La serie diretta da Pippo Mezzapesa a partire dal libro di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni Sarah. La ragazza di Avetrana ricostruisce in quattro puntate il terribile delitto della quindicenne Sarah Scazzi nell’estate 2010.
Ciascuno dei quattro capitoli è dedicato ai personaggi di questa storia terribile: Sarah la vittima, Sabrina la cugina che sta scontando l’ergastolo per il suo omicidio, quindi Michele Misseri, lo zio che si è attribuito tutte le colpe ma è stato condannato solo per occultamento di cadavere e infine Cosima Serrano, l’enigmatica zia che secondo la Corte ha condiviso le responsabilità per l’uccisione della nipote.
Sgombriamo subito il campo dalla curiosità morbosa degli appassionati di ricostruzioni truci. L’omicidio di Sarah rimane fuori campo, evocato e mai mostrato, lasciando intatto il dubbio sulle responsabilità e sulle confessioni.
Ai tre sceneggiatori Antonella W. Gaeta, lo stesso Pippo Mezzapesa e Davide Serino (1992, Esterno notte, M – Il figlio del secolo) non interessa avanzare ipotesi alternative, quanto piuttosto distillare da questa tragedia della provincia italiana una serie di elementi che ci raccontano meglio i personaggi di questa storia, i protagonisti e i comprimari, il contesto culturale in cui si inserisce, le reazioni che morbosamente ha suscitato.
Non a caso la serie si apre precipitando lo spettatore all’interno del carnevale, montato ad arte, per soddisfare la morbosità e i peggiori istinti del pubblico televisivo, con la visita guidata in pullman ai luoghi del dolore e lo stuolo di troupe televisive accampate fuori dalla casa dei Misseri, su cui campeggia la scritta con lo spray “Qui non è Hollywood”.
Mezzapesa usa la mano pesante del grottesco per mostrare il volto più famelico e ridicolo della nostra peggior cronaca nera, lasciando poi emergere come unico testimone credibile la giornalista Daniela, interpretata da Anna Ferzetti, la prima a scoprire la sparizione della quindicenne e a dare rilievo nazionale al caso, in un rapporto ambiguo, sempre sul confine tra confidenza e sfruttamento, con i familiari di Sarah.
Eppure la serie di Mezzapesa, prodotta da Matteo Rovere con la sua Groenlandia e distribuita da Disney +, messa tra parentesi la deriva mediatica che portò addirittura ad una celeberrima puntata di Chi l’ha visto in cui il ritrovamento del cadavere di Sarah fu comunicato in diretta alla madre ospite in trasmissione, ha per il resto dei toni molto più complessi e problematici nel tentativo di raccontare gli eventi dai quattro punti di vista diversi.
Le puntate dispari dedicate alla giovanissima vittima e allo zio Michele sono forse le più riuscite. La prima in particolare dipinge il contesto personale e familiare in cui maturò il delitto, tra noia di provincia, piccole gelosie estive, contrasti familiari e una dimensione del rapporto tra i sessi e dell’affettività ancora piuttosto acerba e sbilanciata. La terza invece ha accenti metafisici e ancestrali con lo zio Michele roso dal senso di colpa, dalle voci e dalle visioni di una nipote innocente, da salvare almeno nella vita post mortem.
In queste puntate Mezzapesa dà conto anche della dimensione arcaica di un mezzogiorno ancora superstizioso, retrogrado, diviso tra ossessioni familiari, legame con la Terra e religiosità riempita di simboli vuoti. La madre di Sarah è testimone di Geova e costringe la figlia ad accompagnarla spesso nella sua attività di proselitismo, porta a porta. La zia Cosima e la cugina Sabrina diventano così, in assenza anche del padre e del fratello di Sarah che stanno lontani a Milano, i punti di riferimento obbligati per l’adolescente, che cerca una normalità che la sua famiglia non riesce a darle: una torta di compleanno, una giornata al mare, una serata in birreria.
Solo che in questo contesto apparentemente più ordinario e affettuoso finiscono per emergere codici e regole diremmo quasi tribali, che finiscono per travolgere la piccola Sarah.
L’ossessione amorosa di Sabrina per il macellaio Ivano, l’interesse che quest’ultimo sembra riservare indebitamente a Sarah, l’invidia per il corpo longilineo di quest’ultima, paragonato con quello costantemente appesantito della cugina, la rivelazione di un piccolo segreto imbarazzante, finiscono per montare e apparire episodi intollerabili e ingiustificabili per chi non ha alcuna maturità sentimentale e neppure gli strumenti culturali per affrontare la delusione affettiva.
E’ uno dei temi chiave della nostra contemporaneità che sovente tracima in una violenza di genere che ci appare priva di senso ed evitabile, spesso solo a fuochi finiti.
Più prevedibili invece i ritratti degli episodi pari, dedicati a Sabrina e Cosima, madre e figlia, la prima continuamente desiderosa di quelle attenzioni che la cugina le aveva “rubato” prima in vita e ora anche da vittima, da parte degli abitanti del paese e dalle troupe televisive, la seconda invece impenetrabile nel suo sguardo continuamente basso, nei suoi silenzi ostinati, che cercano di tenere assieme la sua famiglia ristretta, monade ultima di un matriarcato omertoso, anche al prezzo di quella verità e quella solidarietà che assieme al perdono, la sorella Concetta le offre inutilmente più volte.
Notevole il lavoro degli attori principali, da un’irriconoscibile Vanessa Scalera a Giulia Perulli, ingrassata oltre venti chili per il ruolo di Sabrina.
Il lavoro di Mezzapesa e dei suoi sceneggiatori è affilato al punto giusto, onesto con la comunità e rigoroso con i personaggi, lontano da sensazionalisti e ipotesi fantasiose, così come lontano dal linguaggio televisivo del true crime alla Ryan Murphy, per privilegiare una scrittura più personale e autoriale.
Interessante il lavoro sulla colonna sonora diegetica, con Fabri Fibra, Avril Lavigne, gli Aventura e i Queen utilizzati in un paio di momenti decisivi del rapporto tra Sarah e Sabrina.
Per non dire del musicarello di Albano e Romina Power che rapisce l’attenzione di Cosima, dipingendo in un istante il contesto culturale in cui si muovo i personaggi. A Marracash Mezzapesa ha invece affidato la canzone inedita sui titoli di coda, La banalità del male, rinnovando una certa attenzione alla scena pop nazionale, già esplorata con la presenza di Elodie nel suo film precedente.
E’ un peccato che di questa serie si sia parlato sinora solo per un poster di suprema volgarità che non rende giustizia al lavoro dei suoi autori e per la causa intentata dal Sindaco di Avetrana, che ha fatto rimuovere dal titolo il nome del suo comune in via cautelare, con una decisione che ci appare fuori da ogni logica e decisamente ipocrita.
Poco male: pubblicità gratuita e un titolo migliore, che avremmo tenuto peraltro con la approssimativa grafia originale…

Titolo originale: Qui non è Hollywood
Numero di episodi: 4
Durata: 60 minuti l’uno
Distribuzione: Disney +
Uscita in Italia: 30 ottobre 2024
Genere: Crime

