Il regista iraniano Bahram Ark e la sua produttrice e compagna Sadaf Asgari si muovono su una vespa rosa per le strade di Teheran verso gli uffici della censura.
Hanno un appuntamento con il temuto funzionario Chegini, che deve concedere all’ultimo film del regista il permesso di proiezione per distribuirlo nelle sale iraniane.
Sadaf ha i capelli blu e non porta il velo. Assieme a Bahram decide di attendere il suo regista in strada, per non suscitare il disappunto del funzionario già prevenuto.
Il regista scopre tuttavia che il coinvolgimento di un cane nel suo film e l’uso della lingua turca, quella originaria di Bahram, vanno contro le direttive del regime.
Dopo un lungo tira e molla, il regista rifiuta di tagliare e doppiare il suo lavoro: “Ho girato senza permesso e lo distribuirò senza permesso”.
Qui comincia una tragicomica avventura per trovare la sala che accetti di proiettare il film senza visto, tra esercenti timorosi, attori vanesi e cocainomani, produttori minacciosi, cinefili e cinofili mecenati. A risolvere una parte dei problemi di Bahram sarà il fratello Bahman, regista a sua volta di commedie di grande successo.
Il film di Asgari è un affettuoso e divertito ritratto della gente di cinema, delle loro idiosincrasie, delle loro ossessioni, delle grandi difficoltà di chi si trovi a lavorare in un contesto complicato e pericoloso come quello iraniano.
Aleggiano sullo sfondo i capolavori di Kiarostami che sull’atto di filmare, sul fare cinema, sulla distanza tra realtà e rappresentazione ha costruito riflessioni di inarrivabile sensibilità poetica. Asgari sceglie una strada diversa, più vicina ad un certo cinema indie, che nella commedia trova la sua dimensione più autentica.
Ma accanto alla commedia c’è inevitabilmente una dimensione politica, quella di chi è costretto a convivere con le assurdità del regime. Assurdità che diventano particolarmente dolorose per chi deve subire che il proprio lavoro sia censurato sino all’invisibilità.
L’ironia diventa quindi atto di resistenza e ribellione, postura indispensabile per chi non ha potuto mai mostrare i suoi film persino ai familiari, come accaduto ad Asgari stesso, che dopo Kafka a Teheran è stato dichiarato persona non grata.
Il film è generoso, intelligente, pieno di ironia e amarezze, fino a quando la realtà improvvisamente irrompe nel racconto e lo interrompe un po’ troppo bruscamente.

