Task: un dramma corale sul senso di colpa e la responsabilità verso chi amiamo

Task ***

Task è la storia di una caccia all’uomo con tre protagonisti: l’agente speciale dell’FBI Tom Brandis (Mark Ruffalo) che coordina una squadra incaricata di mettere fine ad una serie di rapine nella periferia di Philadelphia, Perry Dorazo (Jamie McShane), il glaciale leader della gang Black Hearts, spacciatori camuffati da motociclisti e l’uomo che gli ha sottratto una borsa piena di droga, l’operatore ecologico Robbie Prendergrast (Tom Pelphrey). Una lotta senza esclusione di colpi, condotta da protagonisti che hanno masticato, ciascuno in modo diverso, il dolore della vita e la sua fredda ineluttabilità. In particolare è con Tom e Robbie che abbiamo l’opportunità di entrare in empatia e di sviluppare una negoziazione significativa: a dispetto delle rapine, Robbie appare da subito dotato di umanità e di grande affetto nei confronti della sua famiglia, che si trova a condurre da solo dopo che la moglie lo ha abbandonato. Sotto un’apparenza solare e affettuosa, c’è in lui un magma di voglia di rivalsa, insoddisfazione e utopica speranza in un futuro diverso. Al suo fianco c’è Maeve (Emilia Jones), la figlia del fratello , un membro della gang che è stato ucciso dopo essere stato ingiustamente accusato di aver rubato parte degli incassi. Anche la famiglia di Tom non è delle più felici: lui, un ex sacerdote, si trova con il figlio adottivo Ethan in carcere per aver causato la morte della moglie, caduta dalle scale durante un acceso diverbio. Tom, come la figlia biologica Sara (Phoebe Fox) e quella adottiva Emily (Silvia Dionicio), non ha ancora elaborato il lutto, mentre sta per iniziare il processo al ragazzo. Brandis è letteralmente a pezzi, diviso tra amore per Ethan e incapacità di perdonarlo per quello che è successo; fede e dubbio sull’esistenza di Dio; desiderio di famiglia e bisogno di solitudine.

Tom e Robbie vivono quindi nel tentativo di elaborare il lutto e di raccogliere i pezzi della propria famiglia, entrambi aggrappati a soluzioni esterne che appaiono come fughe o comunque come percorsi che divergono dal problema. Un misto di rabbia e desiderio di vendetta, per Robbie, di frustrazione e senso del dovere, per Tom, impedisce ai due uomini di essere lucidi e di guardarsi veramente dentro, nell’illusoria speranza che l’esito delle loro attività possa risolvere i problemi (Robbie) o quantomeno anestetizzarli (Tom). A ben guardare anche Perry si muove per tutelare e proteggere la sua particolare famiglia, quella dei bikers appunto, anche lui rifiutandosi di affrontare le questioni irrisolte, ma cercando nel recupero della merce rubata la risposta ad ogni criticità. Seguendo questo schema i tre uomini finiscono solo per complicare ulteriormente la situazione, in una catena causa effetto che non lascia spazio alla speranza di un reale superamento della criticità data.

A questa catena autodistruttiva, che presenta una chiara connotazione di genere, le donne rispondono con azioni che si sviluppano all’interno del perimetro familiare e non al suo esterno. Sia Emily, la giovane figlia adottiva di Tom, che Maeve, la nipote di Robbie hanno uno sguardo diverso da quello maschile, uno sguardo rivolto all’inclusione e alla cura più che alla vendetta. Con il passare degli episodi la tensione tra queste due polarità finisce per affiorare e concretizzarsi non solo in scontri verbali, ma in vere e proprie prospettive esistenziali diverse. Tra i personaggi femminili in particolare risalta Maeve, la nipote di Robbie che, nonostante la giovane età, porta sulle spalle la gestione della casa, dei due figli di Robbie e l’attività lavorativa in sala giochi. Maeve non ha spazi di evasione, non se li può permettere e preferisce sacrificare la propria libertà alla gestione dei bambini. Pensando alla sua vita manca quasi il respiro: come e più degli altri personaggi il suo dolore è non solo innocente, ma acquisito, quasi un’eredità a cui non può sottrarsi e su cui naturalmente pesa in modo rilevante la dinamica di genere. In un contesto in cui il rapporto causa effetto è delineato nella sua drammatica consequenzialità, Maeve rappresenta la via per superare la catena dell’odio e della negatività: non con viaggi utopici, colpi ad effetto o l’immersione nel proprio lavoro, ma con il prendersi pienamente carico della cura e delle responsabilità del proprio ruolo, qualunque esso sia. C’è poi un’ulteriore specifica attenzione che emerge dalle diverse storie familiari raccontate nella serie: quanto e come le colpe degli adulti ricadono sui figli. Forse in questo non c’è niente di originale, ma l’intensità delle performance e la qualità tecnica rendono il dramma emozionante e coinvolgente.

La sceneggiatura, per quanto come detto non particolarmente originale, riesce a rendere al meglio il dolore dei caratteri e i loro drammi familiari, senza scadere nella retorica. Anche la critica sociale, evidente in particolare rispetto alla gestione dei minori affidati alla custodia dello Stato, è sempre sviluppata con misura e senza forzature rispetto al tessuto narrativo. Si intravede l’ambizione per la trattazione di temi alti (come la morte, il perdono, l’eredità di una vita, l’influenza del comportamento degli adulti sui minori), ma quando poi si affronta nel merito il contenuto dei dialoghi, ci si accorge che c’è piuttosto pensosità che profondità. La scrittura di Brad Ingelsby (già autore di Omicidio a Easttown) si conferma efficace nel descrivere la provincia americana che cerca di resiste alla periferia urbana, avvinghiandosi tenacemente a quel sottile filo di bellezza residua che si oppone alla bruttezza dilagante. Così come la natura anche le famiglie, per quanto fragili e disfunzionali, cercano di resistere: ci riescono quando prevale il principio della cura e del sacrificio su quello dell’egoismo e dell’interesse personale. In generale la vita non è accomodante e la serie ci trasmette questo concetto utilizzando un’estetica sporca, fatta di inquadrature con camera a mano, luci volutamente imperfette con riflessi accecanti e zone d’ombra.

Tra gli interpreti emergono Mark Ruffalo, nei panni di un travagliato Tom Brandis, misurato e pensoso quanto basta, perennemente incurvato e con gli occhi arrossati e quella di Tom Pelphtey, un Robbie Prendergrast capace di alternare solarità e disperazione, gioia infantile e profonda depressione. Al di là dei singoli, tutto il cast è ben amalgamato e le interpretazioni femminili sono emotivamente tra le più vibranti e coinvolgenti degli ultimi anni. Ottima Emilia Jones (Maeve) così come la fragile ed espansiva agente Elizabeth Stover (Alison Oliver) o la determinata agente Aleah Clinton (Thuso Mbedu). Ci sono poi Donna (Stephanie Kurtzuba), la compagna di Perry e Eryn (Margarita Levieva) che si trovano in una scomoda posizione all’interno dei Black Hearts.

Task ci è sembrata una serie in grado di offrire un viaggio emotivo intenso attraverso le dispersioni delle famiglie, le fragilità del tessuto sociale e delle relazioni (non solo affettive, ma anche lavorative). Lo fa partendo da una storia crime che però non rappresenta il centro del racconto, tanto è vero che ad un certo punto si esaurisce, almeno nella forma con cui si era presentata all’inizio (duello tra tre antagonisti), posizionandosi così sul crinale di generi diversi, in un mix ben dosato di family drama, crime e cop drama che oltre ad intrattenere, lascerà lo spettatore con la necessità di fermarsi e pensare.

TITOLO ORIGINALE: Task

DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 50 minuti

NUMERO DEGLI EPISODI: 7

DISTRIBUZIONE STREAMING: Sky Now

GENERE: Family Drama Cop Drama Crime

CONSIGLIATO: a quanti cercano una storia emotivamente coinvolgente, senza dover necessariamente avere un’unica identità di genere.

SCONSIGLIATO: inadatto a quanti cercano un racconto crime e compatto e adrenalinico: qui l’aspetto sociale e quello psicologico sono determinanti.

VISIONI PARALLELE: un crime-drama dello stesso sceneggiatore, immerso nella provincia americana e con una grande interprete: Kate Winslet. In tre parole: Omicidio a Easttown.

UN’IMMAGINE: Robbie in acqua è un simbolo di libertà per molti aspetti iconico. L’acqua torna a più riprese nel racconto, simbolo di una purificazione capace di sorprendere e di scompaginare le carte che la sorte ci ha consegnato, ma anche di donare pace e liberazione. Due personaggi muoiono in acqua o nei pressi dell’acqua che accoglie e custodisce i loro corpi, quasi purificandoli. All’acqua si legano diversi momenti rilevanti a livello di plot, ma anche nella memoria dei personaggi l’acqua rievoca momenti di pace e di armonia.

2 pensieri riguardo “Task: un dramma corale sul senso di colpa e la responsabilità verso chi amiamo”

E tu, cosa ne pensi?

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.