Stranger Things 5 – Volume 1: la battaglia finale è appena iniziata

Stranger Things 5 – Volume 1

L’avevamo lasciata in coma, morta o quasi morta, al termine della precedente stagione di Stranger Things, in uno dei cliffhanger più abilmente costruiti dell’intera serie dei Duffer Brothers. Si cominci quindi col dire che in un letto d’ospedale giace ancora Max (Sadie Sink), la bella addormentata, sospesa in un mondo di sogni non suoi. Sentirà qualcosa, del mondo là fuori? Il suo innamorato Lucas (Caleb McLaughlin) ci crede. Spinto da una speranza incrollabile, Lucas perpetua il classico rito-mantra. Una musicassetta lanciata in loop ripropone l’estenuante, riconoscibilissima canzone di Kate Bush, la leva di un possibile risveglio. (Gli antichi Egizi credevano che la scomparsa definitiva di una persona fosse legata allo smarrimento del suo ricordo tra i vivi, in particolare del nome. E allora non mi lasciare Max, dice Lucas in lacrime, dammi un segnale Max. Max…)

Ci siamo, siamo di nuovo dentro. Nel novembre 1987 Hawkins, Indiana, cittadina inesistente sulle cartine ma ormai impressa a fuoco nell’immaginario collettivo, è militarizzata, con un’ampia zona (ennesima variante della Zona di stalkeriana memoria) sottoposta a regime di quarantena. Lì, al centro della cittadella controllata dall’esercito e sgomberata da ogni presenza di civili, sorgeva il dipartimento dell’energia, dove tutto è iniziato.

Contro il sistema, nella miglior tradizione del cinema civile americano e non solo, si eleva una voce libera. Non ci sbagliamo. È lei, Rockin’Robin (Maya Hawke), incontenibile speaker radiofonica dopo l’outing imposto a sé stessa. Finita l’esperienza di lavoro al Family Video, Robin è nuovamente coadiuvata da Steve (Joe Keery), il ragazzo rubacuori dalla zazzera inconfondibile.

Inizialmente, la sopravvivenza di Vecna agli eventi precedenti è messa in dubbio, ma basta uno sfarfallio di lampadine per trasformare l’ordine, molto precario, in caos. I primi quattro episodi della quinta stagione rilasciati da Netflix, per complessivi otto, lasciano intendere che la guerra al mostro sarà frontale. Il giorno del giudizio sta arrivando.

Quando il gruppo si ricompatta il racconto gira alla perfezione. Il fulcro del microcosmo/macrocosmo di ST resta lei, Undici (Millie Bobby Brown). Alla ragazza dai poteri speciali sono riservati addestramenti molto duri sotto la guida di Jim Hopper (David Harbour). Intanto è lo stesso Hopper a svolgere ricognizioni nella dimensione malata. Sia lui, bravo padre adottivo, che Joyce (Winona Ryder), la sua compagna comprensibilmente ansiogena, temono per la vita di Undici, ricercata dai militari.

Fa sempre effetto pensare di essere invecchiati con i personaggi di una serie. Un decennio costituisce un lasso di tempo significativo e, per le logiche narrative, un limite invalicabile, considerata anche la vocazione al racconto di formazione adolescenziale di ST. In ogni caso, nonostante l’età raggiunta, i protagonisti restano credibili. Se nella realtà gli attori hanno oltrepassato anagraficamente anche questa fase della vita, e sono ventenni fatti e finiti, poco importa. ST riesce a non difettare in termini di coerenza.

Ritroviamo così Dustin (Gaten Matarazzo) che coltiva il sogno di riaprire il mitico e sfortunato Hellfire Club, ma proprio questa malcelata ambizione scatena le ire di Andy (Clayton Royal Johnson) e della solita gang devota al baseball. Il tema del bullismo è molto calcato. La violenza, umana e non soprannaturale, tocca un vertice inedito con la rappresentazione realistica del pestaggio brutale in mezzo alle lapidi, una scena che spacca lo schermo.

E se non avevamo considerato il triangolo, basta tirare le linee tra Steve, Jonathan (Charlie Heaton) e Nancy (Natalia Dyer), la brava ragazza innamorata del giornalismo, per vederlo comparire in purezza. Jonathan, sempre splendido nella sua introversione al limite dell’incomunicabilità, gira con una maglietta verde celebrativa dei The Fall, uno dei gruppi che, disintegrando il punk, lo hanno reso eterno. Gli accenni alla musica indie, così come i riferimenti alla controcultura (il complottismo, i giochi di ruolo, gli immancabili alieni) caratterizzano da sempre i nostri eroi, marginali rispetto al pensiero mainstream. Ormai gli Anni Ottanta sono sbocciati, maturi come un frutto marcio. L’edonismo reaganiano è al suo apice e i ricchissimi coniugi Turnbow imprecano contro i democratici che suonano alla porta. ST sublima l’isteria ideologica e consumistica di quegli anni. Non troppo lontani dai nostri.

William, la prima vittima di Vecna, presenta le stigmate del paziente x. Il legame tra lui e il carnefice è un tema cardine della stagione. Il disegno del mind flayer acquista concretezza, sempre più simile all’estensione metastatica di una mente malata. Il progetto, in avanzata fase di realizzazione, dissangua molte teorie, fisiche, filosofiche e teologiche. Nulla che ci sorprenda. È semplicemente il male radicato nell’uomo a farsi universo parallelo, governo assoluto di un angelo de-caduto e imbrigliato nelle sue regole, prosciugate da ogni goccia di empatia.

Perché Vecna avrebbe rapito William, se non per sfruttarne le fragilità di bambino insicuro? L’orrore getta sempre le radici nella paura, antitesi biologica e manichea della razionalità. William è un ponte tra il sotto e il sopra, un tramite fragilissimo con un’antenna sulla testa (citazione da Robin) che la madre Joyce vorrebbe tenere al riparo da situazioni pericolose. Attenzione però al “discepolo”. Il finale rivela quanto possa essere fluido e proteiforme il potere ricevuto in dono da Vecna.

William preserva il suo amore, intatto, tenero e per il momento inesploso. La centralità del personaggio è ribadita, compreso il lato sentimentale ancora tabù. Robin, l’amica pazzerella, in un istante di vera epifania percepisce in lui titubanze ben note e successivamente gli racconta che la scoperta può ribaltarsi in gioia (ah, la scontata immagine del volare…)

Holly (Nell Fisher), la sorellina di Mike e Nancy, nella quinta stagione, da personaggio ricorrente entra a far parte del cast principale. Vediamo Holly distrarsi a tavola mentre legge avidamente un libro. Trattasi dell’opera più famosa della scrittrice per bambini Madeleine L’Engle. La trama di A Wrinkle in Time, in italiano Le pieghe del tempo, rivela molte affinità con le vicende e le storie di ST, un bell’esempio di easter egg metaletterario. Holly si immerge fino all’osso nelle ambientazioni fantasy dell’autrice e, sedotta dalla figura della Signora Cosè (la protagonista del romanzo), inizia a parlare con un amico immaginario. Peccato che di certi amici, ancorché immaginari, non ci si possa fidare.

Per gli spettatori sarebbe stato troppo spossante attendere, al fianco di Jason, il ritorno tra i vivi di Max (per inciso, nessuno “resuscita”, nemmeno il compianto metallaro Eddie). Così, gli autori fanno agire Max in un limbo, lo stesso in cui si perde Holly, l’eroica sorella di Mike. Qui la fiaba classica, con i suoi stilemi e stereotipi, incontra il metaverso, o qualcosa di molto simile, un delirio cyber impastato con gli incubi, un’allucinazione vivida, chissà. Il panorama idilliaco dei canyon è falso. Max, che ha attraversato tempeste oniriche, lo ha capito. Sono entrambe in prigione.

Vecna/Harry Creel (Jamie Cambell Bower) è il figlio di scelte sconsiderate portate all’estremo, Ricordiamo che la scienza, nella persona del dottor Brenner, decise di replicare i poteri di Harry nelle giovani cavie, declassate a numeri (ancora una volta la perdita del nome, topos potente della serie). La promessa di una stirpe assassina eppure controllabile, riconducibile all’inesauribile fonte del mito di Prometeo, finì male. Gli istinti del killer di famiglia, libero da ogni guinzaglio, confluirono in un impeto nichilistico destinato a corrodere il mondo. Per Harry, bambino psicopatico cresciuto in laboratorio, non fu più possibile scegliere, decidere, cambiare, ma solo agire.

Azione, quindi. Nella nuova stagione non c’è spazio per mediare. O vivere o morire. L’invasore non è alle porte, è già qui. Vecna, il grande distruttore, vuole l’estinzione dell’umanità. I confini tra le dimensioni, d’altronde, sono svaniti. I demogorgoni, servitori fedeli del Re e sue protesi di morte, impazzano ovunque. I soldati sbudellati non si contano. In risposta, i nostri eroi si lanciano con sempre maggiore convinzione oltre le linee nemiche. Le dimensioni sono così intrecciate che non si distinguono quasi più. ST accelera su questa linea: confusione, instabilità, assenza di riferimenti. In un attimo qualunque si può cadere. La civiltà è attaccabile da qualsivoglia direzione.

Muri generano muri. Ce n’è uno invalicabile, nel Sottosopra, fatto di muscoli e sangue. Tra le novità, un cannone ipersonico in grado di neutralizzare Undici e un’altra icona degli anni Ottanta, Linda Hamilton, l’indimenticabile Sarah Connor della saga di Terminator, chiamata a interpretare la dottoressa Kay, il capo del laboratorio militare che tenta di portare a termine i lavori di Brenner.

ST amplifica il peso del passato per riversarlo sul presente. Jim Hopper ricorda sua figlia scomparsa. Dustin va a meditare sulla tomba di Eddie. Lucas senza Max non campa più. Joyce è tormentata dal rimorso per non esserci stata “quella notte”. La porta che conduce al futuro è bloccata. Il mostro presidia i sogni e le coscienze. Eppure, la disperazione non è mai di casa. ST celebra, ancora e ancora, la forza dell’umanità. I nostri non sono scienziati, bensì – lo sappiamo da tempo – persone normali dotate di buona volontà, coraggio e tanto ingegno “artigianale”. Nessuno si salva da solo. È un’unione di cuori a sfidare il male. Anche se battaglia del quarto episodio si traduce una clamorosa débâcle, la sfida è lanciata con la massima determinazione.

Ospedali, basi militari, edifici in stile vittoriano, tunnel, portali aperti e chiusi: il Volume 1 della quinta stagione conferma la codificazione degli ambienti storici di ST. Comunque vada, alla serie verrà riconosciuto il merito di aver innovato in chiave pop la recente letteratura del terrore, proliferata attorno a quei non-luoghi che sono i suburbs americani. La cameretta di Holly, o la villa dei Turnbow, rappresentano la summa dell’incubo borghese per eccellenza: essere strappati via dalle proprie comodità verso un altrove di tenebra. A proposito dei Turnbow, menzione speciale per il giovane bullo Derek (Jake Connelly), autentico outsider con un nomignolo, “dipshit”, che farà tendenza…

La ripresa di tante storie, un primo episodio che stenta a carburare, molte emozioni, ironia e lacrime distribuite nelle giuste proporzioni, un cast, come al solito, strepitoso e il desiderio di vederne ancora. Prepariamoci all’epilogo. Max si risveglierà? Holly tornerà dalla dimensione nascosta? Il Muro si sgretolerà? Qualcuno a cui siamo affezionati morirà? Il mondo sarà liberato? To be continued…

Titolo originale: Stranger Things. Fifth Season. Volume 1.

Numero di episodi: 4

Durata: 60 – 80 minuti l’uno

Distribuzione: Netflix

Uscita in Italia: 26 novembre 2025

Genere: Mistery, Horror, Science fiction, Drama.

Consigliato a chi: vorrebbe rifugiarsi in una grotta, ha sempre desiderato un gavettone a forma di granata, è convinto di saper leggere nella mente altrui.

Sconsigliato a chi: tiene molto alla sua collezione di bottiglie di vino, ha un pessimo ricordo delle giostre, non crede all’esistenza del manzo essiccato.

Letture parallele:

In Florida il cielo ha cambiato colore. Vi ricorda qualcosa? Paradiso terrestre (Mercurio, 2024) è il primo romanzo tradotto in italiano di Laura Van Den Berg, scrittrice americana.
Inquietanti creature, ibridi, mutanti, avanguardia di una nuova umanità: La parte meravigliosa (Coconino press) è il graphic novel capolavoro in tre volumi di Florent Ruppert e Jérôme Mulot.

Max dixit: “la musica sa sempre come trovarti, anche nei luoghi più oscuri”.

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Questa recensione viene pubblicata senza il consueto giudizio sintetico in stellette: per la valutazione complessiva della quinta stagione attenderemo il gran finale del 1 gennaio 2026. 

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