Last Days of The Space Age: quando a Perth venne giù il cielo

Last Days of The Space Age **1/2

Terzo episodio di Last Days of The Space Age. Sono panzerotti quelli nel vassoio? Si, forma e consistenza non lasciano dubbi. Eppure non ci troviamo a Bari vecchia. La scena si svolge in un sobborgo di Perth, nell’Australia occidentale. Una reginetta di bellezza italiana particolarmente snob, spedita con altre settanta concorrenti dall’altra parte del mondo per partecipare al concorso di Miss Universo, storce il naso e rifiuta l’offerta (cibo da contadini, dice). Un primo dato: la serie Disney+, ambientata sul finire degli anni Settanta, tratteggia più volte le abitudini culinarie custodite gelosamente dai vari personaggi. Altrove sentiremo parlare di ravioli vietnamiti e di pane roti malese. Al cibo, è noto, si associa un naturale senso di nostalgia, per il paese di origine o per un passato lontano, magari doloroso. È pur vero che distacco significa partenza, possibilità, apertura verso il futuro e l’ignoto. Da qui occorre iniziare per comprendere il sentiment di questa piccola serie bizzarra che si esaurisce nel giro di otto episodi, dal minutaggio contenuto e densi di storie.

Nel 1979 a Scarborough tutto sembra sul punto di cambiare. La centrale elettrica attraversa una profonda crisi. Male, perché la centrale è la principale fonte di lavoro per gli abitanti di questa cittadina affacciata sull’Oceano Pacifico. Il sindacalista Tony Bissett è in prima linea con i suoi compagni per salvare posto e salario, mentre sua moglie Judy, un colletto bianco impiegato nell’amministrazione, non solidarizza con le modalità di lotta scelte dagli operai (marito incluso), al punto di calamitare l’ira funesta di un ignoto attentatore. Il mattone lanciato contro il parabrezza dell’auto, per fortuna senza conseguenze, è accompagnato da un messaggio quanto mai eloquente: str*nza krumira.

Tony e Judy hanno due figlie adolescenti. Tilly, ambiziosa e secchiona, vorrebbe andare sulla luna e insegue i suoi miti, l’astronauta americano John Glenn e la cosmonauta sovietica Valentina Tereškova, prima donna a partecipare a una missione spaziale nel 1963. Sua sorella Mia, inquieta e ribelle, ha in mente solo il surf ed è molto legata, anche per consonanza di temperamento, al nonno Bob, camperista sulla spiaggia.

Tilly capisce che qualcosa non fila nel verso giusto quando il suo assurdo insegnante le consiglia di ripiegare su orizzonti professionali più all’altezza di donna, ad esempio la cassiera di supermercato. O la dattilografa. La sfera delle relazioni è altrettanto complicata. Il suo amico del cuore è Johnno, figlio di immigrati vietnamiti fuggiti prima dal nord e poi dal sud del paese. Tilly crede di poter contare su di lui: esploreranno lo spazio insieme. Contro ogni aspettativa, Johnno si sfila da quel progetto comune cullato idealisticamente solo da lei. No, per Johnno le uniche stelle sono quelle cantate da… David Bowie!

La delusione di Tilly è grande, eppure non c’è nulla da fare quando l’obiettivo di un ragazzo è salire su un palco con una chitarra a tracolla. Il tradimento finale si consuma in forma di bacio. Si, perché tra Johnno e Mia, la sorella sportiva, nasce un’intesa. Povera Tilly. Il cielo le crolla addosso. E qualcosa da lassù sta cadendo sul serio. Quella è l’estate (o meglio l’inverno australe) del rientro nell’atmosfera terrestre della stazione spaziale Skylab, danneggiata irreparabilmente. Sono giorni di apprensione. La NASA non riesce a calcolare il punto d’impatto. Forse Skylab piomberà nelle vastità dell’oceano. O forse distruggerà Perth.

Last Days of The Space Age racconta drammi personali trasformandoli in commedia umana. Mia è costretta a subire le angherie di una banda di ragazzi, che le rubano e deturpano la tavola da surf incidendovi sopra una brutta parola. Da sottolineare il commento del riparatore amico di Bob sul senso di quella cicatrice, come se ogni tavola avesse una storia incancellabile da rispettare. Mia è irrequieta. C’è anche l’episodio di un’incursione in discoteca. Per non parlare della corsa notturna in auto terminata contro un albero.

E se fosse colpa dei genitori? La famiglia Bissett è sgangherata e disfunzionale. Lo sciopero a oltranza peggiora le cose. Senza una fonte di reddito le bollette da pagare a fine mese si accumulano. Bob, il padre di Judy, detesta da sempre il genero, imputandogli un eccessivo fervore socialista a scapito dei reali interessi materiali. Mugugni generano mugugni. Inaspettatamente, Judy viene promossa a direttrice dal suo capo Wayne, il classico figlio di papà senza talento per gli affari. Tocca a Judy annunciare il piano di esuberi che comprende anche Tony. Il marito sarà licenziato. Le tragedie sociali si riverberano sul privato, eppure il tono non degenera mai. Il racconto sfila leggero, appoggiandosi a una trama con tanti centri di attrazione. Le vicende sono tante, forse troppe.

La parte di racconto dedicata alle miss è posticcia e poco integrata con il resto, tanto da sfiorare il surreale. A Perth sbarcano bellezze da tutto il mondo per il concorso, in coincidenza con i festeggiamenti per i 150 anni dell’istituzione della colonia dell’Australia occidentale. Gli occhi dell’opinione pubblica si posano su Svetlana Kulkova, rappresentante dell’URSS. L’accoglienza in aeroporto non è delle migliori. La storia ha il suo peso.

L’invasione dell’Afghanistan è alle porte e l’accompagnatore del KGB di Svetlana, il compagno Yvgeny (esemplare modello negativo di capacità seduttive) ha un figlio soldato disperso tra le montagne. Alla finzione possiamo perdonare la sovrapposizione fasulla di date, visto che lo Skylab precipitò a luglio e i sovietici presero Kabul solo a dicembre. Meno apprezzabili sono gli incastri forzati tra le vite degli abitanti di Scarborough e le miss, pur riconoscendo il senso metaforico dell’operazione. Gli anni Ottanta sono in arrivo e con loro l’epoca della glorificazione del futile. L’intuizione di Mick, il fratello di Tony, sta in questo. La sua attività imprenditoriale raccoglie e amplifica l’esigenza diffusa di divertimento. Mick è sicuro di sé. Farà un mucchio di soldi. Il suo impero si chiamerà televisione.

Di palesi origini del Sud Italia e ovviamente sposato con prole, il poliziotto tutto ordine e disciplina Rocco Giliberto ha un chiodo fisso, come testimonia la macchia di rossetto sul bavero della camicia. Rocco non sa che all’agente Yvgeny, pance ingrossate a parte, non sfugge nulla. Sua figlia Poppy, una ragazza dai vistosi capelli rossi con l’hobby di girare sui pattini a rotelle anche per casa, mostra rassegnazione. Rocco vorrebbe essere diligente e arresta il giovane Bilya credendo di dare una risposta all’ondata di furti nel quartiere. Bilya in quel momento ha l’unico torto di passeggiare per strada con una ragazza bianca.

Al solito, in ogni situazione c’è qualcuno più nero di un altro. Nero, nell’Australia del 1979, sta per non bianco o non europeo. Altrove e in altri tempi, nell’Ottocento a Ellis Island, la porta d’ingresso per il Nuovo Mondo, nella categoria furono ricompresi gli italiani stessi, o quantomeno i meridionali, etnicamente sospetti e non degni di cittadinanza. La celebrazione del fondatore di Perth e primo governatore dell’Australia Occidentale, l’ufficiale britannico James Stirling, rappresenta l’occasione per demistificare un genocidio perpetrato per un secolo e oltre.

Bilya è il nipote di Eileen Wilberforce, che all’interno di questo microcosmo aussie, oltre a essere l’amante di Bob, è una donna aborigena e un’insegnante. Bilya cerca di smuovere la coscienza di sua zia e ci riesce. Nel corso di un’intervista radiofonica, Eileen racconta la verità sui trasferimenti coatti del popolo Anangu. A Maralinga, una località del Gran Deserto Victoria, negli anni Cinquanta l’esercito britannico condusse test nucleari nell’atmosfera. Gli aborigeni perdettero le loro terre e subirono gli effetti delle esplosioni. Tony, che in precedenza aveva mostrato disagio davanti a un ex collega gravemente malato a causa delle radiazioni assorbite, rivela di essere stato lì. Tony era un giovane militare. La sua memoria aveva rimosso.

I produttori riconoscono e rendono omaggio agli abitanti e agli aborigeni dello Stretto di Torres, ritenuti proprietari storici dei luoghi in cui è stata girata la serie ed estendono il riconoscimento agli anziani passati e presenti”. Ogni episodio si chiude così. Sfruttati, marginalizzati, trasformati in una forma di intrattenimento di massa nei cosiddetti “zoo umani” (dove si esibivano in lotte, danze e nel lancio del boomerang) fino a tempi relativamente recenti, gli aborigeni attendono ancora giustizia. Nonostante l’elargizione di maggiori sussidi statali, l’aspettativa di vita degli abitanti dello Stretto di Torres (a Nord dell’Australia, molto lontano da Perth) è di circa otto anni inferiore rispetto al resto della popolazione. L’incidenza dell’alcolismo resta elevata e il livello di scolarizzazione è basso. Gli aborigeni hanno ottenuto il diritto di voto solo nel 1962.

Alcuni segnali positivi parevano preludere a una storica riconciliazione. Nel 2014 una sentenza della Corte federale ha garantito al popolo Badtjala i diritti territoriali sull’Isola di Fraser, che ha poi adottato la sua originaria denominazione, K’gari. Tuttavia, nell’ottobre del 2023 un referendum voluto dal governo laburista e mirato al riconoscimento costituzionale dei popoli indigeni è stato respinto a larga maggioranza.

Non puoi ottenere sempre ciò che vuoi. You can’t always get what you want. Lam, un tempo ingegnere e ora cuoco improvvisato, cita sir Mick Jagger per distogliere suo figlio Johnno dall’ambizione di diventare rockstar. Troppo dolore per sognare in grande, nella famiglia vietnamita che ha smarrito il sorriso dopo la scomparsa di un altro figlio nel mare magnum dei profughi di guerra. Il commento musicale di Last Days of The Space Age è uno degli aspetti migliori della serie. Brani di vecchie glorie australiane (John Paul Young, Barry Crocker, The Ferrets), a volte dai nomi improbabili (Billy Thorpe and the Aztecs, Jo Jo Zep & The Falcons), si sposano perfettamente alle hit di Van Morrison, degli Abba, di Olivia Newton-John e, ovviamente, di David Bowie.

Nel complesso, la serie è simpatica e accattivante, pur non riuscendo a mordere come dovrebbe. I momenti drammatici si fanno preferire per intensità a quelli comici. Radha Mitchell (In linea con l’assassino, Melinda e Melinda) interpreta Judy. Jesse Spencer (Dr. House – Medical Division, Chicago Fire) è Tony. La star internazionale è Iain Glen, Ser Jorah ne Il Trono di Spade e qui Bob, nonno, padre, suocero e amante in una persona sola. La sua fine introduce un elemento soprannaturale che solo gli aborigeni sono in grado di comprendere. La realtà può essere interpretata in vari modi, con molti strumenti, non necessariamente razionali. D’altronde, anche la caduta dello skylab è avvolta da un alone di magia. Quando? Dove? Davvero cadrà sulla città di Perth? Tilly calcola la traiettoria con l’aiuto di Lam e lancia l’allarme proprio la sera del suo ballo dei diciotto anni. Il finale è caotico ma, nonostante il panico, ci sono certezze dure a morire. Solo gli australiani indossano maniche corte d’inverno. Compresa la sera in cui arriva la fine del mondo.

Titolo originale: Last Days of The Space Age

Numero di episodi: 8

Durata: 30 minuti circa ciascuno

Distribuzione: Disney+

Uscita in Italia: 2 ottobre 2024

Genere: Drama

Consigliato a chi: ama le torte a forma di cigno, sa fare buon uso di una regressione lineare, pensa che una scultura si realizzi meglio in due.

Sconsigliato a chi: detesta il cigolio delle porte che sbattono, ha il terrore dei blackout, non conosce il 17° emendamento della Costituzione australiana.

Letture e visioni parallele:

  • Sul sogno di andare lassù: Piero Bianucci, Camminare sulla Luna. Come ci siamo arrivati e come ci torneremo, Giunti editore (2019).

  • Sul lato oscuro dell’oceano: Kim Dwinell, Le ragazze del surf. I misteri di Danger Point, Castoro (2018).

  • Sul senso di colpa dei colonizzatori: High Ground. Il cacciatore di taglie (2020) di Stephen Johnson. Disponibile su Prime Video.

Un’immagine: le ceneri disperse tra le onde.

Una frase: un nero istruito è il più grande incubo di ogni bianco.

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