Fino a prova contraria – Devil’s knot

Devil's knot

Fino a prova contraria – Devil’s knot **1/2

Atom Egoyan è un regista discontinuo, ancorchè molto prolifico, la cui fortuna critica ha subito nel corso degli ultimi vent’anni un’altalena pari al successo dei suoi film.

Gli esordi con Exotica e poi il dittico capolavoro Il viaggio di Felicia e Il dolce domani, l’hanno imposto all’attenzione del pubblico cinefilo, ma non sono mancate nel corso degli anni le delusioni, i passi falsi, le critiche anche immeritate talvolta.

Nonostante ci abbia regalato almeno un altro film straordinario, Adoration – inedito in Italia – , il regista armeno, nato al Cairo, ma di nazionalità canadese, è incappato in alcuni passi falsi come Ararat e Chloe.

Questo Devil’s knot, che ha debuttato a Toronto, è stato accolto con superficialità dalla stampa americana, forse perchè il caso dei Tre di West Memphis era già stato indagato approfonditamente da documentari e libri che negli Stati Uniti hanno avuto una vasta eco: il film, tratto dal libro inchiesta di Mara Leveritt (Devil’s Knot: the true story of the West Memphis Three), non aggiunge nulla di nuovo a quanto già non si sapesse, ma usa gli strumenti del grande cinema per farlo.

Egoyan torna a raccontare una comunità distrutta dal dolore e dal pregiudizio, in cui tre bambini vengono trovati seviziati ed uccisi nel bosco chiamato appunto Devil’s knot.

La caccia al colpevole è condotta dalla polizia locale con la consueta superficialità. La pressione della comunità, l’ignoranza vendicativa, un malinteso senso della superstizione finiscono per indirizzare le indagini verso tre giovani, additati come i perfetti colpevoli: ascoltano musica metal, si vestono di nero, hanno una vaga fascinazione per i riti occulti.

La confessione suggestiva e lacunosa di uno dei tre, unita alla testimonianza improbabile di un quarto bambino, che asserisce di essere stato presente agli omicidi, chiudono il cerchio.

I tre finiscono in arresto e poi processati.

Il caso però non convince il detective privato Ron Lax, che pro bono, decide di occuparsi dei tre ragazzi, assiste i modesti difensori d’ufficio, cominciando ad instillare dubbi nel fragile impianto dell’accusa.

Troppo deboli e parziali sono le testimonianze, gli errori, le contraddizioni, le omissioni sono più convincenti delle confessioni, le indagini a senso unico hanno tralasciato elementi importantissimi. Alcune prove sono andate perdute: Possibili indagati sono stati scagionati dall’inettitudine di poliziotti condizionati dal pregiudizio e dalla pressione dell’opinione pubblica.

E persino i parenti delle vittime hanno qualcosa da nascondere…

Il film Egoyan è lirico e ispirato nella prima parte, che ricostruisce i gironi della sparizione dei bambini, le ricerche, i ritrovamenti, il dolore di una madre e di un’intera comunità.

Quindi mette in scena le indagini confuse, contraddittorie, sbrigative compiute dalla polizia, mentre entra in scena il detective Lax, con tutti i suoi dubbi.

Nella seconda parte il film segue la lezione di Lumet, nella ricostruzione dei processi ai tre ragazzi, condannati prim’ancora di essere ascoltati, tra l’inadeguatezza dei loro difensori d’ufficio, la severità di un giudice prevenuto e di una giuria troppo suggestionata dall’orrore del crimine.

Il processo si trasforma in una vera e propria caccia alle streghe, in cui è la personalità degli imputati a contare più dei riscontri probatori.

Egoyan si ferma alla condanna, lasciando alle didascalie finali, il compito di raccontarci le evoluzioni che hanno spinto lo stato dell’Arkansas a liberare i tre nel 2010.

Il film rispetta la complessità della storia e non cerca facili colpevoli. Mette in scena le lacune e gli errori commessi, semina dubbi e mostra tutta la superficialità ed il pregiudizio di un sistema troppo condizionato dall’emotività.

Egoyan non cerca nemmeno la facile empatia del suoi pubblico, forzando l’identificazione con il detective o con la madre di uno dei bambini uccisi. Si mantiene in pregevole equilibrio, mostrando invece la fragilità delle verità processuali.

Forse Fino a prova contraria non è uno dei suoi capolavori, ma è certamente un film onesto, di grande professionalità e che si pone pienamente nel solco del percorso autoriale di Egoyan.

Certo, chi ha visto i documentari dedicati alla storia dei tre di West Memphis non avrà grandi sorprese, ma il compito del cinema non è solo quello di raccontare la realtà, ma di interpretarla alla luce di un’idea personale del mondo e del cinema.

Ed Atom Egoyan lo fa perfettamente, mettendo in scena l’orrore di una comunità disposta a sacrificare i suoi figli due volte, mentre l’orrore continua a covare proprio in seno a quelle famiglie, solo apparentemente innocenti.

Ancora una volta Egoyan mostra tutti i limiti della macchina cinema: le testimonianze video, così essenziali nel caso giudiziario del Devil’s knot sono fallaci, traggono in inganno, sono manipolabili e contraddittorie: simbolo perfetto di una giustizia che vorrebbe essere veloce ed esemplare, ma che continua ad essere fallace e tragicamente emotiva.

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