Cannes 2025. Nouvelle Vague

Nouvelle Vague ***

L’eclettico Richard Linklater, uno dei padri del cinema indie americano, questa volta prende di petto il mito e grazie ad un copione di Vince Palmo e Holly Gent, racconta il making of di uno dei capolavori del cinema, il rivoluzionario À bout de souffle di Godard, girato in venti giorni nella Parigi di fine estate del 1959.

Nonostante arrivi in sala dopo gli esordi di Truffaut, Chabrol e Resnais, Fino all’ultimo respiro diventa l’autentico manifesto della Nouvelle Vague, nata all’interno della redazione dei Cahiers du Cinéma: la sua libertà formale esibita e sfacciata, la sua indifferenza alla regole classiche del montaggio, lo svelamento della finzione con la rottura della quarta parete, l’assenza di una vera sceneggiatura e l’uso amplissimo dell’improvvisazione durante le riprese, la ricerca di una verità istintiva da parte degli attori consapevoli e inconsapevoli coinvolti sul set, ne fanno uno dei più radicali degli esperimenti cinematografici di quegli anni febbrili.

Linklater ricostruisce con passo svelto e adesione mimetica la temperie culturale in cui si muove quel movimento ancora embrionale, le rivalità e le amicizie, i dubbi della star Jean Seberg e del produttore Georges de Beauregard, la fedeltà di Jean-Paul Belmondo e della troupe.

E così mentre sullo schermo appaiono i nomi dei personaggi reali di questa bellissima storia d’amore per il cinema, vediamo Truffaut a Cannes a presentare I 400 colpi, Roberto Rossellini ospite della redazione dei Cahiers rubare i tramezzini prima di andarsene, Jean-Pierre Melville col suo Stetson bianco sul set dei suoi polar e Bresson che gira Pickpocket nel metro.

Mentre tutti sembrano avere la propria opportunità Godard si lamenta di essere in ritardo sulla rivoluzione che vorrebbe guidare.

E grazie all’aiuto di Truffaut e Chabrol convince il produttore a investire su un piccolo film poliziesco, con una troupe ridotta all’osso e metodi talmente poco ortodossi da spingere de Beauregard a passare alle vie brevi per far comprendere all’istrionico neoregista il rispetto del tempo delle riprese.

Ma il genio non si può ingabbiare e Godard continua a fare di testa sua, dichiarando concluse giornate di lavoro mai iniziate per mancanza di ispirazione, facendo ammattire truccatrici ed attori, convincendo il suo operatore a girare sugli Champs-Élysées nascosto dentro un carretto per i giornali.

E’ curioso come anche questa volta a Godard vengano attribuiti un carattere impossibile e vanesio, una sentenziosità pomposa, modi impossibili e pose sprezzanti da maître à penser, sempre sul crinale che separa il genio dall’impostore.

Nei venti giorni di riprese, il regista non mette mai il proprio occhio sull’obiettivo della macchina da presa, che resta quasi sempre sulle spalle del suo operatore, gira uno o due take, non si preoccupa per nulla della continuità e degli angoli di ripresa, guidato solo dal suo istinto e da un’ispirazione sostenuta da una dose quasi impareggiabile di supponenza.

Linklater affida il compito ingrato di incarnare le idiosincrasie del protagonista a Guillaume Marbeck, perennemente con gli occhiali da sole, eppure dannatamente espressivo e anche in fondo simpatico, in un ritratto che è affettuoso e riconoscente al contempo, ma che non intende edulcorare nulla. La sua è un’interpretazione da premio, certamente.

Zoey Deutch nei panni dell’attrice americana Jean Seberg è il suo controcanto: la professionalità hollywoodiana sconcertata dall’assenza di un qualsiasi metodo, pronta persino ad abbandonare il set, esasperata dalle richieste assurde del giovane debuttante.

Ma è magnifica la coralità di tutti i nomi e i volti coinvolti, sia pure per un cameo, che tuttavia ci fanno intuire perfettamente il senso di un movimento ampio, coinvolgente e dirompente, fatto di individualità fortissime, ma anche di una solidarietà condivisa e di pensieri e ideali comuni.

Certo, per dirla con Ford, siamo nel campo della leggenda.

La fotografia di David Chambille in formato 4:3 è poco meno che miracolosa nel restituire la bellezza del bianco e nero di quegli anni, la sceneggiatura è brillante, svelta, senza fronzoli, la regia di Linklater come al solito mimetica, essenziale, al servizio della storia.

Il film è un piccolo gioiello, imperdibile per tutti gli appassionati.

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