The Bikeriders

The Bikeriders **1/2

Il nuovo film di Jeff Nichols (Take Shelter, Mud) arriva a distanza di sette anni dall’ultimo bellissimo e sottovalutato Loving.

Girato nell’autunno del 2022 per 20th Century, The Bikeriders ha aperto il Festival di Telluride il 31 agosto 2023, prima di essere acquistato da Regency, Focus Features e Universal, che decidono di rimandare l’uscita di quasi un anno, a causa dello sciopero del sindacato attori.

Il film è tratto dall’omonimo libro fotografico di Danny Lyon che nel 1968 scrisse e ritrasse nello stile del New Journalism l’Outlaws Motorcycle Club di Chicago, vivendo con riders per un paio d’anni, così come aveva fatto Hunter S.Thompson con gli Hells Angels.

Il tentativo di Nichols è di farne contemporaneamente un omaggio al cinema classico dei ribelli su due ruote, da Il selvaggio a Easy Rider, passando dai film di Corman, ed assieme una summa delle sue ossessioni di autore, dal senso profondo per il conflitto tra culture e individualità, all’amore anarchico per la wilderness americana, dall’angoscia che si insinua come un veleno nell’animo dei suoi personaggi al fanatismo alimentato da figure di antieroi ambigui e disturbati.

Il film è costruito sulle confessioni di Kathy, una delle ragazze del gruppo dei Vandals MC, eterna fidanzata dello scapestrato Benny, raccolte da Danny Lyon nel corso degli anni.

La storia comincia con il suo ingresso nel locale frequentato da Johnny, il capo dei Vandals, in cui conosce Benny, instancabile e silenzioso corteggiatore: dopo una notte intera passata a fumare sigaretta, appoggiato alla sua Harley, di fronte alla casa di Kathy, i due finiscono per condividere un lungo tratto di strada.

Nel frattempo facciamo la conoscenza con gli altri membri dei Vandals, con i loro picnic, le loro bravate da duri, le loro storie personali e le loro miserie quotidiane.

Quando però il gruppo cresce e nascono altri capitoli dei Vandals in città vicine  in tutto l’Illinois, i nuovi bikers, figli dell’America violenta che ha visto la morte in Vietnam, portano nel piccolo gruppo originario elementi che finiranno per distruggerne la semplicità fraterna delle origini.

Nel frattempo Johnny cerca di convincere Benny ad accettare la guida del gruppo.

Il film di Nichols è costruito su una drammaturgia debole, che procede per accumulo, seguendo il filo di un lavoro giornalistico che si fonda sulla adesione mimetica al gruppo.

Questo lascia il film in una deriva narrativa per molto tempo, aggiungendo episodi e personaggi e cercando un affresco a più voci.

Forse il problema di fondo è nel diverso atteggiamento di Nichols e Lyon rispetto ai personaggi. Lyon scrisse infatti: “Alla fine ero un po’ inorridito. Ricordo che avevo avuto un grande disaccordo con questo ragazzo che aveva steso un’enorme bandiera nazista come coperta da picnic su cui appoggiare le nostre birre. A quel punto mi ero reso conto che alcuni di questi ragazzi non erano così romantici, dopotutto“.

Nichols invece lascia che il personaggio di Lyon si limiti a raccogliere acriticamente le testimonianze.

Il conflitto nel suo film si muove secondo due diverse coordinate: la prima è quella del triangolo fra Johnny, Kathy e Benny, con quest’ultimo conteso tra la fedeltà agli ideali del gruppo e l’amore della ragazza; la seconda invece indugia nella scontata contrapposizione tra la purezza ideale dei fondatori e la ferocia criminale dei nuovi membri.

In entrambi i casi si tratta di dinamiche che il cinema ha riproposto un milione di volte e che sembrano arrivare direttamente dai vecchi melodrammi della Hollywood classica, che Nichols non riesce mai a vivificare, anche perché la precisione di scrittura di quei lavori, qui viene sostituita da un racconto pieno di fratture, estemporaneo, dilatato.

Poco interessato all’aspetto politico e sociologico del fenomeno dei bikers, velleitario nel suo ritratto di gruppo, The Bikeriders finisce per restare accanto ai suoi tre protagonisti, alternandone il peso durante l’arco narrativo, lasciandoci immaginare la centralità dell’uno e poi dell’altro, cambiando continuamente il proprio obiettivo.

Alla fine The Bikeriders assomiglia più di quanto ci saremmo attesi a Loving: anche questa in fondo è una storia d’amore, improbabile e contrastata come l’altra, costretta questa volta a confrontarsi con il legame dell’amicizia virile e con lo spirito indomabile del gruppo.

Alla fine è ancora una questione di sentimenti, di fedeltà e tradimenti, a se stessi e ai propri ideali.

Mai pienamente integrato eppure debitore del cinema classico, Nichols si conferma regista sfuggente, costretto a fare i conti con la radicalità della propria ispirazione e con le necessità di una produzione mainstream: un po’ come accade al personaggio di Funny Sonny quando viene pagato per stazionare con la sua moto davanti ai cinema che proiettano Easy Rider.

Chi si aspettava un grande racconto elettrico e magniloquente alla Quei bravi ragazzi rimarrà deluso, in Nichols prevale sempre la vena più intimista e malinconica, il cupio dissolvi di un sogno di libertà fuori dalle regole.

Tom Hardy come sempre giganteggia nei panni del capo riluttante, ma Austin Butler ricava dai silenzi del suo Benny un’irrequietezza inafferrabile che disturba. Meno a fuoco l’inglese Jodi Comer, qui costretta in un pesante accento del mid-west e nei panni di un personaggio meno fragile di quello appare.

In sala dal 19 giugno.

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