C’era una volta The Killer, il capolavoro di John Woo scritto e prodotto con Tsui Hark, interpretato da Chow Yun-Fat e Danny Lee, che nel 1989 fa esplodere l’universo di Hong Kong nel mondo occidentale, catapultando il suo regista a confrontarsi per un decennio con Hollywood e rivoluzionando il cinema action grazie alla forza e all’inventiva visionaria del suo autore.
Presentato al Sundance e poi a Cannes, The Killer rappresenta la quintessenza del manierismo di Woo, in un complicato gioco di rimandi e continue influenze con il cinema occidentale, dalla violenza parossistica di Peckinpah al senso epico di Sergio Leone, dal fatalismo del milieu di Melville al senso del montaggio musicale di Martin Scorsese, fino al virtuosismo di De Palma e ai debiti con il musical classico per l’architettura delle sparatorie: assieme a Bullet in The Head è verosimilmente il vertice della sua filmografia hongkonghese, forse più amato all’estero che non in patria, ma adorato e citato più volte da Jia Zhangke.
Dopo il corpo a corpo con l’America, chiuso nel 2003 con un inevitabile adattamento da Philip K.Dick, il ritorno a casa di Woo, in un Paese e in un’industria completamente trasformati, ci lascia quasi solo l’epico dittico La battaglia dei Tre Regni del 2008-2009 su cui fantasticare.
Manhunt nel 2017 è un film stanco, diminutivo, quasi un segno di resa, almeno quanto il disastroso e moralista Silent Night, uscito nel 2023, che segna un suo ritorno a produzioni americane, con Basil Iwanyk e la sua Thunder Road (John Wick, Sicario), in film però tutto ambientato in Messico.
Il progetto di un remake di The Killer ha cominciato a circolare a Hollywood fin dal 1992 con Walter Hill al comando e Charles Roven (Il Cavaliere Oscuro) produttore. Come spesso accade, troppi si alternano senza fortuna, fino a che il progetto torna a Woo circa dieci anni fa. Nel 2019 Lupita Nyong’o avrebbe dovuto essere la protagonista, ma una nuova riscrittura spinge ancora avanti l’inizio delle riprese alla fine funestato anche dallo sciopero di attori e scrittori nell’estate 2023.
Il set viene spostato interamente a Parigi e Universal lo riduce ad un film in esclusiva per la sua piattaforma Peacock, facendolo uscire in sala solo in Francia e in pochi altri Paesi.
La storia dell’improbabile alleanza tra una killer a contratto, Zee, divorata dal senso di colpa per aver in qualche modo provocato in uno dei suoi incarichi la cecità di una cantante innocente, e un poliziotto integerrimo, Sey, che si occupa di sventare i traffici della grande criminalità internazionale, funziona anche questa volta, grazie alla regia impareggiabile di Woo, che si giova della fotografia calda e densa di Mauro Fiore (Avatar, Training Day, Spider-Man: No Way Home) e del montaggio creativo di Zach Staenberg che in un curioso cortocircuito è il responsabile della versione americana di C’era una volta in America, come della trilogia di Matrix: in un film che si nutre di cinema come questo auto-remake, anche questo contribuisce ad amplificare il senso di un’operazione che sembrerebbe a somma zero.
E in fondo lo è, perché The Killer versione 2024, al netto della simpatia istintiva di Omar Sy e del fascino inconsueto di Nathalie Emmanuel, non ha molto da aggiungere a quanto già sapevamo del prodigioso talento di Woo che tuttavia sembra capace di rivoltare in opportunità tutte le evidenti limitazioni produttive, come se fosse ancora sui set di HK negli anni ’80. E allora l’inventiva fa gioco su ogni cosa, i numeri da vecchi stunt riprendono lo spazio di un tempo, i duelli con le pistole impugnate come spade sono ancora essenziali, i mexican stand-off ci ricordano poeticamente un cinema che non c’è più, le chiese abbandonate e le colombe nei set di un tempo godono del fascino diverso delle architetture della Vecchia Europa.
I personaggi si muovono sinuosi, le pallottole continuano a sfiorarli, le moto sfrecciano anche dove non potrebbero, i corpi sfidano la legge di gravità in una danza che non ha perso l’eleganza di un tempo e che la ritrovata centralità del corpo femminile di Zee rende ancor più affascinante.
Nella terra di Melville, il quasi ottantenne Woo tenta forse il suo passo d’addio: non siamo alla malinconia inesorabile del commissario Coleman di Notte sulla città, anzi l’amarezza di quel commiato è qui totalmente assente, ma il regista sembra voler mettere in scena i suoi trucchi ancora una volta.
E la magia gli riesce, il prestigio lascia ancora a bocca aperta e si dimentica facilmente qualche sbavatura, pure quando ribalta il finale melò originale, donando ai suoi personaggi un futuro diverso.
Un po’ come accade nei suoi giallo-rosa alla Once a Thief, anche perché tutto il film è attraversato da una leggerezza che lo avvicina al musical e la coppia maschile dei protagonisti originali è qui un più tradizionale duetto uomo-donna: anche se non c’è nessuna tensione erotica tra di loro, né il cameratismo che attraversava il rapporto fra l’istrionico Fat e il severo Lee, al personaggio di Nathalie Emmanuel non si può che augurare un nuovo inizio.
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