Good American Family: la bambina adottata che scoprì di essere adulta

Good American Family **1/2

Nel 2010 Kristine e Michael Barnett, una coppia dell’Indiana con tre figli di cui uno, Jacob, affetto da autismo ad alto funzionamento, decidono di adottare una bambina di sette anni di origini ucraine, Natalia Grace. I Barnett vanno in South Carolina, lo stato dove ha sede l’agenzia First Path Adoptions, accompagnati dai figli e da un simpatico peluche carico di coccole e amore.

Come recita il titolo della serie Disney+, i Barnett avrebbero le carte in regole per essere definiti a good american family, una famiglia americana modello. Kristine è impegnata nel volontariato, Michael lavora in una grande catena dell’elettronica. Il sogno di Kristine, l’apertura di un centro per ragazzi disabili, sta per realizzarsi. Mai fidarsi delle apparenze. La coppia è a un passo dalla separazione.

La showrunner Katie Robbins, già autrice di Sunny, serie AppleTv+ del 2024 con un robot “domestico” come protagonista, per Good American Family si è ispirata a un’incredibile storia vera presentando le due versioni dei fatti, inevitabilmente contrastanti. Il legal disclaimer che compare all’inizio di ogni episodio sottolinea il rilievo delle dichiarazioni rese in tribunale sia dai Barnett che da Natalia durante nelle varie tappe processuali.

I primi quattro episodi raccontano una vicenda dai toni paradossali. L’adozione adombrata da misteri, i capricci della ragazzina, i terribili sospetti iniziali, i presunti tentativi di omicidio ai danni di Kristine, le ricerche avvalorate da esami clinici, la convinzione crescente sulla falsa identità di Natalia che non sarebbe una bambina ma una truffatrice adulta. Nella seconda parte della serie, con la momentanea vittoria dei Barnett ottenuta fissando, in termini legali, l’età di Natalia a 22 anni, il focus si sposta su quest’ultima ed è come attraversare lo specchio di Alice.

Dalla documentazione fornita dall’agenzia, Natalia risulta essere nata con una rara forma di nanismo. La sua storia parla di abbandono, di orfanotrofio, di rifiuto della prima famiglia adottiva senza una chiara motivazione. Il primo impatto con Kristine e Michael è spiazzante. Natalia alterna attimi di tenerezza a improvvise escandescenze. La gita al mare, dove lei si sente esclusa dai giochi dei fratelli e getta all’aria i piatti del ristorante in un impeto d’ira incontrollabile, rappresenta un campanello d’allarme rispetto a qualcosa di ancora ignoto. La vista della cameretta rosa piene di bambole la fa imbestialire. Natalia ha problemi di deambulazione. Le spese mediche, comprese quelle passate, risultano a carico dai Barnett, già in bolletta per i recenti sforzi economici sostenuti (il licenziamento di Michael peggiorerà la situazione).

C’era molta curiosità attorno a Ellen Pompeo. La protagonista di Grey’s Anatomy ha lasciato dopo vent’anni il personaggio che l’ha resa universalmente famosa ed è ripartita da Good American Family. L’attrice in alcune interviste ha evidenziato la complessità della figura di Katrine, o almeno della Katrine così come rappresentata nella serie. In effetti, in lei convivono pulsioni sadiche e linguaggio “woke” (persona piccola è meglio di nanismo…), istinti di difesa e egoismi portati all’estremo.

Katrine appare maniacalmente concentrata sul suo progetto. Il libro biografico The Spark, cioè La scintilla, scritto con una ghost writer, racconta l’esperienza del figlio geniale (Jacob riesce ad essere ammesso alla facoltà di fisica all’età di dieci anni). Dopo la pubblicazione, Katrine diventa una stella televisiva.

Io sono l’unica che “sa come farlo sentire uomo”, dice la donna del marito Michael, interpretato da Mark Duplass (The League, Lo stravagante mondo di Greenberg). Un uomo, a dire il vero, schiacciato dalla personalità della consorte. Michael perde il lavoro senza avere il coraggio di rivelare la triste novità alla famiglia. Natalia, venuta a conoscenza della notizia casualmente, spiffera tutto. Furba o innocente?

Stupefacente è l’interpretazione di Imogen Faith Reid, al suo primo, autentico ruolo da attrice. Reid, affetta da una sindrome genetica caratterizzata da ritardo della crescita, ha ammesso di essere stata molto provata dalle riprese e che le lacrime di Natalia erano anche le sue. A rendere il cast ancora più vicino alla realtà, si aggiunge la presenza di Aias Dalman, giovane attore autistico nei panni dell’intelligentissimo Jacob.

Michael fa propri i dubbi della moglie, sebbene noti l’inclinazione della donna ad accentuare (o forse distorcere?) il significato degli avvenimenti. Natalia non riesce a integrarsi a scuola. Picchia i compagni e preferisce la compagnia degli adulti. Nel quarto episodio, virato su tinte horror, i due arrivano a chiudere l’ospite inquietante in garage. Fino a qui la narrazione lavora per indurre in noi una quasi certezza sulla colpevolezza della ragazza. O meglio: una colpevolezza che può essere tale solo se legata al suo essere riconosciuta donna già adulta. Nella versione dei Barnett, i calzini macchiati di sangue assurgono a prova inconfutabile del voler nascondere il ciclo mestruale (che una bambina di otto anni non può avere). La candeggina versata nel caffè, le puntine sparse sull’uscio di casa, i pupazzi tagliuzzati e nascosti sotto il letto sarebbero, anzi per i Barnett assolutamente sono, le evidenze di una personalità pericolosa e deviante.

Confortati da referti medici presi come oro colato e interpretati sulla base di una teoria precostituita, i Barnett ottengono dal tribunale della Contea la modifica dell’età della ragazza rimanendone però tutori legali. Mossa furba. Natalia, ora adulta, conosce la triste realtà degli ospedali psichiatrici, per essere poi costretta a vivere in un appartamento di Westfield in totale solitudine. Katrine e Michael le versano ogni mese un assegno assicurandole gli alimenti e la copertura delle bollette. I tentativi di Natalia di scalare i mobili della cucina per poter aprire i pensili superiori e di svitare i rubinetti della doccia rappresentano i momenti a maggiore impatto emotivo della serie. Non si può che provare pena. D’altronde, tra i programmi televisivi Natalia preferisce ancora i cartoni animati e le sue reazioni sembrano effettivamente quelle di una bambina.

Sconvolge la mancanza di protezione sociale attorno a Natalia. Nel giro di qualche giorno l’appartamento, già misero, è ridotto a porcile. Saltuariamente, Michael si presenta da lei per accertarsi della situazione. Non è un gesto d’amore, bensì una prassi motivata dall’esigenza di controllo e dalla paura che qualcosa, rispetto ai piani, possa andare storto. I rapporti si limitano all’essenziale: pagare per evitare ogni tipo di contatto.

Natalia, nonostante tutto, vorrebbe tornare dai Barnett, non sapendo che intanto si sono trasferiti in Canada. Per questo si avventura in un epico viaggio notturno in pullman trascinando con sé un vicino di casa, un bambino che, ovviamente, finisce per provare tanta, tantissima paura. Non servono a nulla le scuse. Natalia, odiata in quanto adulta (essendo costretta a qualificarsi tale!), deve traslocare. Anche dopo l’operazione alle gambe resta una persona invalida, svantaggiata e bisognosa di cure. Il suo destino, appeso a un filo, è affidato al caso.

La serie è il ritratto di un pezzo d’America profonda. Nel 2013 Cynthia Mans, la moglie di un predicatore, vede una ragazzina ferma al margine di una strada. I suoi piedi sanguinano al punto da non riuscire più a camminare. Natalia sta tornando da scuola. I Barnett le hanno intimato di ottenere un diploma per conquistarsi l’indipendenza economica. Cynthia, interpretata da Christina Hendricks (l’iconica Joan Holloway di Mad Men) manifesta curiosità per quella strana tipa che ripete il solito mantra: ho 22 anni e ho cercato di uccidere la mia famiglia. Manipolazione di Kristine?

A Cynthia basta ispezionare la casa di Natalia, in condizioni disastrose, per comprendere la gravità della situazione e fiutare l’affare. È la seconda figura adulta, nonché femminile, in odore di ambiguità di Good American Family. Cynthia accompagna Natalia al supermercato pagando con la tessera prepagata dai Barnett. Poi la invita nella residenza dei Mans, adiacente la chiesa dove il pastore nero Antwon esorta i credenti a rendere pubbliche testimonianze di fede.

Nella casa dei Mans vivono sette bambini, tutti adottati. La nuova arrivata resta per cena, vede la tv con l’allegra tribù e passa la notte sul divano. Il processo di lenta integrazione è iniziato. Cynthia ottiene di farla visitare da nuovi medici che ribaltano le diagnosi iniziali. Le cartilagini sarebbero quelle di una bambina e non di un’adulta. Cynthia convince suo marito che quella ragazzina è un segno di Dio. Tuttavia la pietà cristiana ha un prezzo. Natalia è anche una fonte di reddito.

La serie non segue un andamento lineare, scivola spesso da un punto all’altro del tempo e ci mostra la vita di Katrine e Michael a matrimonio finito. Nel 2019 lui ha una nuova compagna, mentre lei è diventata una scrittrice di successo inseguita dai principali network americani. Michael, fin troppo caratterizzato da Duplass nelle pose di uomo alla continua ricerca di approvazione (per legare con Natalia lo vediamo giocare alla rockstar, per vendere elettrodomestici fa il buffone) si decide a incolpare Katrine, definita “il diavolo”. Parla di pugni e gomitate sferrate alla bambina. Di ossessione dell’ex moglie per l’età. Vengono allo scoperto i medici ascoltati dai Barnett. Emerge la volontà di manipolare i risultati delle analisi da parte di Katrine. Michael dice al detective Brandon Drysdale che “loro sapevano”. Natalia non poteva essere un’adulta.

Good American Family ci interroga sul senso della parola “verità”. È un’esplorazione psicologica attorno al valore dei fatti e alla loro negazione. La distorsione appare un esercizio semplice. La realtà che cambia, a seconda del punto di vista, produce nello spettatore una sorta di vertigine. Sebbene il tema sia calato in una vicenda privata, non sfugge la valenza pubblica della questione in un tempo segnato dalla disinformazione.

La versione di Katrine ha le caratteristiche di un sistema chiuso o, per adottare un termine abusato, di una bolla. Falsa, eppure plausibile. La storia della bambina scambiata per adulta è anche al centro di una docuserie in tre stagioni, The Curious Case of Natalia Grace. Si evince che Natalia, scappata dalla famiglia Mans, trova pace presso i DePaul. Le viene diagnosticato un disturbo reattivo dell’attaccamento. Che significa?

Lo scrittore americano Donald Antrim nel suo struggente libro autobiografico Un venerdì di aprile, recentemente pubblicato da Einaudi, collega le sue pulsioni suicide al rapporto con la madre morta alcolizzata. Scrive: “Leggevo John Bowlby che con il suo lavoro sulla separazione e la perdita ha dato forma alla teoria dell’attaccamento”. Secondo lo psicologo inglese la competenza sociale e il benessere di un individuo sono frutto dei legami stretti tra il bambino e una figura di riferimento nei primi anni di vita. La ricetta per essere felici, o almeno per non essere infelici, è semplice e universale. L’amore, prima di tutto.

Titolo originale: Good American Family

Numero di episodi: 8

Durata: 50-60 minuti ciascuno.

Distribuzione: Disney+

Uscita in Italia: 19 marzo – 30 aprile 2025

Genere: Drama.

Consigliato a chi: non invia mai la foto sbagliata, si è posto domande esistenziali sui donuts, preferisce le case con poche scale.

Sconsigliato a chi: ha paura dei temporali, diffida dei colloqui di lavoro online, trova strano un detective che cita il Vecchio Testamento.

Visioni e letture parallele:

  • Orphan, il film horror del 2009 con Peter Sarsgaard che avrebbe influenzato i Barnett, è disponibile a pagamento su varie piattaforme.

  • Superare il trauma causato da un legame malato è possibile: Anne-Laure Buffet, Madri che feriscono. Liberarsi dalla loro influenza per rinascere, Feltrinelli, 2022.

Un oggetto: l’apriscatole.

Una torta: la Red Velvet.

 

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