L’arte della gioia: una serie di grande valore estetico, che racconta l’essenza della Sicilia

L’arte della gioia ***1/2

Provincia di Catania, inizi del 1900. Modesta (Tecla Insolia) è una “carusa bella tosta” e piena di vitalità, cresciuta a Piana del Bove, in una terra di fatica, con il padre lontano e con una sorella disabile. Un incendio cancella di colpo il passato e il presente della piccola, lasciandola al contempo libera di scrivere il proprio destino e di cercare, nel convento delle suore in cui viene accolta dopo la tragedia, una forma di rivalsa sociale. Modesta diventa così la protetta della madre superiora, la giovane e bella Leonora (Jasmine Trinca), e da lei acquisisce cultura, educazione, istruzione; tra le due si crea un rapporto di confidenza a cui Modesta sembra disposta ad abbandonarsi, mentre Leonora cerca in ogni modo di resistere a quella che, con il passare degli anni, prende la forma di una passione amorosa. Dopo la drammatica e misteriosa morte della badessa, che cade da un campanile del convento, Modesta viene ospitata dalla madre di Leonora, la Principessa Gaia Brandiforti (Valeria Bruni Tedeschi), desiderosa di avere notizie sulla morte della figlia. Qui Modesta diventa Maudit e incontra Beatrice, la figlia della Principessa (in realtà di Leonora) che si innamora di lei, apparentemente ricambiata. Con il passare del tempo Maudit si guadagna la fiducia di tutti, incluso quella di Ippolito, figlio primogenito (e quindi erede della famiglia) recluso in un’ala della villa per una malformazione fisica e trattato come un mostro. Per Modesta/Maudit è l’occasione perfetta per non dover tornare in convento e continuare nella propria ascesa sociale.

La serie è soprattutto un racconto della Sicilia, forse non originale perché dopo Tommasi di Lampedusa e Sciascia è difficile dire qualcosa di originale in merito, ma certamente capace di trasmettere l’essenza di questa terra. Lo fa con la lingua, con il paesaggio, con la luce, con i caratteri, di cui Modesta rappresenta l’apice, ma anche con i riferimenti culturali. Quello, ricorrente, a Sant’Agata ci appare peraltro essere il cardine del racconto: la Santa patrona della città di Catania è una vera e propria ispirazione per Modesta, non per le sue virtù religiose, ma per il suo indomito coraggio e per la sua testardaggine. Entrambe giovani donne sole e in lotta contro le restrizioni del loro tempo, con strumenti diversi raggiungono il proprio obiettivo: la felicità eterna per Agata, lampi di gioia terrena per Modesta. La nostra protagonista conquista la sua gioia con rabbia e senza guardare in faccia a niente e a nessuno: fugaci soddisfazioni a cui sacrifica tutti. Per capire la Sicilia bisogna capire Sant’Agata, ma anche Santa Lucia e Santa Rosalia, patrone rispettivamente di Siracusa e di Palermo a cui si tributano feste che per importanza, sfarzo e seguito non sono inferiori alle celebrazioni dei riti pasquali. Tre donne che si sono distinte per il coraggio, la tenacia e il senso di libertà, al punto da pagare con la vita la scelta di non piegarsi alla logica del mondo; la stessa logica a cui non intende piegarsi Modesta. A ben vedere nelle vicende delle tre sante (e anche nel loro martirio) c’è anche tutta la sensualità che ritroviamo in Modesta, solo che là viene sublimata nella fede, mentre qui è sfruttata senza reticenze per raggiungere i propri obiettivi.

Il confronto con la Sicilia portata sullo schermo dal Gattopardo di Netflix è impietoso, perché qui si sente una vitalità che va oltre all’estetismo e che unisce in un nodo indistricabile sensualità e spiritualità, amore e morte. Un risultato raggiunto grazie ad una sceneggiatura essenziale, scritta dalla regista Valeria Golino insieme a Luca Infascelli e Valia Santella, e interpretata da un cast di veterani: Valeria Bruni Tedeschi nei panni della Principessa Gaia Brandiforti, Jasmine Trinca che interpreta la badessa Leonora e Guido Caprino, nei panni di Carmine, il carismatico gabellotto della Principessa. Tecla Insolia conferisce a Modesta/Maudit una grande vivacità, sia dal punto di vista caratteriale che da quello fisico, come mostrano le scene di rapporti sessuali. Lo sguardo è delicato e di questo va reso merito alla regia di Valeria Golino che si muove con libertà e grazia, senza scadere in una fisicità fine a se stessa, ma sempre funzionale al racconto. Anche le scelte di utilizzare la voce fuori campo e frequenti sguardi in macchina vengono gestite con sapienza, evitando il sapore di artefatto. C’è poi la grande perizia tecnica, in termini di scenografia e arredamento, costumi e trucco. Infine la musica ipnotica della colonna sonora curata da Toti Gudnason (Lamb), compositore e chitarrista islandese. Il brano presente nei titoli di coda è invece Parola, di Donato Dozzy, interpretato da Anna Caragnano, che permane nella mente con il suo sciamanico refrain: “Trascina, pensiero profondo, parola protratta, ritratto, promessa, ritorno, protetta”.

La serie è tratta dall’omonimo romanzo di Goliarda Sapienza, dalla lunga gestazione e dalla ancora più lunga attesa di pubblicazione da parte delle nostre maggiori case editrici. Concluso nel 1976 solo nel 2008 il romanzo è stato infatti stampato da Einaudi. Troppo lontano dalla mentalità comune per poter da subito venire accolto dalla critica, ma al contempo troppo affine all’idea di libertà femminile per potersi sottrarre alla caccia mediatica di questi anni. E’ da questo fortunato connubio che nasce il grande successo della serie, attestato dalle 14 candidature ai David di Donatello a cui la produzione ha potuto partecipare grazie al passaggio nelle sale cinematografiche prima che nel mondo dello streaming seriale.

Al termine della visione resta la grande bellezza del racconto, ma anche e soprattutto il senso sottile della differenza tra gioia e felicità. Gli sguardi in macchina e la gestualità di Modesta ci fanno capire come le due cose siano talmente vicine da toccarsi, ma restino ben distinte.

TITOLO ORIGINALE: L’arte della gioia

DURATA MEDIA DEGLI EPISODI: 60 minuti

NUMERO DEGLI EPISODI:  6

DISTRIBUZIONE STREAMING: Sky Atlantic

GENERE: Drama Romance Costume Drama

CONSIGLIATO: a quanti vogliono immergersi nell’anima siciliana, assaporandone soprattutto la forza materica.

SCONSIGLIATO: a quanti cercano una serie con valori forti: il racconto affascina nella sua bellezza, ma ci guida su di un sentiero non solo molto umano, ma anche molto prosaico nelle relazioni e nei rapporti tra i protagonisti. I valori sono pochi e in genere finiscono vittima dell’egoismo e dell’interesse privato.

VISIONI PARALLELE: un altro film con Valeria Golino, questa volta in veste di attrice, è Respiro di Emanuele Crialese. Nel film del 2002, vincitore del Grand Prix a Cannes, si racconta la storia di una donna siciliana, Grazia, troppo diversa dal contesto sociale in cui vive, nella piccola isola di Lampedusa. La sua ricerca della felicità appare così inconcepibile da spingere la comunità ad emarginarla e a cercare di farla rinchiudere in manicomio.

UN’IMMAGINE: il sorriso di Modesta che guarda a più riprese in macchina, verso lo spettatore.  E’ il sorriso di chi ha trovato la gioia, di chi se l’è conquistata con le unghie. A ben guardare negli occhi e nei movimenti della ragazza si intravede però  anche l’inquietudine e la sofferenza che hanno accompagnato questa conquista, a cui le giovane donna ha sacrificato ogni scrupolo morale.

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