C’è un momento, generalmente appena terminata la scuola, con il diploma in tasca, in cui avvertiamo che qualunque cosa potrebbe accadere. È normale che ognuno di noi, attorno ai diciotto anni, abbia avuto dei sogni. Alcuni si sono realizzati, altri no. Lo sapremo soltanto dopo. Intanto, si vive nel presente, un presente dilatato, illusorio, eterno. La soglia è attraversata e la vita adulta getta un’ombra sui nostri passi. Avvertiamo una cesura. Molte strade sono aperte. Si aggiunga che possono esplodere improvvise passioni. Ereditate, a volte. Spesso innescate da incontri fortuiti e casuali. Ragioni opposte si scontrano. Il caos minaccia l’ordine, un ordine sempre imposto dagli altri. Per i Runarounds la passione ha un solo nome: musica.
Le serie tv sull’adolescenza sono per loro natura ricattatorie. Agiscono sulle emozioni. The Runarounds è il progetto di Josh Pate successivo a Outer Banks. Proprio da quest’ultima serie è venuta l’idea di raccontare la storia di una band. I Runarounds esistono davvero. Si sono formati nel 2021 e hanno partecipato al casting della terza stagione di Outer Banks arrivando primi. William Lipton, Axel Ellis, Jesse Golliher, Zendè Murdock e Jeremy Jun sono diventati Charlie, Neil, Wyatt, Bez e Topher. Il cambio di nome – immaginiamo – è giustificato dall’esigenza di voler girare una serie, quindi finzione, anziché un documentario.
Lo straniamento è amplificato dalla scelta di inserire un personaggio fittizio, la groupie femminista Bender, con il ruolo di filmmaker del gruppo. I veri Runarounds ripresi due volte, ricreati due volte, inventati due volte. Sono loro e non sono loro. La chiave di lettura ce la offre Hannah Cooper, madre di Charlie e docente di cinema all’università. È il cinema in sé, come mezzo espressivo, a sovvertire la realtà. Parola dei surrealisti.
Bando alla complessità. The Runarounds è una serie leggera e per molti versi scontata. A contorno dei personaggi principali (i ragazzi), non manca alcuna tipologia umana, che sarebbe lecito aspettarsi. Ah, gli adulti, come sono cresciuti male… Ogni episodio è piacevole nella misura in cui gli sforzi dei cinque ragazzi suscitano, inevitabilmente, simpatia. La prevedibilità di molte situazioni, compreso l’happy ending, non infastidisce. Tocchi di ironia controllata ingentiliscono la ricetta. The Runarounds nella sua meccanica ricerca dell’obiettivo, cioè rimestare il calderone delle angosce esistenziali dell’adolescenza, funziona. Pur non avendo alcuna velleità di critica esplicita della realtà politica del nostro tempo, la serie di Pate racconta bene una certa America profonda, fatta di illusioni e delusioni, conflitti e sconfitte personali.
L’ambientazione è il North Carolina. Wilmington, per la precisione. Una città come tante. Molto si è ragionato, ad esempio, su Seattle e il grunge. Perché i Nirvana, i Pearl Jam e tanti altri gruppi, anche minori e non meno importanti per quello che fu più un suono che un vero movimento, sono nati lì e non altrove? Forse in certi posti, soprattutto in America, o si fa musica o si impazzisce.
Charlie Cooper, voce e chitarra, racconta la genesi della band in prima persona. All’inizio lui, con Charlie, Topher e Pete, si fanno chiamare Futhermucker. Fumano erba, cazzeggiano, pensano alla musica e alle ragazze. Sono in quattro, ma uno presto lascerà la band. Il simpatico Pete, nonostante l’encomiabile impegno, non riesce proprio a suonare in modo degno la batteria e, grazie a un annuncio appeso ovunque (riproduzione della Statua della Libertà compresa), verrà sostituito da Bez, un figlio d’arte, un ragazzo prodigio, un predestinato. Insieme a Bez, entra nel gruppo il quinto componente, l’introverso Wyatt. In occasione del primo concerto gli improbabili Futhermucker diventano i Runarounds. Il sogno può cominciare.
Le ragazze, si diceva. Charlie ci presenta subito Sophie Kinney, la donna della sua vita. Ovviamente, è un amore tutto da conquistare. Bionda, bellissima, secchiona (a lei è affidato il prestigioso discorso di commiato in occasione della consegna dei diplomi), Sophie è traumatizzata dalla morte recente della madre e vede il suo futuro all’università. Nient’altro che un futuro da medico. Non è la ricchezza a interessarle, ma la possibilità di prendersi cura degli altri. Anche se tutti si complimentano per la sua mente acutamente scientifica, i pensieri sussurrati in un diario rivelano una sensibilità fuori dal comune. Involontariamente, contribuirà a rendere grandi i Runarounds.
Le donne suppliscono alle carenze creative e organizzative degli uomini. Amanda, intelligente, determinata negli studi e proiettata verso una luminosa carriera nella grande finanza, pian piano smussa i suoi duri giudizi verso i Runarounds, per diventarne la vera manager (Pete non riesce a reinventarsi nemmeno in questo ruolo!). Amanda conoscerà una trasformazione durante l’estate post-diploma. Lascerà Topher e si aprirà a esperienze mai conosciute prima… Solo lei? No. The Runarounds è una serie sull’incanto delle stagioni di transito, quando l’imprevedibile può ancora accadere.
L’amicizia è un collante potente. I legami sinceri tra i ragazzi, cementati giorno per giorno dalla musica, sfidano le aspettative familiari. Non c’è genitore che non desideri vedere il proprio figlio, o figlia, al college. Per qualcuno ciò corrisponde a un’ancora di salvataggio in previsione di un futuro tempestoso e incerto. I genitori di Charlie devono fronteggiare una grave situazione di dissesto economico. Il padre di Neil è un muratore costretto a spaccarsi la schiena. La madre di Bez riesce a malapena a pagarsi le cure mediche (qualcuno ci ricorda il costo folle di chiamare un’ambulanza in assenza di assicurazione), mentre il marito, batterista come il figlio, viaggia per l’America. E se il padre di Sophie affoga nell’alcol il dolore per la perdita dell’adorata moglie, la madre di Wyatt, una donna di mezza età devastata dall’ossicodone e incapace di provare amore, conquista la palma di personaggio più disperato della serie.
Siamo di fronte a una rappresentazione intellettualmente onesta del crollo della classe media americana. Un tracollo economico, morale, generazionale. I figli non vogliono somigliare ai genitori. Topher esprime il concetto: preferire il tempo ai soldi. Il ragazzo fugge dallo stage che Amanda gli ha faticosamente procurato. Charlie non ci pensa affatto a proseguire gli studi. Wyatt viene sbattuto fuori di casa. Ne vale la pena? I Runarounds sfidano la brevità dell’estate. Pete cerca posti dove suonare. È un’ascesa di provincia, dalle feste di compleanno alla fiera della contea, una crescita all’insegna del divertimento e delle sbronze, però limitata, geograficamente collocata ai margini dell’America, insufficiente per chi ha grandi ambizioni. Poi Bez trova lo studio in cui registrare il primo demo. Forse, il punto di svolta. A patto di trovare tremila dollari…
A diciotto anni tutti cercano troppe cose. L’amore, l’affermazione, il riscatto. L’impulsività ha i suoi rischi. Charlie, che non sa scrivere testi convincenti, rompe con Sophie per aver letto il suo diario e averne tratto una canzone da sballo. Sophie soffre più per la fiducia tradita che per il plagio. Per i ragazzi i tre mesi estivi corrispondono a un frullatore di esperienze.
È ovviamente impossibile che un gruppo attraversi tante fasi di sviluppo, cadute e risalite, schianti e trionfi, in così poche settimane. Farsi trasportare dal racconto, leggero e amabile, è un esercizio facile. La serie intende mostrare l’ampio caleidoscopio emozionale dell’adolescenza e della prima maturità, a prescindere dalla veridicità di quanto raccontato. Il classico romanzo di formazione diventa così un’iperbole di momenti vertiginosi, spassosi e folli, finché il traguardo, all’ultima curva, sfiora pericolosamente l’abisso del fallimento.
Una vicenda mette al centro Bez. Lui ha l’opportunità di sfondare. Da solo. Grazie a una talent scout, dura e cinica come il mondo dello spettacolo richiede, il batterista potrebbe aggregarsi a un gruppo già affermato e guadagnare cifre importanti. Ma Bez rifiuta. The Runarounds diffonde ottimismo rispetto alla persistenza dei valori (l’amicizia in primis) in un’epoca segnata dal narcisismo compiaciuto. La serie si avvita attorno a un sentimento di nostalgia, per un presente idealizzato. Il fatto di puntare su una band innamorata delle chitarre rappresenta una scelta particolare, demodé. Vediamo i Runarounds suonare sul tetto di un edificio abbandonato e ci vengono in mente esempi di eroi musicali del passato, di quando il rock, con i suoi eccessi, per i giovani era tutto.
Maledetti giovani. Senza bussola. La vita impartisce insegnamenti necessari e spietati. Tra le figure irrinunciabili, quando si tratta di adolescenti, spicca quella del maestro incompreso, dimenticato, negletto. La band va ad ascoltare Dex, musicista country “alternativo” alla sua ultima apparizione, guarda caso sul picco di una montagna, topos di sermoni e rivelazioni fin dalla notte dei tempi. Dex tiene la sua lezione, in tutti i sensi allucinata, a bordo del meraviglioso pulmino rubato dai Runarounds ai ricconi del golf. Dex esorta a essere uniti e sinceri gli uni con gli altri. Poi scompare nel nulla. Mossa coerente, considerato il contesto bizzarro, favolistico. La gita porta i ragazzi e le ragazze nella misteriosa tenuta di Oz. Il mascheramento è il miglior modo per gettare la maschera e raccontarsi in libertà. Lo fa Bez, lo fa Amanda.
La scoperta più sconvolgente tocca a Charlie. In città è tornato Catesby, l’ennesimo artista non baciato dalla fortuna. Catesby ha aperto a Wilmington un negozio di chitarre usate che diventa la sala prove della band. Fare i conti è semplice. Diciannove anni prima, all’apice di un successo comunque effimero, Catesby ebbe una relazione con la madre di Charlie. Il tema della consapevolezza di sé incrocia quello della menzogna. L’irrequietezza di Charlie, potenzialmente fatale per il futuro della band, è forse un marchio ereditario? Ogni rockstar è vittima dei propri eccessi. Tra furti dell’attrezzatura, arresti in flagranza di reato e… granite sbattute in faccia, la carriera dei Runarounds è molto movimentata.
Di fronte a tante sventure solo la musica tiene in piedi i sogni. Certo, il marketing virale gioca la sua parte (qualcuno rinfaccia a Pete di essere rimasto alle fanzine del 1988…), ma suonare resta la chiave di tutto, andare sul palco con convinzione, energia e sentimento. Canzoni originali dei Runarounds a parte, molto adeguata al racconto è la colonna sonora, capace di scavare in profondità tra i tesori, anche poco conosciuti, della musica indie. La simpatia sprigionata dai giovani cantanti/attori buca lo schermo. Accanto a loro le tre attrici, Kelley Pereira (Amanda), Marley Aliah (Ruthie Bender) e Lilah Pate (Sophie), formano un trio ben assemblato, con le rispettive personalità a giganteggiare in mezzo a uomini ancora un po’ bambini.
Questa scelta di ripudiare la trap o l’elettronica da cameretta, a favore di modalità di fare musica che privilegiano il gruppo, è apprezzabile. Nell’episodio finale, quando sentiamo l’urlo è iniziata l’era del rock’n’roll, ci domandiamo in che anno siamo: le favole, a differenza delle mode, non invecchiano mai.
Titolo originale: The Runarounds
Numero di episodi: 8
Durata: 50 – 60 minuti l’uno
Distribuzione: Prime Video
Uscita in Italia: 1 settembre 2025
Genere: Teen drama
Consigliato a chi: ha uno squalo balena come spirito guida, si è sentita Taylor Swift anche solo per un attimo, non sopporta il bidone della spazzatura sotto casa.
Sconsigliato a chi: ha avuto una grossa perdita in bagno, cita massime buddhiste lette a caso su internet, scrive lo stesso romanzo da 12 anni.
Letture e visioni parallele:
Un libro irrinunciabile: David Byrne, Come funziona la musica, Bompiani (2023).
Quando un disco e un luogo sono la stessa cosa: Warren Zanes, Liberami dal nulla. Bruce Springsteen e Nebraska, Jimenez Editore (2024).
Uno dei documentari musicali più belli di sempre: Crossing the bridge – The sound of Istanbul di Fatih Akin, disponibile su Mubi.
Una profezia da interpretare: “L’onda vince sempre”.

