Captain America: Brave New World

Captain America: Brave New World *

L’universo Marvel è un profonda crisi e non sembrano avvertirsi segnali di ripresa. Non traggano in inganno i dati strabilianti di Deadpool & Wolverine della scorsa estate. Si tratta di un exploit solitario, in gran parte anche inspiegabile, considerata la modestia del film, l’eccezione che conferma una regola fatta ormai di approssimazione e sciatteria, che il pubblico americano – il più sensibile a questa mistica dell’eroe a fumetti – sta cominciando a rifiutare.

Questo Captain America: Brave New World è il trentacinquesimo film dell’universo condiviso Marvel, ma è uno dei più insostenibili, inutili e goffi.

Si richiama, come avviene ormai sempre più spesso ad avvenimenti avvenuti in serie e film ormai lontani un decennio e più, continuando a strizzare l’occhio ai nerd che ricordano ogni apparizione dei personaggi nel tempo e le loro più intime motivazioni e lasciando del tutto annoiati gli altri.

Come ha scritto il NYT all’inizio Brave New World sembra un thriller politico-cospirativo anni ’90 intrappolato nelle maglie di un film Marvel, che fatica a contenerlo.

Il generale Ross, a capo del programma di replica del siero del supersoldato e ossessionato dalla cattura di Hulk fin dal film di Leterrier del 2008, già diventato segretario in Civil War è ora stato eletto Presidente degli Stati Uniti.

Dopo che il nuovo Captain America Sam Wilson sventa una crisi internazionale recuperando un campione di adamantio estratto dall’Isola celestiale emersa nell’Oceano Indiano nel film dedicato agli Eterni, Ross lo inviata alla Casa Bianca, assieme al supersoldato che ha combattuto in Corea e al nuovo Falcon e gli chiede di rimettere assieme gli Avengers.

Durante la presentazione dell’accordo tra Stati Uniti, india, Giappone e Francia per l’utilizzo congiunto della straordinaria risorsa, più potente del vibranio di Wakanda, un attentato terroristico prende di mira il presidente.

Che si salva, ma non vuole più avere niente a che fare con Sam Wilson. Affida la sua sicurezza a Ruth Bat-Seraph, una Vedova nera israeliana.

Pian piano Captain America e Falcon scoprono che Ross ha utilizzato i poteri che il siero ha donato a Samuel Sterns – un biologo cellulare che è stato accidentalmente contaminato dal sangue di Bruce Banner durante gli eventi accaduti ne L’incredibile Hulk – tenendolo nascosto in un sito militare segreto e  sfruttando la sua intelligenza potenziata per scalare i vertici dell’amministrazione.

Ora però Sterns ha trovato il modo di evadere dalla sua prigione e di utilizzare il condizionamento a distanza per provocare l’attentato e una crisi internazionale che spinga Ross a rivelare la sua vera natura…

L’intreccio politico è pasticciato e involuto. Con la scomparsa di William Hurt, il ruolo del Generale Ross è passato a Harrison Ford, che rimette i panni presidenziali nel momento più controverso e oscuro della storia americana dell’ultimo mezzo secolo.

Il suo Ross è un uomo forte, un generale prestato alla politica, un istintivo che sale su una portaerei e guida l’attacco al Giappone come un bambino capriccioso di tre anni.

Tuttavia la credibilità dell’istituzione e il senso di identificazione sono prossimi allo zero, fuori dagli Stati Uniti, a meno che non siate sostenitori dell’AfD.

E il film così non riesce nemmeno ad assumere valenze metaforiche con un debole Captain America afroamericano, incapace di arginare la furia di un presidente potenziato dai raggi gamma.

Il racconto è puerile, raffazzonato, la scrittura è slabbrata e non riesce mai a strappare un sorriso o un brivido. Si assiste a questo nuovo episodio dell’infinita soap Marvel con la stanchezza di una serie che ha sperimento il suo jumping the shark da ormai molto tempo.

I personaggi sono sfuocati e sfidano il ridicolo: la minutissima Shira Haas di Unorthodox  nel ruolo di una combattente letale fa sorridere, il nuovo Falcon è così anonimo che quando cade sul campo non ci importa molto se sopravviva oppure no. D’altronde si può parteggiare per una funziona narrativa? Per una spalla che porge battute?

Harrison Ford è ormai costretto a ripetere se stesso e i personaggi interpretati un tempo, con 20 o 30 anni di più, in una sorta di damnatio memorie, Giancarlo Esposito fa il suo numero standard da villain e si guadagna il cachet, così come Tim Blake Nelson. Da Spike Lee e i fratelli Coen a questa sciagura: che s’adda fà pe’ campà.

Il personaggio interpretato da Anthony Mackie era già ridicolo in The Falcon & The Winter Soldier con i suoi problemi finanziari e mutuo, e qui non pare molto più interessante. Si limita a fare botte, usando lo scudo celeberrimo e le ali realizzate a Wakanda, ma è un ruolo il suo di pura reazione.

Julius Onah, noto per ?, dirige nel modo più anonimo possibile, come in un telefilm degli anni ’80.

Di questo Brave New World ci si scorda dopo 30 secondi netti. Inutile pure restare fino alla sempre più inutile e ricattatoria scena post-credit. Tanto la trovate online. Quegli interminabili minuti ad attendere lo scorrere delle centinaia di operatori di CGI, servirebbero solo a dimenticarvi quello che avete visto.

DiBrandon Yu del NYT, perfidamente, chiude il suo pezzo scrivendo che “con la sua azione scadente e le immagini sgargianti, Brave New World entra in un altro genere: la pubblicità delle action figure”.

Abissale.

 

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