La strada stretta verso il profondo nord: un medico australiano tra amore e guerra

La strada stretta verso il profondo nord ***

Tre parole, solo tre parole entrano nella testa del giovane medico australiano Dorrigo Evans per non uscirne mai più: YOU BURN ME. Tu mi bruci. La citazione, tratta da una brevissima poesia, corrisponde a una dichiarazione d’amore esplicita e passionale. La strada stretta verso il profondo nord, produzione australiana in cinque episodi, è la traduzione seriale del fortunato romanzo di Richard Flanagan, vincitore del prestigioso Booker Prize (pubblicato in Italia da Bompiani). La miniserie racconta una storia di adulterio in cui il vero scandalo sta nel dolore causato dall’impossibilità di essere, totalmente e forse ingenuamente, felici.

Basta uno sguardo a innescare i meccanismi del desiderio irresistibile. Il giovane Dorrigo, in visita da suo zio Keith ad Adelaide, si imbatte nella persona che segnerà in maniera indelebile la sua vita. Amy Mulvaney serve ai tavoli del bar annesso all’albergo di proprietà del marito, decisamente più anziano di lei. E il marito, lo si sarà capito, è proprio Keith, che in Amy ha trovato un’ancora di salvezza dopo la prematura dipartita della prima moglie. Dorrigo, dal canto suo, è fidanzato con Ella Evans, la donna destinata a restare, nel bene e nel male, per sempre al suo fianco orientandone la fortunata carriera professionale. Oltre alle vicende personali, di per sé difficili, ci si mette la Storia con la S maiuscola a scombussolare maggiormente il tutto. Siamo nel 1940 e Dorrigo sta per andare in guerra.

La miniserie si dipana lungo tre assi spazio-temporali, stretti anche narrativamente in un intreccio inestricabile: il periodo prebellico ambientato in prevalenza ad Adelaide (l’amore), i giorni infernali della prigionia nel cuore della foresta thailandese (l’inenarrabile) e quindi la fase dell’età avanzata (la memoria), nuovamente in Australia. Nel 1989 Dorrigo Evans, chirurgo affermato, è infatti impegnato nel tour promozionale del libro postumo di Guy “Rabbit” Hendricks, suo amico e commilitone, morto in guerra dopo atroci sofferenze e disegnatore sensibile. Il discorso di Dorrigo si concentra in particolare sulla dimensione inafferrabile dell’orrore nella vita vera, definito senza forma e senza significato, sebbene l’arte possa, e debba, al di là delle parole, cercare di fissare qualcosa di quanto realmente accaduto.

La produzione ha pescato il jolly affidando il ruolo del giovane Dorrigo a Jacob Elordi, superstar e, almeno da Euphoria in poi, icona della generazione Z. Elordi, evidentemente a suo agio nell’incarnare i fantasmi del passato, vedasi anche la figura di Leonard in Oh, Canada di Paul Schrader, riesce a essere intenso soprattutto nelle scene di guerra. Alla lunga, però, il pur bravo attore australiano perde il confronto con il suo alter ego adulto, un magnetico Ciarán Hinds, perfetto nel dare spessore alle ambiguità e ai tormenti interiori del personaggio. Sul fronte femminile, Odessa Young (Assassination Nation, The Order) e Olivia DeJonge (già Priscilla nel biopic su Elvis diretto da Baz Luhrmann), entrambe australiane, interpretano le due donne di Dorrigo, Amy e Ella, rivali senza essersi mai conosciute. Notevole l’intesa tra i due attori giapponesi, Taki Abe e Sho Kasamatsu, rispettivamente il maggiore Nakamura e il suo superiore, il colonnello Kota.

Nakamura e Kota sono a capo di un’impresa titanica, la costruzione di una ferrovia su ordine diretto dell’Imperatore del Giappone per unire i territori occupati della Thailandia e della Birmania. Inizialmente i prigionieri australiani, ridotti a schiavi, tentano di dissimulare la propria condizione attraverso scherzi e lazzi, compresa la rappresentazione di un Romeo e Giulietta molto triviale che diverte perfino i loro aguzzini. Ma la guerra impone le sue regole oscene. Gli atti di violenza gratuita segnano una progressiva discesa agli inferi. L’orrore quotidiano diventa regola e le brutalità mostrate sono spesso al limite del sostenibile. Il caldo asfissiante, gli insetti e le malattie non fanno sconti. Non ci sono pause per un fisico già debilitato. Gli uomini, devastati nel fisico e nel morale, sono costretti a lavorare fino alla consunzione.

Plagiato dalla retorica nazionalista di Kota e dalla sua continua esortazione a sentirsi una razza superiore, il maggiore Nakamura cita, a giustificazione del rifiuto di prestare assistenza ai prigionieri, la prassi assassina dei grandi imperi della Storia. Anche il Giappone, entrato in un’era di gloria e di potere, rivendica il pieno diritto di fare ciò che vuole, incluso edificare opere eterne sulle ossa dei morti. Il nemico “colonialista” è degno solo di odio, mai di pietà. Molti anni più tardi, nel suo discorso, l’anziano Dorrigo dirà che la ferrovia non ha resistito al furore del tempo. I binari inutilizzati, divelti dalle intemperie e ridotti in rovine, possono essere considerati il simbolo evidente e tragico dell’assurdità di quella guerra, anzi, di ogni guerra combattuta in nome di qualcosa, di un dio, di un ideale, di una religione.

Il prigioniero è l’ingranaggio meno nobile della macchina implacabile della guerra. Escluso per definizione dal regno dei fini, quel regno cioè dove nessuno infligge il male al prossimo, il prigioniero scivola giù, nei gironi del degrado morale e dell’abiezione, perdendo, agli occhi del nemico, ogni briciolo residuo di dignità umana. Al prigioniero non è consentito sbagliare ed è picchiato a sangue, al mattino, se la coperta è piegata male. Quando l’Impero comanda l’invio di cento uomini al confine, Dorrigo chiede a Nakamura di risparmiare la marcia almeno gli infermi, ottenendo come risposta che gli ordini non si discutono.

Il campionario delle verità di guerra, quelle che in tempo di pace, cedendo al mito rassicurante dell’eroe, nessuno vorrebbe ascoltare, presenta vari gradi di efferatezza. Il povero Frank, commilitone incaricato, suo malgrado, del ruolo di caposquadra, subisce un’intera giornata di sevizie, nel fango e sotto la pioggia, per non aver rivelato i nomi di due renitenti al lavoro. Jack, detto “Arcobaleno”, muore sotto i ferri, non sopravvivendo all’amputazione della gamba andata in cancrena. In una scena di rara brutalità, esteticamente ineccepibile, Kota offre un’accurata lezione di decapitazione (“un momento euforico e terribile”), selezionando, a caso, uno dal gruppo. Primo, sguainare la spada, secondo, purificare la lama, terzo, fissare il proprio centro di gravità, quarto…

La miniserie racconta con delicatezza la nascita dell’amore tra Amy e Dorrigo alla vigilia del conflitto. L’accento è posto sulla genesi del sentimento e meno sul suo consumarsi effettivo. La sintonia tra Elardi e Young è convincente. Gli incontri tra i due promessi amanti, vicendevolmente legati da sguardi e parole pronunciate sul filo della poesia (la grande passione del giovane medico), hanno luogo su spiaggie infinite spalancate sull’oceano, per prolungarsi in nuotate cariche di tensione.

Dorrigo è una figura irrisolta, un medico tanto carico di empatia davanti al dolore fisico e mentale dei suoi compagni, quanto corrosivo, se non devastante, per i familiari a lui più prossimi: ne sono testimoni la moglie Ella, tradita prima e dopo il matrimonio (“ho perso tutto ciò che volevo molto tempo fa, in una guerra che non ho combattuto e per una donna che non ho conosciuto”) e lo zio Keith, colpito alle spalle mentre sogna di coronare, con Amy al suo fianco, la propria rinascita. A loro si aggiunge, nello spicchio di racconto collocato negli anni Ottanta, il collega Rick, marito di Lynette, ultima amante di Dorrigo in ordine di tempo. L’animo del dottor Evans è doppiamente squarciato, dalla troppa guerra e dal peso di un rimorso inguaribile.

Cos’è accaduto ad Amy? Lo scopriamo al termine del quarto episodio. Le invisibili leggi che governano l’esistenza giocano al protagonista il peggiore dei tiri. Improvvisamente l’amore, l’unico mai realmente provato da Dorrigo, si trasforma in un sentiero interrotto. Una tragedia non esorcizzabile, come una goccia che non smette di cadere, da allora lo scaverà nel profondo. Un ritaglio di giornale, inviato da Ella mentre lui è già al fronte, lontano, rappresenta la fine di ogni illusione. Amy è morta in un incendio. E con lei Keith.

Durante uno dei colloqui che Nakamura gli concede, Dorrigo viene a conoscenza della tecnica giapponese del kintsugi, consistente nel riparare le tazze di ceramica, generalmente utilizzate nella cerimonia del tè, con polvere d’oro. La metafora è scoperta: le suture, esposte quale parte integrante dell’opera d’arte, aprono all’estetica dell’imperfezione. La bellezza, favorita dal talento dei restauratori, può sorgere ancora. Il bisogno di riconquistare, in qualche forma, l’integrità smarrita, riconciliandosi con sé e gli altri, accompagna Dorrigo fino alla fine. Quando risponde alla Commissione interna che indaga su una sua eventuale infrazione del codice deontologico, il medico si appella ai propri valori, come se vi fosse qualcosa di incorrotto, di assoluto, in cui ancora credere.

L’anziano Dorrigo accetta in dono dalla delegazione giapponese la raccolta di haiku del maestro Matsuo Bashō, un autore che i fascisti giapponesi durante la guerra avevano politicizzato (e dal quale proviene il titolo del libro di Flanagan). “La memoria è la sola giustizia”, dice Dorrigo durante la presentazione del libro di Guy, ovvero l’unico collante utile a tenere insieme i cocci della Storia. Tuttavia, chi non è stato lì, nelle baracche, alla mercè di carcerieri spietati, non potrà mai capire la verità riposta in quei disegni, vergati su un taccuino clandestino, ammesso che la barbarie possa avere un qualche senso o significato.

Forti sono i contrasti nelle ambientazioni. Gli spazi sconfinati dell’Australia, circonfusi dalla luce abbagliante dell’estate, sono poi inghiottiti dal buio ventre della foresta thailandese, per arrivare ad un’epoca di pace e benessere anche economico (esemplificato dalla splendida la casa di Dorrigo e Ella), però trascorsa negli interni di stanze private, studi televisivi e sale operatorie. La distanza sembra annichilire i grandi eventi che furono. Un peso notevole è dato ai suoni, quasi si trattasse di un sottofondo parlante. Gli insetti ne sono una costante, quindi gli uccelli, le rane e, soprattutto nella prima parte, le onde del mare. Questo mormorio, troppo frequente per non suggerire un’apertura verso dimensioni, magari non mistiche alla Malick, però certamente di compresenza della natura nelle vicende umane, funge da misterioso coro.

Il desiderio di Frank morente (retaggio di un ricordo infantile), ovvero liberare i pesci dalla vetrina del Nikitaris’s Fun Shop, successivamente realizzato dai suoi compagni reduci dalla guerra, è un’allegoria ingenua e sincera. Tutto si può dire di questa breve serie, diretta da Justin Kurzel e scritta dal suo sceneggiatore di fiducia Shaun Grant, tranne che non tocchi le corde delle emozioni. La scena di Dorrigo titubante nella tenda di Nakamura, non in grado di sciogliere la riserva e decidersi per chi valga la pena ritornare a casa, Amy oppure Ella, riprende il messaggio autentico: YOU BURN ME, appunto. Alcuni incendi bruciano, eternamente, ma sulle labbra dell’amante si spegne il nome di chi li abbia appiccati.

Titolo originale: The Narrow Road to the Deep North

Numero di episodi: 5

Durata: 40-45 minuti l’uno

Distribuzione: TimVision

Uscita in Italia: 18 settembre 2025

Genere: Drama

Consigliato a chi: cita a memoria Catullo, associa a ogni stanza una nota musicale diversa, conosce il pensiero di Eschilo sui traditori.

Sconsigliato a chi: ha nel collo il proprio punto debole, con ago e filo non se la cava affatto, sottovaluta l’importanza delle toilette pubbliche.

Letture e visioni parallele:

  • Di Richard Flanagan, il suo primo romanzo: Morte di una guida fluviale, Bompiani, 2015.
  • Uno dei film per eccellenza sugli ultimi giorni dell’Impero giapponese: Il sole di Aleksandr Sokurov, disponibile su AppleTv+.
  • Un cult inevitabile, se si parla di prigionia (e ovviamente nel cast c’è pure David Bowie): Furyo di Nagisa Ôshima, disponibile su Prime Video.

Un’immagine che non vedremo: il grande faro dell’isola dell’infanzia.

 

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