Girl è il debutto alla regia di Shu Qi, musa del cinema di Hou Hsiao Hsien, dopo una lunga gavetta come modella e attrice di film erotici nella Hong Kong ancora indipendente.
Nata a Taiwan nel 1976 da una famiglia di umili origini, a sedici anni fugge di casa e raggiunge l’isola in cui diventerà celebre.
Il suo film sembra evocare in filigrana elementi autobiografici forti, nel raccontare le scelte e le speranze dell’adolescente Hsiao Li, nella Taiwan degli anni ’80.
Il padre è un meccanico, che ritorna ubriaco ogni sera, picchia e violenta la moglie e sembra sempre sul punto di insidiare Hsiao Li, che dorme nascosta in un armadio di stoffa.
La madre lavora come parrucchiera e realizza fiori di carta da pochi dollari, per arrotondare. La sorella più piccola condivide la stessa angoscia per un contesto familiare desolante.
Le cose cambiano quando a scuola Hsiao Li fa amicizia con la nuova alunna Lili Li, che ha vissuto negli Stati Uniti, prima che i genitori si separassero, costringendo la madre a rientrare in Cina.
Lili Li convince Hsiao Li ha bigiare le lezioni, a passare il pomeriggio al karaoke e la sera con dei ragazzi più grandi incontrati per strada. Il piccolo mondo della protagonista si allarga improvvisamente, mentre la madre la cerca dappertutto.
Il film di Shu Qi è un ritratto minimalista e sentimentale di una famiglia in cui l’amore è l’ultima opzione possibile dopo il risentimento, il rimpianto, la violenza e il dolore.
La madre è incapace di emanciparsi da un marito abusivo che concentra su di sé un carico di negatività senza fine. La sorella è solo una testimone muta, mentre Hsiao Li comincia a capire che un’altra vita è possibile, forse altrove, prima a casa della zia e poi grazie ad un talento sportivo mai coltivato davvero in passato.
Le opportunità che la sua famiglia non è riuscita a darle, vanno colte o costruite altrove. Il passo è doloroso, l’addio innaturale, ma forse la madre di Hsiao Li allontanando la figlia da sé le consente di ricominciare da capo, lontano da quella miseria che sta annientando la sua vita.
Alla fine dopo molti anni resta solo il rimpianto: “In tutto questo tempo hai mai pensato a me? A quello che facevo?”.
Non ci sono risposte possibili. Ma forse nel dolore dell’abbandono c’è una consapevolezza nuova.
Il film è chiuso negli interni accaldati di una Taiwan dei ricordi, in cui le immagini si piegano alle distorsioni grandangolari e a focali cortissime che tengono a fuoco solo chi sta al centro della scena.
Profeticamente nel viaggio da casa a scuola delle due sorelle riappare il tunnel sopraelevato che apriva Millenium Mambo, il capolavoro che ha consacrato Shu Qi come icona internazionale venticinque anni fa.
Il cerchio si è chiuso, forse solo ora, con questo piccolo memoir intimo e personale, che lascia intuire tutto il dolore di chi è sopravvissuto alla propria infanzia e alle proprie infelicità.

