Stranger Eyes

Stranger Eyes **

Il primo film di Singapore in concorso a Venezia è un thriller antonioniano con l’ossessione per il controllo e il voyerismo di uomini e autorità.

Quando la piccola Bo scompare, i genitori Junyang e Peiying cadono nella disperazione: la polizia non è d’aiuto, i manifesti non producono risultati e l’analisi ossessiva di video registrati con la figlia non porta a nulla.

Un giorno sotto la porta un misterioso vicino, Wu, lascia un dvd con immagini della figlia. E così per molti giorni a seguire.

Wu pedinava e riprendeva ossessivamente Peiyang da molto tempo. Ma lui non sa nulla della scomparsa della piccola…

Il film di Yeo Siew Hua è un melò in due tempi che sembra durare in eterno. Quando infatti termina, con una volta francamente modesta, la ricerca della piccola Bo comincia un altro film, che vede coinvolti Junyang, Wu e la figlia ormai adulta di quest’ultimo. La povera Bo, persa e ritrovata finisce subito nel dimenticatoio.

Stranger Eyes avrebbe anche qualche riflessione non banale sulla nostra epoca della sorveglianza e del controllo, sulla distanza che possiamo mettere in ogni relazione umana, tenendo a distanza l’oggetto del desiderio, trasformato in pura ossessione scopica.

Ci sono evidentemente echi del lavoro di Hitchcock, filtrati da sensibilità e tecnologie moderne.  Solo che Yeo Siew Hua sembra interessato in fondo solo alla deriva melò delle sue storie, alla messa in scena di questi uomini soli che non riescono più neppure a comunicare e si limitano a pedinare, scrutare, osservare, pensando di non essere visti.

Il film ripete lo stesso percorso due volte e grazie al cielo c’è Lee Kang-sheng ne ruolo del Sig. Wu, a restituire un po’ di febbrile tensione al suo oscuro peregrinare. Tuttavia la scelta impeccabile e feconda non riesce da sola a occultare i limiti di un film che non funziona mai davvero come dispositivo di genere, è timido nella sua dimensione politica e narrativamente fragile e irrisolto.

 

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