Under the Bridge: giustizia per una ragazza uccisa senza pietà

Under the Bridge ***

Il 14 novembre 1997, sull’isola di Vancouver, costa sud-occidentale del Canada, accade un fatto destinato a sconvolgere la comunità locale. Tutto inizia con la scomparsa della quattordicenne Reena Virk, uscita di casa la sera prima senza farvi ritorno. La sua permanenza per un breve periodoa Seven Oaks è un dato checondiziona terribilmente il giudizio di chi è chiamato a investigare sulla scomparsa.Seven Oaks è infatti una comunità per adolescenti dal passato complicato, segnate da traumi e allontanate dai rispettivi contesti familiari per una qualche ragione. Reena è prestoincasellata nella categoria delle (tante) ragazze difficili del luogo. Il capo della polizia Roy Bentland gestisce con leggerezza la denuncia dei genitori, Manjit e Suman Virk.Per un uomo bianco in divisa vale l’ipotesi più semplice. Una ragazza di origini indiane, per giunta problematica, non può che reiterare i soliti comportamenti devianti. La scomparsa di Reena, come intuisce invece Cam, la figliadi Royanch’essa poliziotta, non è una fuga epresenta le stigmate dell’evento tragico.

Under the Bridge è una miniserie Hulu ideata da Quinn Shepard e tratta dall’omonimo libro-inchiesta di Rebecca Godfrey, che ricostruì la vicenda fino agli esiti giudiziari. Rebecca, interpretata da Riley Keough (La casa di Jack, Le strade del male, Daisy Jones & The Six), è una scrittrice in crisi d’ispirazione, casualmente ritornata sull’isola natale da New York nei giorni della scomparsa di Reena. A Victoria incontra la sua amante di un tempo, Cam Bentland, l’agente di polizia che insegue la pista giusta contro le indicazioni del padre e contro i preconcetti razzisti di Scott, fratellastro e collega. Per stessa ammissione degli autori, Cam è un personaggio largamente immaginario e sintetizza diverse figure realmente presenti nel caso. L’interpretazione di Lily Gladstone (candidata all’Oscar per Killers of the Flower Moon di Scorsese) è perfetta nei toni e nelle sfumature.

Rebecca e Cam sono attraversate da una comune irrequietezza esistenziale. Rebecca è ossessionata dal fantasma del fratello annegato in mare. Cam, figlia adottiva, cerca la verità sulle proprie origini.Per entrambel’isola rappresenta un sortilegio, per entrambe è necessario pensarsi lontane da lì, altrove. Le ambientazioni di Under the Bridge ricordano un po’ quelle di Ozark, con le insenature marine al posto dei laghi. Paesaggi di grande impatto visivo, foreste, spiagge, scogliere e altre meraviglie naturalistiche non restituiscono mai un senso di pace o di tranquillità. È lo sguardo di Rebecca e Cam a comandare. Negli occhi della scrittrice scorrono le immagini di una vita annebbiata da un insormontabile dolore, in quelli della poliziotta si agitano demoni difficilmente nominabili. Forse, suo padre le ha mentito. Forse, la sua infanzia è stata segnata dalla menzogna. L’indagine su Reena è lo spartiacque tra il regno delle ombre e il tempo delle scelte.

Under the Bridge racconta l’adolescenza peggiore. Josephine e Kelly sono le fondatrici di una piccola gang, le CMC, acronimo di Crip Mafia Cartel. La parodia involontaria (i Crips sono una delle più note e longeve bande criminali di Los Angeles) farebbe quasi sorridere, se non fosse per la piega devastante degli eventi.

Guardarsi le spalle e difendersi reciprocamente: questi i comandamenti di chi abbraccia la vita di strada (“La lealtà è tutto, vivi per la pistola, muori per la pistola”).La formazione di una gang femminile si risolve nell’imitazione del cameratismo maschile più brutale. Il pestaggio del giovane Warren G. ne è modello e testimonianza. Josephine, la bionda leader perennemente imbronciata, manifesta venerazione nei confronti di un personaggio emblematico della mafia americana, il boss John Gotti, per il quale sogna di lavorare. L’ingenuità di Josephine si schianta contro il realismo sanguinario di Kelly. Crudele, psicopatica, forte dell’arroganza che deriva da un contesto familiare privilegiato, Kelly assolve il ruolo di braccio destro di Josephine con disarmante spietatezza.

Under The Bridge eviscera il meccanismo perfetto in cui Reena è incastrata. Un episodio ci mostra l’insediamento della sua famiglia in Canada alla fine degli Anni Settanta. La vita è dura per un immigrato. La nonna di Reena trova conforto nella fede e Manjit, per sposare Suman, rinuncia alla sua. La conversione ai Testimoni di Geova è un passaggio chiave. Sono loro ad offrire ai Virk un sentimento di comunità e di appartenenza (in questo, il multiculturalismo canadese si dimostra fallimentare in termini di integrazione). Le regole danno sicurezza e portano costrizioni. Tra le pareti di casa Reena subisce il peso dei precetti religiosi e incassa umiliazioni, mentre là fuori, come lei sa, il mondo offre altre possibilità. La condizione di adolescenza negata è esemplificata dal divieto impostole dalla madre di radersi le gambe, per nascondere l’insorgente femminilità. I comandi biblici schermano le relazioni, tanto che Suman, a tragedia consumata, dovrà rivelare a sé stessa di non aver mai saputo ascoltare sua figlia.

Per non cadere nel vuoto, la ribellione implica la necessità di un appiglio. Josephine è per Reena un’amica sfuggente, ambigua e inaccessibile. Quando i genitori le propongono di invitare a cena Josephine, Kelly e la terza del gruppo, Dusty, non a torto inquadrate come ragazze pericolose, Reena, seppur con riluttanza, accetta. La serata naufraga nelle incomprensioni. C’è un passaggio significativo sotto l’aspetto narrativo, non meno che simbolico. Senza essere vista, Kelly sale in camera di Reena e apre la gabbia del suo pappagallino per lasciare che voli via. È un segnale e insieme un invito ad evadere da quella casa.

Josephine ha subito molestie dal fidanzato della madre. Kelly ha manifestato tendenze aggressive verso i propri coetanei. Dusty ha puntato un coltello alla gola del fratello più piccolo. A Reena è richiesto, quasi si trattasse di un rito o di una prova di coraggio, di denunciare il padre per percosse e tentata violenza sessuale. L’accusa si rivelerà falsa. Ogni tentativo di entrare a pieno titolo nel gruppo fallisce e Reena si ritrova in una terra di nessuno. Un gesto sacrilego inaugura la discesa agli inferi. La sottrazione dell’agenda di Josephine è un atto eversivo, le voci messe in giro sul suo conto un punto di non ritorno.

Secondo l’antropologo David Graeber, la vittima di bullismo “chiede empatia”, mentre l’aggressore “cerca di rappresentare la reazione della vittima come un pretesto retrospettivo per giustificare la propria iniziale aggressione”. Le dinamiche che portano a una guerra non sono dissimili. L’annullamento dell’altro potrebbe non accadere se vi fosse un terzo in grado di mediare. Purtroppo per Reena questo non succede. In Under the Bridge gli adulti sono assenti, la scuola non funziona, il gruppo amplifica a dismisura l’odio verso il cosiddetto diverso.

Dusty merita un focus a parte. Non essendo considerata del tutto degna appartenere al cerchio magico, Dusty è tenuta in sospeso. Restare ai margini della gang significa misurare le parole, attendere il gesto di assenso del capo, rispettare con diligenza e ossequio gli ordini. Da potenziale alleata di Reena, Dusty mostrerà la propria viltà in quel momento di magica sospensione che precede il sacrificio. Con il procedere delle indagini, sarà preda di un divorante rimorso (“Siamo tutti responsabili”, dirà al processo).Un dettaglio significativo: Dusty è di origini africane, Reena è marcatamente asiatica. Nere, o comunque non bianche. In Under the Bridge il razzismo non è un tema secondario.

Under the Bridge è una serie true crime che non si ferma alla dimensione strettamente poliziesca ed entra in profondità nel cuore di tenebra della rabbia giovanile. Siamo introdotti nei meandri di un’indagine complicata. Nessuno, tranne l’agente Cam, crede all’ipotesi peggiore. Una spessa coltre di non detti e di contraddizioni alimenta un clima di omertà generalizzato. Poi, una prima svolta, grazie a una telecamera puntata verso il Craigflower Bridgee ad alcune sequenze frammentarie avvolte da un senso di orrore. Reena è spinta da decine di ragazzi, maschi e femmine, sotto le arcate del ponte.

Indizi, prove, ritrovamenti. Il velo lentamente si squarcia. Finché, inesorabilmente, affiora dal placido mare di Victoria il corpo straziato della ragazza, assassinata da qualcuno che l’ha inseguita per giustiziarla. Emerge un quadro atroce di violenza declinata al femminile, ma anche di amorale leggerezza e di amorfa complicità tra giovani allo sbando.

Rebecca, che ancor prima della sparizione di Reena vorrebbe scrivere un libro sulle teenager del luogo, conosce Josephine e le altre, poi stringe amicizia con Warren Glowatski, un giovane introverso, disadattato, disorientato, escluso. Con lui la società ha fallito. Rebecca ammette di vedere in Warren il fantasma del fratello morto. Il ragazzo racconta di sé, girando però attorno a quelle parole, troppo difficili da pronunciare, che equivarrebbero a una confessione.

L’indagine si fa pressante. Rebecca commette l’errore di assumere una sola prospettiva e Cam le apre gli occhi. Forse Warren è implicato nell’omicidio. Ha partecipato al pestaggio? È stato un testimone passivo? Oppure ha tentato di fermare, senza successo, la mano omicida che ha spinto la testa della vittima sott’acqua?

Il cast, oltre a Riley Keough e Lily Gladstone, vede la partecipazione del premio Emmy – per The Good Wife – Archie Panjabi (Suman), di Ezra Khan (Manjit) e del cantante Anoop Desai nei panni di Raj, il comprensivo zio di Reena. Tra le giovanissime attrici, Vritika Gupta (Reena), Chloe Guildry (Josephine), Izzy G. (“Killer” Kelly) e Aiyana Goodfellow (Dusty), è difficile individuare chi sia la migliore. Javon Walton, già visto in Euphoria dove interpretava Ashtray, è il fragile Warren G., mentre Isabella Leon è Samara, la sua fidanzata, unica ragazza del giro a mostrare un atteggiamento responsabile.

E se la vera protagonista di Under the Bridge fosse la musica? Nella scena finale vediamo Suman e Manjit entrare nella camera di Reena, sedersi ai bordi del letto e infilare un CD nel lettore. Comprendono troppo tardi quanto le rime di Notorious B.I.G. (la canzone è Kick in the Door)riuscissero a rispecchiare la sofferenza e insieme le speranze della figlia. Nella serie l’hip-hop e il rap anni Novanta, il linguaggio di una generazione, si fanno colonna sonora di un disagio comune. La faida tra la East e la West Coast rimbalza fino all’isola di Victoria e diventa oggetto di imitazione. In onore di un rapper californiano Warren Glowatski contrae il suo cognome. La separazione musicale tra giovani e adulti è evidenziata con zelo didascalico. Il lavoro è accurato. Molti brani “indie” dell’epoca sono inseriti nei passaggi chiave del racconto. Rebecca ascolta Sonic Youth e The Cure.  Altrove spuntano Placebo, Portishead, Cocteau Twins, Elliott Smith…

Kelly brilla per mostruosità, eppure la corte è clemente con lei. I buoni voti a scuola, le solide relazioni sociali, la prospettiva di futuro… argomentazioni utili a motivare una pena di appena cinque anni (in seguito rivista). Diversa è la considerazione riservata a Warren, il reietto, il povero, il rifiuto umano. La serie richiama spesso queste fratture, collegandole idealmente a una vergogna storica di cui Cam è l’esemplare vittima. Vi è un filo rosso, di sangue, che lega il destino delle classi canadesi benestanti (bianche) al genocidio dimenticato, centocinquantamila bambini indigeni strappati alle famiglie, internati in scuole, forzatamente convertiti alla cultura “occidentale”.Nella serie cova un grande dolore inespresso, individuale e collettivo. Dopo la prima sentenza, davanti a sua moglie Suman distrutta dalla depressione, Manjit arriva a dire che “in India non sarebbe successo”. Under the Bridge insegna anche questo: una vicenda di orribile violenza privata può rivelare la traiettoria di una società, la tenuta di un sistema e l’esatta configurazione dei rapporti di potere.

Titolo originale: Under The Bridge

Numero di episodi: 8

Durata:35 – 50 minuti l’uno

Distribuzione: Disney+

Uscita in Italia: 10 luglio2024

Genere: True Crime, Drama

Consigliato a chi:porta la foto del suo grande amore appesa al collo,ha indossato il completo di un’altra persona.

Sconsigliato a chi: ha bevuto un sorso di troppo dalla bottiglia sbagliata,preferisce chiudere a chiave la porta della sua stanza.

Letture parallele:

  • Dal bullismo all’invasione aliena il passo è breve. Un graphic novel acclamato come un capolavoro: Rambo Pavone, Pamma, Coconino Press (2023).
  • Della grande scrittrice canadese Margaret Atwood, due libri entrambi pubblicati dalla casa editricePonte alle Grazie: Lesioni personali (2021) e Vecchi bambini perduti nel bosco (2023).

Un numero: 187.

Una frase: “Il giorno in cui si muore è più importante del giorno in cui si nasce” (Suman).

E tu, cosa ne pensi?

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.