qualche audace trovata, anche se Pulp Fiction è lontano anni luce.

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