Jafar Panahi e il regime iraniano

Jafar Panahi, il regista dei forbidabili Il Cerchio (Leone d’oro a Venezia nel 2000) e Oro rosso è stato nuovamente arrestato a Teheran, assieme alla moglie e alla figlia.

Noto sostenitore dell’opposizione al regime del presidente Mahmud Ahmadinejad, ieri sera alle 10 dei poliziotti in borghese hanno fatto irruzione nella sua abitazione. Oltre alla famiglia di Panahi sono state fermate anche 15 persone che si trovavano a casa sua.

Già in febbraio gli era stato impedito di partecipare al Festival di Berlino.

Pochi giorni fa Abbas Kiarostami, il più celebrato regista iraniano, le cui opere sono invisibili in patria da 10 anni, aveva concesso a Viviana Mazza del Corriere della Sera un’intervista molto amara e disillusa sul proprio paese:

 Lei dice che non parteciperà più alla politica, che si tratti di votare o di una rivoluzione. Partecipò però a 15 anni (dopo il golpe appoggiato dalla Cia per riportare al potere lo Scià) e poi nel 1979 alla rivoluzione. Cosa è cambiato? «Diventando adulto, ho sperimentato che non posso cambiare il destino di questa nazione. Da giovane, ovviamente, ero più idealista ed emotivo. Ora sono più pragmatico. Non posso cambiare il risultato, quindi non mi faccio coinvolgere. Il nostro Paese si trova in circostanze molto particolari. Non vedo nessuno per il quale io possa votare. Come posso votare per qualcuno nel quale non ho fiducia?».

Durante le proteste una sua foto scattata in strada circolò su Facebook. La gente diceva: «C’ è anche Kiarostami»! È vero? «Sì, ovviamente c’ ero. In quanto persona che vive in Iran, non voglio guardare solo la tv di Stato e non sapere cosa succede. Voglio avere un’ immagine più ampia. E’ la mia professione. Non vuol dire filmarli o farne un film. Ma andare in strada e vedere ciò che dice la gente, quanti sono, cosa fanno e dicono è mio diritto. Credo che il governo dell’ Iran si sia trovato di fronte al livello di insoddisfazione del popolo. Tutto è stato controllato con grande efficacia, il governo ha mostrato il suo potere. Ma ora bisogna vedere come potrà gestire il malcontento, perché è chiaro che l’ insoddisfazione è enorme». 

Il regista Jafar Panahi prima ha pagato la partecipazione alle proteste di giugno con il carcere e poi non gli hanno permesso di andare alla Berlinale. Teme che possa accadere anche a Lei? «La situazione di Panahi è unica e, date le circostanze, prevedibile. Ma potrebbe succedere a chiunque. Se non ci fosse stata reazione alle sue azioni, l’ Iran sarebbe il paradiso».

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