L’elemento da cui partire per raccontare La donna del lago è un grosso e succulento petto di agnello avvolto nella carta. La signora Schwartz lo ha appena acquistato da un macellaio kosher per celebrare il giorno del Ringraziamento. Me ne dia tre… anzi cinque pezzi, perché mio marito invita a pranzo sempre qualcuno. Maddie Schwartz indossa un cappottino immacolato color senape. Arrivata alla sua auto si accorge di una macchia sul vestito. È il sangue dell’animale. Aveva solo sette mesi, ma non si preoccupi, non mancherà a nessuno. Maddie ripensa alle parole del macellaio e avverte un’istintiva simpatia per il povero agnello sacrificato in tenera età. Sarà per il fatto di aver sposato un uomo ricco e influente, appartenente all’élite di Baltimora, che l’ha costretta a vivere in una gabbia dorata fino a renderla estremamente infelice?
Quel rivolo rosso è un problema. Anziché proseguire, Maddie devia e si affaccia alla vetrina di un grande magazzino. Per la prima e ultima volta nella sua vita, la signora Schwartz incrocia lo sguardo di Cleo Sherwood. L’abito che indossa la nera Cleo, modella e manichino vivente, è perfetto. Perfetto per Maddie.
Lady in the Lake, questo il titolo originale, è ispirata al bestseller scritto da Laura Lippman per il New York Times. Alla testa del progetto troviamo l’israeliana Alma Ha’rel, nota per aver diretto videoclip di Beirut, Shearwater e Sigur Rós, qui nelle vesti di showrunner, regista e produttrice. A proposito della produzione esecutiva, spicca il nome, tra gli altri, di Jean-Marc Vallée, sceneggiatore e regista canadese, scomparso nel 2021, che lavorò dietro la macchina da presa nell’ottimo Dallas Buyers Club, nonché in due serie di alto livello, Big Little Lies e Sharp Objects. Un ruolo non indifferente è assegnato alle performance musicali dal vivo curate da Bekon, produttore degli ultimi album di Kendrick Lamar. La colonna sonora è affidata a Marcus Norris, fondatore e leader dell’ensemble South Side Company.
La donna del lago si regge principalmente sulle interpretazioni di due grandi attrici. Natalie Portman, premio Oscar e vincitrice di due Golden Globe, diva impegnata a favore di molte cause sociali, è qui alla sua prima vera esperienza in una serie. Moses Ingram, candidata all’Emmy per The Queen’s Gambit, affianca Portman in un riuscito dualismo attoriale tutto al femminile.
Torniamo a Baltimora, anno 1966. A parte l’episodio ricordato, Maddie e Cleo non si incontrano mai di persona. Lo stesso giorno, durante la parata, scompare una bambina ebrea. La piccola Tessie è la prima vittima di una violenza polimorfa, oscura, individuale non meno che collettiva. Sotto la cenere, la città brucia. La seconda persona a morire sarà la stessa Cleo.
Quello che sembra un thriller classico, in realtà non lo è. La colpevolezza del ragazzo del negozio dei pesci, così come l’apporto della terribile madre nell’omicidio, non sono i temi centrali della serie. La parola da utilizzare, di certo cinica e brutale se si pensa alla cornice di dolore in cui è inserita, è pretesto. A Maddie, casalinga disperatamente alla ricerca di nuovo senso da dare alla propria vita, il delitto altrui serve. Il cadavere di Tessie ricompare ai margini del lago. Assassinata, forse violentata, di certo strappata all’infanzia e al futuro. Nel dramma si inserisce Maddie con incredibile tempismo. Proprio lei scopre il corpo della bambina, al termine di febbrili ricerche che coinvolgono l’intera comunità. Quella sera la signora Schwartz è con la giovane Judith, commessa del banco dei pegni innamorata dei diari di Anaïs Nin e figura un po’ scombinata, una sorta di suo alter ago.
Grazie alle protagoniste vengono scardinate, con esiti quasi sociologici, le dimensioni chiuse delle rispettive comunità. Sarà l’aria di Baltimora a invogliare la realizzazione di esperimenti simili… si ricordi la monumentale The Wire di David Simon. Tuttavia il registro medio de La Donna del Lago è tutto fuorché realistico. La regista Ha’rel affronta con occhi diversi le vicende di Maddie e Cleo. Il racconto non è diretto, bensì sottilmente onirico, perfino lynchiano in alcuni passaggi chiave.
Assioma di fondo: l’America della frontiera kennediana (l’attentato al Presidente è citato) cresce nutrendosi di incubi. Questi incubi si fanno matrice di molti eventi. Vi sono pazzi omicidi, dalla psiche devastata a seguito di esperimenti federali disumani. Vi sono neonazisti di provincia, liberi di organizzarsi e marciare per le strade della città inneggiando a Hitler. Vi sono immigrati europei marchiati a fuoco da un passato non nominabile. E ancora neri pronti a uccidere a sangue freddo fratelli e sorelle nere per il controllo politico del territorio. Infine, vi sono gli ebrei, tanto progressisti negli ideali pubblicamente professati quanto conservatori nei costumi e nelle convinzioni private.
Il maschilismo è il comune nemico che indirizza Maddie e Cleo verso i rispettivi destini. Per Milton Schwartz, la sua graziosa consorte acquista valore solo tra i fornelli. Anche a causa di questa svalutazione continua e costante Maddie va via di casa, abbandonando il prestigioso quartiere alto borghese di Pikesville, per ritrovarsi, con pochi dollari in tasca, senza lavoro e senza telefono fisso, in uno squallido appartamento preso in affitto in una zona di Baltimora mal frequentata. I ricordi di Maddie sono affollati di storie tristi con il genere maschile. Ora è finalmente libera di fare ciò che vuole, di sé e del proprio corpo, compresa una relazione molto hot con un detective nero. Un azzardo, in anni in cui le coppie miste sono ancora illegali. La faticosa conquista di un impiego presso il quotidiano Baltimore Sun è condita da ulteriori bassezze, risatine, mobbing e pacche sul sedere. Quale il suo primo scoop? Forse il segreto nascosto nel cervello di Stephen. Il presunto killer di Tessie risente degli abusi di un’America paranoica.
Per Cleo il maschilismo si manifesta nelle forme di una vita grama. Suo marito Slappy, uno stand-up comedian dalle alterne fortune, non le è di alcun aiuto. Il contesto spinge il figlio adolescente tra le braccia della criminalità di strada. A Cleo non basta un lavoro per mantenere sé e la famiglia. Oltre all’impiego come modella, tiene i conti di un boss locale, Shell Gordon, con ambizioni egemoniche sulla comunità nera. A Baltimora la lotteria clandestina è un business redditizio gestito dalla mafia afroamericana. Scommesse truccate significano soldi facili e sicura rovina per chi si innamora troppo del gioco. La polizia non interviene, sedotta dalle bustarelle. Gordon si serve di un suo figlioccio, Reggie, per gestire gli affari sporchi e far sparire le prove di ogni illecito. L’affare più immorale di tutti conduce al tentato omicidio della senatrice Myrtle Summer, una dei leader dei neri di Baltimora. Cleo si ritrova impigliata nella rete criminale non per colpa sua. Più tardi, con il ritrovamento del suo cadavere, la carriera di Maddie ha una svolta.
Attraverso i consueti mezzi narrativi, in particolare flashback immaginati nei termini di chirurgiche e dolorose (quanto può esserlo un sogno) incursioni nel passato, gli autori ci consentono di ricostruire gli anni dell’infanzia e della gioventù di Cleo. L’amato padre andato via di casa, il legame indissolubile con la cantante jazz Dora, il primo incontro con Slappy dietro le quinte di un palco sul quale lei non salirà per consentire all’amica di brillare di luce propria, l’incarico chiesto a Shell Gordon e, contro le previsioni, ottenuto. Per ogni conquista c’è un prezzo da pagare. Nella serie le donne appaiono maltrattate, bistrattate e derise.
Nessun maschio è esente dal contagio dell’egoismo. Quando Maddie propone al detective Platt di vivere la loro relazione nel segno della massima libertà, consapevole che entrambi sono ormai affrancati dai rispettivi contesti di provenienza (la comunità ebraica e la polizia), riceve una porta in faccia. Esiste solo il matrimonio, così il possesso è garantito. Esiste solo la menzogna, così lo scandalo è evitato.
Natalie Portman affronta la prova con convinzione. Maddie è un personaggio in chiaroscuro, cesellato con intelligenza dall’attrice di origine israeliana. Da un lato c’è la riappropriazione di un mondo che sembrava ormai esserle stato sottratto dalla violenza maschile. La cesura è rappresentata dalla decisione di Maddie di riprendersi il suo cognome da nubile, Morgenstern. Il desiderio di dedicarsi alla “ricerca del meraviglioso” attraverso la scrittura è però un impegno totalizzante, ossessivo, spinto all’estremo. Tu impazzisci per le storie, soprattutto per quelle che fanno più male, le dice il figlio Seth. Maddie, accecata dalla luce della libertà, difetta di tatto e sensibilità verso i soggetti travolti dalle tragedie. La voce fuori campo di Cleo, già morta, accompagna gli sforzi della giornalista, ne smaschera i moventi, ne evoca le intenzioni, instaurando con lei un dialogo impossibile, surreale, fino a un sofferto riconoscimento finale.
Il romanzo di partenza firmato da Laura Lippman, peraltro giornalista dello stesso Baltimore Sun nel quale trova impiego la Maddie della finzione, era dedicato a un fatto di cronaca avvenuto nel 1969, l’omicidio irrisolto della barista Shirley Parker. Il caso non ebbe una grande rilevanza mediatica, a differenza della contemporanea scomparsa di una bambina ebrea di undici anni, Eshter Lebowitz, una vicenda messa in risalto dagli articoli della stampa locale, anche perché sostenuta da ampie manifestazioni di emozione collettiva. Due universi separati e inconciliabili, i neri e i bianchi, trattati con indifferenza o, all’opposto, con zelo. Gli autori hanno puntato soprattutto a rappresentare la storia politica della città. Alma Ha’rel, oltre alle necessarie ricerche documentaristiche, ha dichiarato di essersi avvalsa della consulenza di donne nere di Baltimora, chiamate a discutere di temi “caldi” e di problemi tuttora irrisolti, quali razzismo, integrazione e conflitti tra comunità.
Se qualcosa è posto sull’altare di Lady in the Lake, in posizione di assoluto rilievo, è certamente l’elemento della scrittura, nei termini di apertura, trasformazione e ridefinizione creativa di sé. Nell’esperienza di Maddie, dal valore potenzialmente universale, la scrittura di storie è ciò che riconnette la persona al mondo, ricuce le ferite, fisiche e mentali, e coincide con la coscienza della vita stessa. Grazie alle parole, messe nero su bianco, Maddie resiste, scavando nei fatti, ed insiste, affinché una verità differente affiori dal silenzio. Eppure, la scrittura può essere anche altro, ovvero furto, furbizia, destrezza. Scrivere, talvolta, equivale a rubare, espropriare, insidiare l’intimità di qualcuno. Su questa ambiguità si regge una serie affascinante e imperfetta, suggellata da un sussurro, vero come l’eternità: hai scritto la storia come ti avevo chiesto io.
Titolo originale: Lady in the Lake
Numero di episodi: 7
Durata: un’ora ciascuno
Distribuzione: AppleTv+
Uscita in Italia: 19 luglio – 23 agosto 2024
Genere: Thriller, Drama
Consigliato a chi: si rifiuta di portare il caffè al collega, adora i maccheroni al formaggio, non crede che la fede possa ridare la vista.
Sconsigliato a chi: trova innocenti gli acquari, muore dalla voglia di leggere i diari altrui, aspetta da troppo tempo il numero fortunato.
Letture e visioni parallele:
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“Se paragonato al tentativo di sopravvivere a Baltimora, il basket era una passeggiata”… parola di un campione dell’NBA: Carmelo Anthony (con D. Watkins), Dove non c’è promessa del domani, 66thAnd2nd editore.
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A proposito di matrimoni in terra americana, finiti molto, molto male…: Philip Roth, Ho sposato un comunista, Einaudi.
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L’intervista rilasciata nel 1966 dallo storico leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani al giornalista Ruggero Orlando: Un’ora con Martin Luther King, disponibile su Raiplay.
Un’artista da tenere a mente: Georgia O’Keeffe.

