Cinema con vista: Ex Machina

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Alex Garland ha imbastito il suo esperimento. È partito dal romanzo scritto per poi approdare alla sceneggiatura, ma il richiamo di Hollywood era una luce troppo scintillante per rinunciare all’ebbrezza di mettersi dietro ad una macchina da presa. Così è nata la sua opera prima: un ibrido creato per testare l’intelligenza umana davanti a quella artificiale. Quali sarebbero le nostre reazioni? Potremmo mai controllare una I.A. forse più intelligente di noi? Domande ambiziose per un uomo comune, ma decisamente attuali nel periodo di grande sviluppo tecnologico che stiamo vivendo. I dispositivi elettronici sono ormai in grado di svolgere funzioni complesse ed alcune possono sviluppare i pensieri più semplici, ma quanto ci vorrà per arrivare a macchine autocoscienti? Chi può dirlo. Intanto il grande schermo diventa simulatore di una realtà non così lontana, proponendo una schiera di pellicole in grado di farci riflettere.

In questa caldissima estate ancora una volta skynet ha minacciato il nostro pianeta (Terminator: Genisys) ed Antonio Banderas si è dovuto rapportare con “l’umanità” di alcune macchine (Automata), ma Ex Machina è meglio di un condizionatore quando ci sono 40 gradi. Una ventata di freschezza in un genere ormai saturo di pellicole. Sette sessioni di un esperimento si trasformano nel pretesto per organizzare una piece teatrale a tre, ambientata in un centro di ricerche immerso nella natura più selvaggia. Cascate, laghi e montagne si scontrano con l’artificialità di un progetto tanto ambizioso quanto pericoloso, in un luogo lontano dal caos e dalla frenesia delle grandi città. L’uomo non è nulla di fronte alla grandezza della natura, ma il suo intelletto può portarlo a creare meraviglie.

Il prodotto della genialità umana si chiama Ava, un’I.A. dalle sembianze femminili che ha tutti i crismi per essere promossa a “persona effettiva”, ed è proprio questo che i due protagonisti vogliono testare: lei è una macchina, ma pur sapendolo non sembra una donna reale? La risposta dovrà darla lo spettatore, dopo quasi due ore di dubbi ed incertezze che rimandano ad un classicismo mai passato di moda. Il rapporto eterno tra creatore e creazione, nonché l’inserimento di un personaggio terzo rimandano a racconti come Frankenstein, ma un pizzico di tecnologia fa sembrare tutto più nuovo. Le fibre ottiche tolgono la polvere ed i motori di ricerca diventano comparse effettive, sostituendo le persone una volta vestite con tuba e bastone.

Però il vero punto di forza risiede in una sceneggiatura limata ed incisiva, promossa a colonna portante della vicenda. I dialoghi sono i veri protagonisti di un film che si prende i suoi tempi, per far assaporare ogni momento e congettura in un mondo di dubbi ed incertezze. Il non visto si sostituisce alle immagini che corrono veloci sullo schermo, creando una voglia di conoscenza quasi spasmodica. Le tre leggi della robotica si susseguono nelle menti degli spettatori in sala, ma anche quelle sono superate quando in un laboratorio si vuole diventare “dei”. Tuttavia questa volta la prima ad essere creata è stata la donna, dando una sfumatura quasi sessista alla vicenda. Il maschio è lo scienziato, la femmina è la scoperta, in un vortice di eventi che potrebbero richiamare le suffragette di un tempo non troppo lontano. D’altronde la battaglia per i diritti passa anche dal cinema, dando nuove sfumature ad una pellicola che aveva ben altri propositi.

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