Mereghetti su Oblivion

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Solo una stelletta e mezza per Oblivion, secondo il giudizio di Paolo Mereghetti.

Sul Corriere scrive: I giudici di Masterchef potrebbero definirlo «un mappazzone» e in effetti Oblivion assomiglia molto a un concentrato di tutte le possibili paure e suggestioni sul nostro apocalittico futuro, affastellate senza un vero «gusto» delle proporzioni e dell’insieme. Eppure questa specie di sincretismo cine-gastronomico è la regola aurea della cultura pop oggi dominante in un campo – quello della produzione e dell’elaborazione dei «valori» dominanti, come appunto dovrebbe essere il cinema – dove l’accumulo ha rimpiazzato la cernita e il giudizio. Tanto è meglio, in un mondo dove la bulimia – degli effetti speciali, dei budget, delle ambizioni – sembra l’unica regola possibile.

[…] Siamo sulla Terra nel 2077, ormai ridotta a un serbatoio in via di esaurimento di risorse idriche, necessarie per fornire energia alla colonia di umani emigrati su un satellite di Saturno.

[…] Fin qui siamo dalle parti di Wall•E con Cruise al posto del robottino (c’è anche una specie di citazione-omaggio, con un barattolo dentro cui cresce un fiorellino e un po’ di erba) e molte rielaborazioni visuali dei simboli della civiltà occidentali in rovina o semi-sommersi dalle sabbie (tipo il finale di Il pianeta delle scimmie). Ma quando il tempo della missione di Jack e Vika sta terminando, l’arrivo sul pianeta dei resti di una navicella spaziale terrestre in viaggio dal passato, con sola superstite la bella e inquietante Julia Rusakova (Olga Kurylenko), mette definitivamente in crisi le certezze del frastornato Harper.

[…] All’inizio, come sempre, ci sono Kubrick e Philip Dick, ma anche Moon di Duncan Jones e Fahrenheit (più Bradbury che Truffaut), il vitalismo di Hemingway con il mito della «bella morte», l’estetica post-apocalittica di Mad Max e l’immancabile omaggio a Dickens. E poi ancora la Liberty Bell di Filadelfia, i Canti di Roma antica di Thomas Babington e Il mondo di Christina di Andrew Wyeth, un po’ diBlade Runner e qualche scheggia di Alien , un leader rivoluzionario nero che viene da Chicago (!!!) e il sempiterno incubo di un Grande Fratello

[…] Ma non posso fare a meno di pensare che questo sincretismo bulimico è diventato, specie a Hollywood, la ricetta più diffusa per differenziarsi dalla produzione di routine, offrendo a un pubblico sempre più passivo il catalogo di tutte le suggestioni possibili, dove ognuno possa prendere quello che vuole. Come quei mega contenitori di caramelle colorate che hanno invaso i multiplex e i centri commerciali. Variopinte ma di gusto molto discutibile.

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