Il sesto film del premio Oscar Edward Berger, il primo successivo al trionfo imprevedibile di Niente di nuovo sul fronte occidentale, è un nuovo adattamento prestigioso, tratto da un romanzo scritto da Robert Harris e ambientato all’interno del conclave chiamato a nominare il successore di Pietro.
L’anziano Papa è appena morto per arresto cardiaco in modo improvviso, al suo capezzale accorre il decano Thomas Lawrence, che avrà il compito di guidare la transizione.
Nelle stanze del Santo Padre trova il cardinale Aldo Bellini, un riformista americano che sembra raccogliere molti favori, e Joseph Tremblay, più moderato, ma con grandi ambizioni di salire al soglio.
Nei giorni successivi arriveranno a Roma il Cardinale Adeyemi, un nigeriano conservatore con un segreto indicibile che lo accompagna e l’italiano Goffredo Tedesco, il più reazionario del lotto dei favoriti, che vorrebbe una guerra agli immigrati e alle altre confessioni e il ritorno ai principi preconciliari, a cominciare dal latino.
A sorpresa, si presenta in conclave anche un cardinale nominato dal Papa in segreto, il messicano Benitez, che ha sempre operato in territori difficili e in zone di guerra ed è ora assegnato a Kabul.
Dopo l’extra omnes i cardinali rimangono esclusi da mondo esterno, ma a Lawrence cominciano ad arrivare sussurri e pettegolezzi che mettono in crisi le candidature più accreditate.
Il film scritto da Peter Straughan (La talpa, The Snowman, Il cardellino), specializzatosi in adattamenti da romanzi notissimi, vorrebbe trasformare il conclave in un giallo della camera chiusa, in cui i principali candidati vengono fatti cadere uno dopo l’altro da foschi segreti e pratiche vietate: simonia, figli nascosti, conti sospetti, identità incerte e crisi di vocazione.
Tutto questo mentre lo Spirito Santo dovrebbe illuminare la mano dei cardinali nelle numerose votazioni che portano inevitabilmente allo stallo e ad una serie di fumate nere.
Il mondo di fuori dà un segno che scuote il conclave, ma a Berger non sembra interessare davvero la dimensione politica, se non come strumento per mettere gli uni contro gli altri e muovere il racconto. Tuttavia l’intreccio è telefonato, la detection modestissima, il nuovo Papa si intuisce alla sua prima apparizione e il colpo di scena finale è così implausibile e a d’effetto che funziona solo per un attimo, senza forzare alcuna autentica riflessione.
Come spesso accade la Reggia di Caserta viene utilizzata con magnifica quinta al posto del Vaticano, ma non basta una certa eleganza nello sguardo di Berger a rendere vivo e significante un film polveroso e banale.
Conclave poggia interamente sulle spalle di Ralph Fiennes e degli altri attori, coinvolti in continui duetti e duelli verbali, che costituiscono la sostanza ultima del racconto. Tuttavia Tucci e Lithgow hanno poco su cui lavorare, Castellitto gigioneggia sopra le righe, in modo francamente imbarazzante, e Isabella Rossellini ha lo stesso sguardo torvo e accigliato in tutte le sue scene, per lo più silenziose.
Berger prova a inserire qualche gustosa scena di massa, come quella degli ombrelli bianchi, ma sono elzeviri in un film complessivamente superficiale, modesto, che non ha neppure la pretesa di restituire la complessità del dibattito interno alla Chiesa, limitandosi a dividere con l’accetta progressisti e conservatori, in modo che chiunque possa capire facilmente.
Presentato a Telluride e poi a Toronto, si faticano a comprendere l’entusiasmo dei critici americani e i buoni incassi, per un lavoro che si dimentica in un minuto.
Pretestuoso.


