Jesse Eisenberg, nonostante una carriera ventennale tra cinema e teatro, è universalmente noto per aver interpretato il fondatore di Facebook nell’epocale The Social Network di David Fincher e forse per il ruolo di Lex Luthor nella trilogia di Zack Snyder dedicata alla Justice League della DC.
Ma se il suo profilo come attore newyorkese sembra uscito da uno stampo alleniano, come dimostra anche la serie Fleishman a pezzi, sono in pochi a sapere che Eisenberg ha scritto per il New Yorker e per McSweeney’s numerosissime short stories, ha creato quattro commedie teatrali, una decina di audiolibri e ha coltivato un talento che non si esaurisce nella sua dimensione davanti allo schermo.
Il suo debutto come regista viene appunta da una sua sceneggiatura che evidentemente pesca in una dimensione in un certo modo autobiografica.
A Real Pain, presentato al Sundance a gennaio 2024, è stato acquistato dalla Disney per la sua label Searchlight e arriva in Italia oltre un anno dopo la sua anteprima.
E’ il racconto del viaggio in Polonia dei cugini David e Benji Kaplan, ebrei americani di terza generazione, alla ricerca delle radici della propria famiglia, in particolare della nonna, rifugiata negli Stati Uniti per sottrarsi alla violenza nazista.
David è un nevrotico nerd high-tech newyorkese, che si occupa dei banner pubblicitari su internet, mentre Benji vive ancora nel seminterrato della casa dei genitori in New Jersey, non si capisce bene cosa faccia, ma è espansivo, sensibile, socievole, tanto quanto l’altro è riservato e timoroso.
Sbarcati a Varsavia vengono accolti da una guida inglese che li accompagnerà assieme ad un piccolo gruppo di altre quattro persone in quello che è chiamato Heritage Tour, che li porterà a visitare il ghetto di Lubin e il campo di Majdanek.
Benji lega immediatamente con gli altri viaggiatori, si fa notare per la sua generosità, il suo spirito puro, la sua compassione, mettendo tuttavia a dura prova con le sue stranezze il rapporto con il cugino David, iper-controllato e incapace di arginarne gli slanci.
Emerge pian piano non solo l’autenticità del rapporto tra i due, ma un evento traumatico che forse ha spinto David a mettere da parte la propria famiglia e il suo lavoro per accettare la proposta di Benji di rendere omaggio alla nonna recentemente scomparsa cercando la sua ultima abitazione in Polonia.
Il film si muove leggero e malinconico sulla coordinate di un classico buddy movie tra due personaggi che sembrano lontanissimi e che finiranno per avvicinarsi sempre di più, trovando nel viaggio un modo per comprendere se stessi, prim’ancora che gli altri.
Il contesto polacco tuttavia contribuisce a far emergere sentimenti forti e ad assestare anche qualche significativa stoccata anche a queste forme di turismo ormai codificate e un po’ ipocrite. Siamo evidentemente lontani dal Loznitsa di Austerlitz o dal Glazer del flashforward de La zona d’interesse, ma nel suo piccolo Eisenberg sembra pensarla allo stesso modo e anche nella sua commedia agrodolce trova spazio per mettere in crisi la retorica del dolore.
Non a caso il suo film si chiama A Real Pain, ma sembra far riferimento al male di vivere di Benji piuttosto che al dolore che evocano i luoghi attraversati nel suo viaggio con il cugino. O meglio, l’uno si riflette nell’altro, facendo del protagonista del film una figura simbolica che porta su di sé il peso della propria Storia e l’eredità più autentica della propria famiglia di sopravissuti.
Particolarmente indovinato è il duetto tra Eisenberg e Culkin, tutto costruito per far emergere le qualità istrioniche del secondo, già memorabile Roman Roy in Succession e qui finalmente valorizzato anche a cinema, da un personaggio che sembra calzargli addosso senza alcun difetto: un giovane uomo perduto nei suoi demoni, estraneo alle regole sociali, ma autentico, amorevole, travolgente.
Forse il film di Eisenberg non ha le spalle sufficientemente larghe e rischia alla fine di trasformarsi nel ritratto di un carattere, ma anche in questa sua dimensione semplice è un buon esordio, baciato da una certa grazia e da una misura encomiabile.
La colonna sonora è composta interamente da ballate notturni e preludi di Chopin, in modo un po’ ridondante.
Tra i produttori Emma Stone, decisiva nel convincere Culkin a non abbandonare il progetto due settimane prima dell’inizio delle riprese.

