Si è spento questa mattina a Roma, Francesco Rosi. Assieme a Bertolucci e Bellocchio era l’ultimo dei maestri italiani del dopoguerra. Era nato a Napoli il 15 novembre 1922.
La sua passione per il cinematografo è un’affare di famiglia. Il padre lo riprende bambino con una Pathé Baby, lo zio, capoclaque di rivista, e la zia Margherita lo portano sempre a cinema a vedere i grandi del muto.
Compagno di scuola di Giorgio Napolitano, Rosi fa una lunga gavetta a Roma, prima a teatro e poi come aiuto regista di Visconti in La terra trema e Senso.
Partecipa alle sceneggiature di Bellissima e Processo alla città, dirige assieme a Vittorio Gassman l’adattamento di Kean – Genio e sregolatezza e debutta quindi alla regia nel 1958 con La sfida, ambientato nella Napoli del dopoguerra, a cui segue I magliari, che vede Alberto Sordi nei panni del protagonista, in uno dei suoi rari ruoli drammatici.
Il suo terzo film è già Salvatore Giuliano, forse il suo capolavoro più limpido e necessario, nel quale il suo stile secco, debitore del documentario tanto quanto del reportage giornalistico si mette al servizio di una preziosa ricostruzione d’ambiente.
La sua regia magistrale gli vale l’Orso d’Argento a Berlino e il Nastro d’Argento.
Con il proverbiale Le mani della città del 1963 descrive la speculazione edilizia e la corruzione politica di Napoli – e di tutto il paese – con una forza che esclude qualsiasi retorica.
“I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce”: questa didascalia incornicia il film, che lo impone come uno dei grandi maestri del cinema italiano degli anni sessanta. Il Leone d’oro al Festival di Venezia è una consacrazione.
Dopo un paio di film meno riusciti, negli anni ’70 la sua stella torna a brillare grazie al sodalizio con Gian Maria Volontè – il volto principe del cinema italiano di denuncia: prima Uomini contro da Lussu sulla Prima Guerra Mondiale e poi il magistrale Il caso Mattei, Palma d’Oro a Cannes, che ricostruisce le ultime ore del presidente dell’ENI, con uno stile ancora oggi modernissimo, incalzante, che lascia senza fiato.
Nel 1973 è ancora Gian Maria Volontè ad interpretare Lucky Luciano, il boss della mafia italo-americana capace di regnare incontrastato al di là e al di qua dell’Oceano, per oltre trent’anni.
Con Cadaveri eccellenti Rosi adatta Il contesto di Sciascia alla situazione politica italiana dell’epoca, anticipando la cosiddetta strategia della tensione e gli omicidi di stato.
L’adattamento di Cristo si è fermato a Eboli consente a Rosi di lavorare ancora con Gian Maria Volontè, mentre I tre fratelli, nominato all’Oscar e vincitore di 5 David di Dontaello e 3 Nastri d’Argento è forse l’ultimo dei suoi capolavori, adattato con Tonino Guerra da un romanzo di Platonov.
I suoi film si faranno sempre più rari: si segnalano una Carmen con Placido Domingo, l’adattamento di Cronaca di una morte annunciata da Marquez, che segna l’ultima collaborazione con Volontè e La tregua del 1997, tratto dal romanzo di Primo Levi, con il quale partecipa per l’ultima volta al Festival di Cannes e vince ancora 4 David di Donatello.
Nel 2012 Alberto Barbera aveva voluto onorarlo con il Leone d’Oro alla carriera, riconoscimento quanto mai necessario e illuminato, per uno dei grandi autori del cinema italiano.
Lucidissimo e appassionato, lontano da semplificazioni e retorica, è stato e continuerà ad essere un punto di riferimento imprescindibile per tutti coloro che hanno fatto e continueranno a fare cinema, senza compromessi con il potere.
Addio Maestro!
Piccola postilla polemica. Un rapido controllo dei film di Francesco Rosi disponibili nei grandi store online ci restituisce una realtà piuttosto deprimente.
Solo La sfida – il suo film d’esordio – è disponibile in bluray italiano. Per i suoi capolavori, Salvatore Giuliano e Le mani sulla città, bisogna far riferimento alle edizioni inglesi della Masters of Cinema. Gli altri suoi film si trovano solo in dvd, alcuni piuttosto risalenti nel tempo.
E’così che la memoria del cinema italiano finirà inesorabilmente per sbiadire. Se non siamo capaci noi di preservare e rinnovare i capolavori della nostra storia, chi dovrebbe farlo? Inutile piangere lacrime di coccodrillo: i nostri grandi maestri si possono onorare in un solo modo, facendo vivere i loro film. Prima che l’oblio abbia la meglio su tutto.

