L’istituto: il talento dei giovani distrutto dalla follia degli adulti

L’istituto **1/2

Luke Ellis è un ragazzo con un’intelligenza straordinariamente superiore alla media. Il college di Minneapolis non gli può offrire più niente che già non sappia e, a soli 14 anni, uno dei protagonisti indiscussi della serie The Institute si sente pronto per trasferirsi al MIT di Boston. Incoraggiato dal suo preside, il ragazzo plusdotato comunica la decisione ai genitori. Così, davanti a un hamburger, Luke confessa i suoi desideri, rivela le sue ambizioni e parla di una specie di abisso che sembra attirarlo a sé.

L’Istituto è la traduzione di un romanzo di Stephen King del 2019 (edito in Italia da Sperling & Kupfer). Alla testa del progetto troviamo Benjamin Cavell, già ideatore di una precedente miniserie, The Stand, tratta dall’Ombra dello scorpione, capolavoro dei tardi anni Settanta, sempre del Maestro. Il regista è Jack Bender, mente di Lost e di From, quest’ultima probabilmente la produzione più simile, almeno per alcuni aspetti, alla nuova serie. L’introduzione è potente. La celebre hit dei Tears for Fear, Shout, coverizzata dalla band statunitense dei The Lumineers, offre già una chiave di lettura. Il testo invita a gridare in un mondo in cui nessuno ascolta. L’Istituto è proprio questo: un incubo silenzioso nascosto tra le foreste del Maine, un luogo di dolore in cui nessuno vorrebbe entrare, un buco nero progettato perché nessuno possa uscire.

Misteriose squadre d’assalto entrano in azione di notte. Anche Luke è prelevato dal suo letto. Come se nulla fosse accaduto, la mattina seguente Luke si risveglia in camera sua. È stato un sogno? L’illusione dura il tempo di conoscere la direttrice, Ms. Sigsby. La stanza è una riproduzione. Luke è prigioniero dell’Istituto.

Tutti i ragazzi “reclutati” hanno poteri speciali e sono suddivisi tra TK, cioè telecinetici, e TP, telepatici. La prima persona che Luke incontra è Kalisha. Da lei apprende dell’esistenza di una seconda casa. Per andarci occorre essere abbastanza “maturi” ed è per questo che gli “ospiti” sono sottoposti a esperimenti estorti senza consenso e finalizzati ad allenare il talento di ognuno. Vedere i “puntini” sullo schermo corrisponde a un target raggiunto. In cambio, i ragazzi ricevono dei gettoni da utilizzare alle macchinette automatiche, anche se molti (ironia) riescono a tirar fuori lattine o snack con la sola forza del pensiero…

Ogni prigioniero manifesta caratteristiche umane peculiari. C’è il ribelle (Nick) che fa esplicitamente resistenza e c’è il clown (George) che nelle giornate peggiori prova a suscitare negli altri qualche sorriso. Il gruppo è cementato da un forte senso di solidarietà. Che succede nella casa numero due? Nessuno lo sa di preciso. Ogni trasferimento è accompagnato da una surreale festa di compleanno.

La linea di frattura tra adulti e giovani, un must della filosofia di King, è riproposta in tutta la sua didascalica chiarezza. I primi impongono regole terribili ai secondi, violandone l’intimità. La società dei grandi, con i suoi meccanismi coercitivi, violenti e incomprensibili, rappresenta l’orrore per eccellenza. Qual è la funzione ultima dell’addestramento? Ms. Sigsby chiama in causa la patria e, con enfasi sospetta, il bene dell’umanità intera (“Stai per partecipare alla salvezza del mondo”). Nel settimo episodio i vari elementi sono rischiarati da una spiegazione. Pur nella sua distopica assurdità, il quadro presenta un dilemma etico.

Vittima delle sue perversioni, Sigsby deve arginare le tentazioni di ammutinamento degli ospiti. Chi dirige personalmente i test sui “pazienti”, spinto da motivazioni tanto ciniche quanto mediocri, è il dott. Daniel Hendricks, utilmente coadiuvato da Tony, un sadico tutore dell’ordine sempre pronto a menare le mani. Stackhouse, il capo della sicurezza, persegue obiettivi che travalicano le finalità dell’Istituto stesso. Un’eminenza grigia governa le singole questioni dettando le decisioni al telefono. La catena ha un anello debole. Il suo nome è Maureen, di professione addetta alle pulizie. Sono gli umili a incarnare il lato buono della favola e a essere sacrificati sull’altare di un oscuro potere.

L’Istituto è circondato dai boschi del Maine, protetto da guardie e filo spinato. Intanto in città (le tipiche cittadine alla King) arriva un certo Tim, sbirro della metropoli affezionato al latte d’avena, sopraffatto dai sensi di colpa e alla ricerca una forma di espiazione nella provincia lontana. Al colloquio di lavoro risulta chiaro che le sue credenziali sono troppo elevate per ricoprire l’incarico di guardia notturna. Agente dell’anno nel 2020, Tim Jamieson rivela di essersi dimesso da poliziotto dopo aver freddato un sedicenne armato in un supermercato. Lo stesso Tim puntualizza. Era fuori servizio, ma indossava la divisa e aveva bevuto. Da quel momento la sua vita è andata a rotoli.

Alla fine Tim ottiene il posto e stringe un’amicizia quasi affettuosa con la nuova collega, Wendy. Meno amichevole è il rapporto con il pavido agente Drew. Tim risiede nel grezzo hotel di Norbert Hollister, un appassionato di rettili con una particolare predilezione per la sua iguana “single”. Durante il primo giro di ispezione Tim si imbatte in Annie.

Qui tutti conoscono la vecchia, stramba Annie, un’ex alcolizzata costretta a vivere per strada. Annie è attratta dalle peggiori teorie cospirazioniste e, ovviamente, ne ha sviluppata una propria su quell’impenetrabile laboratorio di “microbiologia”. Tim prova per Annie un’istintiva simpatia. Dal passato emerge una vicenda di morte collegata un luogo tragico, la Scala rossa. Mistero chiama mistero.

In città molti si interrogano sulle reali attività dell’Istituto. Nessuno ha una risposta certa. Per i dipendenti non è facile resistere alla tentazione di sfogarsi e di parlare. Sfuggire al cappio appare impossibile e qualcuno cede all’autolesionismo (ecco, sublimare la pressione psichica marchiandosi i polpacci a fuoco vivo è una prassi che non consigliamo a nessuno). Chi si avvicina alla verità paga con la vita.

La follia degli adulti sta nell’aver abolito la vergogna. La coscienza non si fa più sentire e non riesce a trasformare le persone. Il male, con le sue propaggini di puro orrore, esprime l’essenza più profonda del potere, caratterizzato dalla totale assenza di trasparenza, democrazia e chiarezza.

L’imperativo dell’Istituto è sbloccare i poteri psichici per poterli utilizzare attivamente. La temuta “camera dei sogni”, un altare tecnologico di torture (una tecnologia però bizzarra, con forti connotazioni analogiche, ferma nel tempo e non abbastanza aggiornata, quasi da guerra fredda), rappresenta il ponte verso la seconda casa. La prima del gruppo a finirci è la giovanisima Iris, che vedremo agire in uno stato catatonico, mentre posa la cenere della sigaretta nella ciotola del porridge. Poi tocca a Kalisha. Il gruppo di ragazzi si chiede cosa ci sia dietro la porta, alla fine del lungo corridoio. Dall’esterno, visivamente, non trapela nulla. Il camino sputa un fumo sinistro, simbolo iconico di barbarie e probabile monito, per tutti, della triste sorte a venire.

Nessuno crede alla promessa fatta da Ms. Sigsby a ogni ragazzo rapito. Nessuno tornerà dalle proprie famiglie con i ricordi di quanto sperimentato laggiù magicamente cancellati. A denotare l’epidermica, brutale monotonia di un luogo senza speranza, contribuisce anche la scelta dei cromatismi. I colori adottati, in prevalenza il verde, il nero e il grigio, comunicano un senso di oppressione senza fine. Al pari di ogni singolo elemento decorativo dell’Istituto (vedasi i surreali manifesti appesi alle pareti), la finzione del parco giochi è un infantile tentativo di illudere e depistare dalla brutalità vera e presente. L’esortazione del dott. Hendricks a unirsi al ronzio per superare il dolore psichico appare l’ennesima menzogna. La verità non renderà liberi perché la liberazione, nella seconda casa, coincide con la morte.

Luke e Nick, tra una partita di scacchi e l’altra, progettano la fuga. Uno degli ultimi prigionieri, il giovanissimo Avery, TP talentuoso oltre ogni limite, riesce a entrare nella mente dei cani utilizzati dalle guardie nel pattugliare il recinto dell’Istituto. Si connette anche a Kalisha che, telepaticamente, racconta di un’esperienza nuova, chiamata notte-cinema. Le parole contano e sarebbe interessante soffermarsi sui molti termini neutrali (puntini, cinema, sogni, notte) trasformati, nel sapiente uso della lingua di King, in veicoli semantici di paura. Un ulteriore elemento tipicamente sci-fi, la precognizione, entra in gioco con (e malgrado) Luke. Alle spalle di Ms. Sigsby, fedele ai protocolli dell’Istituto, qualcuno tenta di forzare la mano, provando a trasformare il ragazzo di Minneapolis in un’arma da fine di mondo. Pensate se potessimo prevedere gli eventi, quindi modificarl,i controllarli … Un tema che ha tormentato molto, oltre a King, il buon Philip K. Dick.

Le due linee del racconto, quella inaugurata dal rapimento di Luke e quella relativa a Tim, scorrono in parallelo almeno fino al quarto episodio. La fuga del ragazzo anima la serie. L’incontro tra i due è un momento largamente annunciato. Luke ha con sé una chiavetta usb che potrebbe svelare al mondo le nefandezze dell’Istituto.

Questa macchina che hanno costruito ha dei bisogni, il più grande è un rifornimento costante di bambini, la seconda casa li consuma. È un video. La voce di Maureen fuori campo svela, con i termini rifornire e consumare, anche la metafora. Ms. Sigsby e soci portano all’estremo la logica dalla ragion di stato, basata in definitiva su un utilitarismo senza regole. Sparizioni, depistaggi e omicidi non tracciabili fanno parte del gioco.

La città pullula di agenti dormienti. L’Istituto ha il potere di bloccare le comunicazioni, i telefoni, internet. Se fossero scoperti, i dirigenti e gli scienziati dell’Istituto verrebbero a loro volta cancellati. Perché di ciò che fanno non deve rimanere traccia. Ogni obiettivo è un cardine. Ogni cardine rappresenta una minaccia per gli equilibri dell’umanità futura. La parola è presto detta: Apocalisse. La serie, in sintonia con la mitologia letteraria di King, guarda alla cattiva coscienza dell’America e, per estensione, al senso di colpa occidentale. Siamo votati alla distruzione per nostra stessa vocazione. I carnefici, da ultimo, sono essi stessi vittime di un’oscurità che straripa e trascende la vita dei singoli.

Mary-Louise Parker (Ms. Sigsby) e Ben Barnes (Tim) sono gli attori più in vista della serie. Il giovane Joe Freeman (Luke) è la vera rivelazione. Nel complesso, L’istituto è un teen-drama onesto, eppure non abbastanza intrigante, almeno rispetto alle premesse iniziali. Molto, se non tutto, sembra già visto. Gli otto episodi scorrono a tratti con eccessiva lentezza. Alcuni personaggi minori sono definiti in maniera un po’ grezza. Nonostante le debolezze, occorre però dire che la bolla di mistero, l’architettura analiticamente precisa, in senso kinghiano, delle atmosfere e l’impianto schiettamente letterario fanno da architrave a un progetto medio, comunque da tenere in considerazione tra le possibili visioni tardo estive del 2025.

Infine, l’ennesima conferma: dopo Stranger Things le serie sci-fi che parlano di adolescenti devono confrontarsi con una pietra di paragone forse insuperabile.

Titolo originale: The Institute

Numero di episodi: 8

Durata: 55 minuti l’uno

Distribuzione: MGM+

Uscita in Italia: 13 luglio – 24 agosto 2025

Genere: Horror, Sci-Fi, Teen Drama

Consigliato a chi: crede all’esistenza del terzo occhio, mangia le torte alle otto del mattino, trova sexy i ripostigli.

Sconsigliato a chi: non è bravo a tenere il fiato in apnea, ha prestato la sua auto a un collega, odia l’espressione “maschio beta”.

Letture e visioni parallele: di Stephen King, l’ultimo romanzo: Never flinch. La lotteria degli innocenti, Sperling & Kupfer, 2025.

Le parole di Ms. Sigsby sull’Apocalisse che ci aspetta sembrano prese dal recente, bellissimo libro investigativo di Annie Jacobsen, Guerra nucleare, Mondadori, 2025.

Inevitabile il rimando a un mockumentary del 2015 diventato un cult movie: The Atticus Institute, disponibile su Apple TV+.

Un’esortazione: Your time to shine!

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