Dopo aver dato uno spessore filologico e ancestrale alla saga con il riuscitissimo Prey, Dan Trachtenberg e Patrick Aison con questo Badlands, spostano radicalmente il loro punto di osservazione, tornando evidentemente nel futuro dominato dalla Wayland Yutani.
Ciononostante nel lungo incipit ambientato sul pianeta Yautja Prime, cercano ugualmente di raccontarci elementi nuovi sulla specie che comunemente abbiamo definito predator, mostrandoci la loro brutalità spartana, che riconosce nella forza e nell’individualismo gli unici valori.
Per la prima volta l’aliano non è l’antagonista della storia, ma il protagonista principale.
Il racconto comincia infatti con il piccolo Dek, destinato dal padre Njohrr a essere ucciso per mano del fratello Kwei: è ritenuto infatti troppo debole per meritare il mantello che dona l’invisibilità e per far parte della tribù degli Yautja.
Quando Kwei si rifiuta di uccidere il fratello, Njohrr sacrifica lui e scaccia Dek dal loro pianeta.
L’astronave di Dek atterra su Genna, dove vive il mostruoso e invincibile predatore Kalisk che il giovane ha fatto voto di uccidere.
Qui si trova di fronte ad un ambiente ostile e sconosciuto, pieno di insidie.
Ad aiutarlo c’è un cyborg della Weyland Yutani, Thia che assieme alla gemella Tessa è alla guida di una spedizione con il medesimo obiettivo di catturare il Kalisk.
Nel primo incontro con la gigantesca creatura la spedizione Thia ci ha rimesso le gambe ed ha perduto i contatti con Tessa e con gli altri androidi della spedizione.
La strana coppia formata dallo Yautja rinnegato e dalla sensibile cyborg trasportata come uno zaino sulle sue spalle, attraversa così le insidie di Genna, aiutata da una piccola creatura nativa che chiamano Bud, fino al nuovo incontro con il Kalisk.
Questo Badlands è un predator pensato per un pubblico Disney, animato dai buoni sentimenti, dallo spirito collaborativo, che affronta due volte il rapporto tra fratelli, mettendolo al centro del suo percorso di formazione.
Come nelle avventure moderne, la diaspora familiare iniziale prelude a una ricomposizione nuova, alternativa, non legata ai legami di sangue. Altrettanto inevitabile è l’uccisione rituale di padre abusivo, testimone di una cultura lontanissima da ogni inclusività.
Curioso poi che il finale aperto preveda un nuovo incontro familiare ancor più minaccioso di quello che il protagonista ha faticosamente risolto.
Badlands ruba a Aliens lo scontro finale con un robot manovrato dal villain e costruisce il rapporto tra Thia e Tessa sulle impronte di Blade Runner: gli androidi sognano ancora le pecore elettriche e hanno sentimenti che travalicano le necessità della missione per cui sono stati programmati.
Gli stessi sentimenti che Thia insegna a Dek, completamente ricondizionato rispetto alla sua cultura aggressiva e violenta.
Peccato che il film sia complessivamente innocuo, depurato da ogni criticità e complessivamente edificante, in maniera sconcertante. Il fatto che la protagonista sia una Elle Fanning istintivamente empatica, toglie ogni dubbio sulla natura del suo personaggio. E il raddoppio che le affida anche il ruolo della crudele Tessa sembra una scelta non particolarmente indovinata, anche questa piuttosto di maniera.
Ma la trasformazione più evidente è quella operata sul predator, qui umanizzato e indagato sino a togliere il mistero e la ferocia dai suoi tratti originali, banalizzando la sua mitologia nel racconto di un adolescente ribelle.
La natura del male, il senso della minaccia, la paura stessa sono idee e sentimenti depotenziati e resi innocui da un racconto in cui gli unici davvero cattivi sono esseri sintetici, cloni e cyborg, privi di ogni volontà, che obbediscono esclusivamente agli ordini impartiti da una corporation lontana.
Persino il gigantesco e invincibile Kalisk assume un ruolo diverso nel corso della storia, sfumando ogni criticità e ogni vero spavento.
Piacerà al pubblico questa sorta di buddy movie girato in Nuova Zelanda, con un Predator umanizzato e assai poco letale?

