Le tre stellette su cinque di Peter Bradshaw per Zero Dark Thirty vanno più al film che alla storia che racconta: ben girato, con momenti di autentica tensione e un finale mozzafiato. Eppure, ci sono almeno due difetti che minano nel profondo l’ultimo film di Kathryn Bigelow, una tra le poche donne registe nel panorama desolatamente maschile della Hollywood mainstream.
Primo, la protagonista: Maya, interpretata da una bellissima ma legnosa Jessica Chastain, sembra arrivata in Afghanistan per caso, e somiglia fin troppo all’omologo agente segreto in gonnella della serie TV statunitense Homeland, su terrorismo e controspionaggio nella CIA.
This really is overdog cinema, whose machismo is not tempered by Chastain’s faintly preposterous, flame-haired character showing up at various locations as if for a Vogue cover shoot, at one point with some cool aviator shades.
Secondo, le scelte narrative: lo sceneggiatore Mark Boal, che già aveva lavorato con la Bigelow in The Hurt Locker, si è basato su una fonte CIA (tenuta scrupolosamente segreta) per costruire la storia; il risultato è un film che tifa sempre per la squadra di casa, senza preoccuparsi né della verità storica né (ancora più preoccupante) di prendere una posizione sui problemi morali che solleva, a partire dalle torture nella base militare di Guantanamo.
What the movie does is maintain a dramatically numbed, non-judgmental view on the torture and then on the non-torture. There is no tonal shift, and no disavowal, moral or strategic. They just change their tactics and the movie stays toughly, undemonstratively onside with the CIA good guys.
Zero Dark Thirty esce nelle sale italiane giovedì 7 febbraio.


Reblogged this on Le cinéma autrement.