Venezia 2014. Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza

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Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza ***

Il nuovo film di Roy Andersson è una gustosa riflessione sulla vita e le sue svolte surreali, composta da 39 piani-sequenza a camera fissa, che raccontano il peregrinare di due anziani rappresentanti di maschere e oggetti per le feste, attraverso un piccolo paese scandinavo.

Epilogo di una trilogia cominciata con Songs from the Second Floor e proseguita con You, The Living, il film si apre con tre divertentissime sequenze sulla morte – un marito vien colpito da infarto mentre apre una bottiglia di vino, una anziana donna in agonia non molla la borsa con i gioielli di famiglia, un passeggero muore su un traghetto dopo aver ordinato al ristorante – e poi prosegue, quasi sempre in interni, per raccontare i vani tentativi di piazzare la merce dei due rappresentati, i solleciti ai creditori che non pagano e le rivendicazioni della ditta che pretende le proprie provvigioni.

Spesso però il quadro divaga dalla trama principale e diventa musical travolgente, film in costume, incubo inquietante.

Andersson è fedele al suo cinema luministico e hopperiano nel quale i personaggi si muovono impercettibilmente, spesso truccati per sembrare pallidissimi.

La grandissima cura formale si apre spesso all’ironia, all’invenzione estemporanea, anche musicale, all’ingresso prorompente della storia e della farsa. Non tutto però è di primissimo livello e alcuni di questi 39 frammenti di vita sembrano fungere da riempitivo o pura divagazione.

I rischi di manierismo e di formalismo sono sempre presenti, in un film che sembra arrivare letteralmente da un altro mondo. Una volta superato lo sconcerto iniziale, il meccanismo narrativo si ripete però sino alla fine, senza grandi sussulti, se non quando appaiono le armate del sovrano Carlo XII e l’infernale meccanismo di tortura per gli schiavi di colore.

Ma anche gli elementi drammatici escono depotenziati dal contesto glaciale del film di Andersson, che fa un cinema esangue, cristallizzato in una riflessione sull’assurdità della vita e degli uomini: una scimmia da laboratorio soffre terribilmente, mentre la ricercatrice parla serafica a telefono: “Mi fa piacere sentire che le cose vi vanno bene“.

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