Addio a Ettore Scola

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Nato a Trevico, un piccolo paese dell’Irpinia, nel 1931, ma cresciuto a Roma, fin da ragazzino collabora alla leggendaria rivista satirica, il Marc’Aurelio, frequentata anche da Fellini, Age e Scarpelli, Marcello Marchesi, Steno, Zavattini.

Come sceneggiatore debutta a vent’anni, facendosi le ossa nella commedia, scrivendo nella grande stagione della degli anni ’50 e ’60 per Sordi, per Gassman e per Totò, in particolare.

Il sodalizio con Ruggero Maccari sarà uno dei più solidi e prolifici del cinema italiano.

Le sue mani sono sui copioni di Un americano a Roma, Il Conte Max, Il Mattatore, Adua e le compagne, Il sorpasso, La marcia su Roma, I mostri, Io la conoscevo bene, I complessi.

Debutta infine alla regia nel 1964 con un film a episodi, piegato alle esigenze del mattatore Vittorio Gassman, Se permettete parliamo di donne.

Il primo grande successo arriverà solo nel 1968 con Riusciranno i nostri eroi… nel quale dirige Sordi, Manfredi e Blier in un viaggio surreale nell’Africa post-coloniale, prendendo spunto tanto da Cuore di tenebra, quanto da un racconto di Topolino.

Seguiranno Il commissario Pepe con Tognazzi, agli antipodi del cliché del poliziottesco, quindi Dramma della gelosia con Mastroianni, la Vitti e Giannini, Permette? Rocco Papaleo, La più bella serata della mia vita con Sordi, tratto da Durrenmatt, ed il primo dei suoi capolavori, C’eravamo tanto amati, che ricostruisce la storia dei primi trent’anni della Repubblica, attraverso la politica, il cinema, il costume, la televisione, con un’amarezza e una lucidità memorabili: Gassman, la Sandrelli, Satta Flores e Manfredi sono i quattro protagonisti.

Con Brutti, sporchi e cattivi vince il premio per la migliore regia al Festival di Cannes, ma è Una giornata particolare a vederlo trionfare in tutto il mondo, da Cannes ai Golden Globe, fino agli Oscar, con due nominations per il film e Mastroianni.

Con La terrazza è di nuovo a Cannes dove vince per la migliore sceneggiatura e per la migliore attrice non protagonista, Carla Gravina: ritratto impietoso degli anni del riflusso e della perdita di ogni illusione per la generazione uscita dalla guerra, anche Sorrentino con la sua grande bellezza, deve moltissimo al film di Scola, che raggruppa un cast irripetibile: Mastroianni, Gassman, Tognazzi, Trintignant, Reggiani, la Sandrelli, la Gravina e Satta Flores, ancora una volta alter-ego del regista.

Dopo i minori Il mondo nuovo e Passione d’amore, entrambi in concorso a Cannes, Ballando Ballando lo riporta alla Notte degli Oscar, dopo aver conquistato il premio per la regia a Berlino, il David di Donatello e il premio César per il miglior film dell’anno.

La famiglia, interpretato da un cast monumentale, guidato da Vittorio Gassman, è uno dei suoi film più ambiziosi: un grande affresco lungo quasi un secolo, dal 1906 al 1986 di una famiglia romana e borghese. Diviso in nove parti, una giornata per ogni decennio, segna un altro trionfo per Scola: in concorso a Cannes, nominato all’Oscar, vincitore di sei David e sei Nastri d’argento.

Splendor, Che ora è? e Il viaggio di Capitan Fracassa segnano il sodalizio di Scola con Massimo Troisi. Nei primi due film l’attore dialoga con Marcello Mastroianni, un duetto che negli anni ’80 aveva fatto storia.

A cominciare dagli anni ’90, il lavoro di Ettore Scola si fa via via meno ispirato: quell’Italia che aveva descritto e raccontato con l’affetto e la crudeltà di un amante tradito, non c’è più.

Il crollo dei grandi movimenti di massa e la fine del PCI, l’avvento di Forza Italia e del partito di plastica, sembrano prosciugare la vena creativa di Scola, che lascia un’ultima zampata con Romanzo di un giovane povero, che vale a Isabella Ferrari la Coppa Volpi a Venezia, ed è l’ultimo grande film di Alberto Sordi.

La cena e Concorrenza sleale sono, a cavallo del nuovo secolo, i suoi ultimi film, poi solo documentari, fino al malinconico Che strano chiamarsi Federico, nel quale il ricordo dell’amico si lega al memoir personale.

Con Ettore Scola, se ne va un uomo chiave della storia del cinema e della cultura italiana, uno dei protagonisti di quella grande stagione, che dalla fine del neorealismo ha accompagnato il nostro paese nella modernità.

Il suo lavoro di sceneggiatore è stato incommensurabile, il suo senso critico e la lucidità con la quale è riuscito a raccontare le contraddizioni dell’Italia del ‘boom economico’ e poi di quella impaurita e confusa degli anni ’70, hanno segnato per molti anni il cinema italiano.

Inutile ricordare gli infiniti premi e le vittorie riportate dai suoi film nel corso degli anni.

Il silenzio degli ultimi quindici anni non deve però far dimenticare la vitalità e la centralità del suo lavoro per quasi quattro decenni.

Dopo la scomparsa di Mario Monicelli, Dino Risi, Nanni Loy, Luigi Comencini, Pietro Germi era rimasto l’ultimo testimone di un modo di far ridere, amaro e popolare al tempo stesso, raffinato e autoironico.

Come sempre in queste occasione, più delle parole, valgono le immagini dei suoi film, che vi invitiamo a non smettere di rivedere e riscoprire.

C'eravamo tanto amati 1

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