Il titolo non mente: al centro del racconto, più dei mirabili ragionamenti dell’investigatrice/ornitologa Cordelia Cupp (Uzo Aduba); più dei veleni e degli odi tra i membri dello staff del Presidente e le persone che lavorano dietro le quinte, come idraulici o camerieri; più delle idiosincrasie reciproche che coinvolgono un po’ tutti i partecipanti alla cena di gala tra Usa ed Australia; più ancora del misterioso omicidio dell’House Chief Usher, A.B. Winter (Giancarlo Esposito), c’è lei: la residenza per eccellenza, la Casa Bianca. Nel corso degli otto episodi che compongono questa serie distribuita in Italia da Netflix, andiamo infatti ad esplorare, con profondo voyeurismo, tutti gli angoli della residenza del Presidente degli Stati Uniti e della sua famiglia. Utilizzando spesso la tecnica della carrellata con accelerazione, percorriamo e ripercorriamo tutte le stanze dell’edificio, dai saloni di rappresentanza alle camere private, dalle cucine alle scale di servizio, senza dimenticare le porte nascoste, i ripostigli e il grande parco in cui si trovano diverse specie di uccelli che suscitano l’interesse della sig.ra Cupp che, come detto, oltre che investigatrice è anche un’ornitologa sempre munita di binocolo e pronta a registrare sul suo diario tutte le specie volatili avvistate. Ovunque, anche nel parco della Casa Bianca. Brillante, anticonformista, intuitiva, ma profondamente razionale, Cordelia si presenta come una versione contemporanea dei grandi ispettori del passato, strizzando l’occhio a tanta letteratura di genere. Tra le sue armi più efficaci un silenzioso sguardo maieutico, con cui mette talmente a disagio i suoi interlocutori da spingerli a confessarsi senza filtri.
E’ un’umanità piena di debolezze e bugie quella che emerge dagli interrogatori e Cordelia, immune ad entrambe, affonda nelle mezze verità dei suoi interlocutori come un coltello nel burro. Gran parte di questi caratteri sono ispirati al libro The Residence di Kate Anderson Bower che racconta anni di vita lavorativa (e non) dietro le quinte delle Amministrazioni che si sono succedute alla Casa Bianca. I personaggi più interessanti sono del resto proprio quelli meno “importanti”, come Sheila Cannon (Edwina Findley), la cameriera con dipendenza dall’alcool e ancora alle prese con l’elaborazione del lutto per il cambio di amministrazione o il fratello del Presidente, Tripp Morgan (Jason Lee), inconcludente e commiserato, ma così pericoloso per i potenziali danni che può portare all’immagine del Presidente da essere confinato in una stanza della Residenza. Non tutti i caratteri sono piacevoli, anzi i tratti respingenti non mancano, espressione di un’umanità imperfetta e zoppicante, ma in lotta per vivere. Quasi tutti hanno dei lati oscuri e nascondono una parte di verità, anche i personaggi apparentemente più innocui come la cameriera Elsyie (Julieth Restrepo) che tutti sembrano adorare. I politici sono decisamente meno interessanti e vitali, impegnati in una rappresentazione autoreferenziale che Cordelia osserva con cinico disprezzo e senza alcuna accondiscendenza.
Questa serie presenta una forte componente letteraria e una profonda stratificazione visiva e non potrebbe essere diversamente dato il numero impressionante di film e serie Tv che hanno come location la Casa Bianca. Colpisce la preponderanza della lingua, utilizzata in modo brillante con dialoghi repentini, giochi retorici, battute taglienti, andando a scandire il ritmo degli avvenimenti insieme alla musica jazz (in sottofondo) e al montaggio.
Non è usuale dare tanto spazio ai dialoghi o almeno non lo è negli ultimi anni e questo richiede una specifica attenzione da parte dello spettatore. La serie ha quindi un target un pubblico adulto, come si evince anche dalle problematiche che emergono nella vita privata dei personaggi e che sono in gran parte riconducibili al team work, alle aspirazioni professionali, alle responsabilità verso gli altri, al confine tra libertà e anarchia. Esplorare la Residenza e i rapporti tra lo staff vuol dire anche fare un’analisi delle dinamiche di relazione, di leadership, di gestione degli imprevisti, di tolleranza dello stress correlato al lavoro. A ben guardare c’è tanto materiale per raccontare come viviamo il nostro impegno quotidiano e come piccole cose possano modificare profondamente equilibri e rapporti interpersonali.
Mi voglio soffermare su due aspetti di peso minore nel contesto narrativo, ma comunque interessanti nel discorso che in questi anni abbiamo sviluppato, attraverso molteplici recensioni, sui temi e sulle modalità narrative. A riguardo dei temi il rimando, peraltro solo accennato, ad un fantomatico attacco alla Casa Bianca che avrebbe segnato nel profondo tutto lo staff e che avrebbe rappresentato la scintilla per l’avvio della relazione tra Elsyie e Bruce, è un riferimento alla paura contemporanea che serpeggia nella società e che non risparmia nemmeno la casa del Presidente degli Stati Uniti. Nessuno è al sicuro, nemmeno tra le mura della White House. Dal punto di vista delle modalità narrative è poi interessante il mix di verità e finzione, di cronaca e fiction che attraversa gli episodi, con riferimenti reali a Presidenti, First Ladies e aneddoti (come quello finale su Ted Roosevelt, presidente ornitologo) che mischiano reale e immaginario in un intreccio non sempre facilmente districabile. E’ un tratto distintivo della nostra epoca la contaminazione di generi, ma anche sempre più quella di realtà (virtuale/reale; storico/immaginario).
La miniserie, pensata da Paul William Davies (Scandal) e prodotta da Shonda Rhimes (Grey’s Anatomy), presenta molteplici punti di forza: come detto la scrittura, soprattutto grazie ai fuochi d’artificio dei dialoghi e ai brillanti twist che complicano l’indagine e rimandano la soluzione della vicenda fino allo scoppiettante episodio finale, probabilmente il più riuscito; la regia di Liza Johnson (The Last of Us) e Jaffar Mahmood (Reboot) che percorre e ripercorre la casa con una fluidità avvolgente; le interpretazioni degli attori, tutti ottimi nei rispettivi ruoli e con una buona chimica d’insieme. Al di là della protagonista Uzo Aduba (Orange is the New Black), nel cast ci sono del resto tanti volti noti al pubblico, come Giancarlo Esposito (Breaking Bad, Better Call Saul, The Mandalorian) che ha sostituito il compianto Andre Braugher nei panni di AB Wynter, Parco Randall (WandaVision e diversi film Marvel) che interpreta l’agente dell’FBI Edwin Park, Isiah Whitlock Jr. (The Wire, Veep,Your Honor) nei panni del capo della polizia Larry Dokes, l’unica persona di cui Cordelia abbia rispetto professionale e infine Al Mitchell (Just Mercy, Swamp Thing), ovvero il capo maggiordomo Rollie Bridgewater. La sensazione di freschezza iniziale è però messa alla prova dal format in otto episodi e dalla mole di personaggi e di dati. Anche alcuni passaggi, come il soggiorno di Cordelia nella giungla, non hanno mordente narrativo e appaiono come dei riempitivi senza grande personalità. La sensazione è che ancora una volta andrebbe applicato il principio d’oro di Chanel: “Prima di uscire guardati allo specchio e levati qualcosa”.
L’ideatore della serie, Paul William Davies, ha dichiarato di avere già pensato ad altre storie per l’inarrestabile Cordelia Cupp e quindi ci sono concrete possibilità di rivedere Uzo Aduba nei panni di questa eccentrica detective/ornitologa/divoratrice seriale di scatolette di sgombri.
TITOLO ORIGINALE: The Residence
DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 60 minuti
NUMERO DEGLI EPISODI: 8
DISTRIBUZIONE STREAMING: Netflix
GENERE: Drama, Comedy, Mystery, Whodunnit
CONSIGLIATO: a quanti cercano un intrattenimento intelligente e fuori dagli schemi, con il valore aggiunto di poter accedere agli angoli più remoti e privati della Casa Bianca.
SCONSIGLIATO: a quanti cercano un thriller d’azione o un giallo vecchia scuola. Le dimensioni si intrecciano e i generi si sfaldano in un racconto avvolgente e inebriante, ma volutamente dispersivo, che ci presenta una carrellata quasi infinita di possibili sospetti.
VISIONI PARALLELE: per quanti desiderano approfondire quello che avviene dietro le quinte della Casa Bianca, il libro da cui è tratta la serie merita sicuramente di essere letto: The Residence: Inside the Private World of the White House, di Kate Anderson Bower. Al momento il volume non è stato ancora tradotto in italiano, speriamo che il successo della serie porti a colmare questo gap.
UN’IMMAGINE: l’iconica sigla iniziale in cui i disegni stilizzati cambiano di episodio in episodio, in base al tema di quello che sta per iniziare. Una scelta che rimanda alle serie TV degli anni ’70 e che fornisce subito allo spettatore i parametri di genere a cui il racconto si ispira.

