Il secondo lungometraggio di Maura Delpero, dopo Maternal, presentato a Locarno nel 2019, è immerso nel paesaggio e nella vita autentica di un piccolissimo villaggio di una valle trentina, Vermiglio appunto.
Qui vive la famiglia Graziadei: il padre Cesare è maestro di scuola in una classe che ospita studenti di età diverse, strappandoli all’analfabetismo e al dialetto.
Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale in un maso a Vermiglio si sono rifugiati due disertori: Attilio che è nato in quella valle e il siciliano Pietro che gli ha salvato la vita. Lucia, la più grande dei Graziadei, si innamora dello straniero, che frequenta le classi del maestro e che comincia scrivere piccoli messaggi d’amore alla ragazza.
I due si sposano, lei rimane incinta, ma arriva il 25 aprile della Liberazione: il ritorno a casa di Pietro in Sicilia si prolunga però in modo sospetto. Il giornale risolverà le angosce di Lucia, precipitandola in uno stato di malinconia senza fine.
Nel frattempo la vita attorno a lei segue l’andamento immutabile delle stagioni: un fratellino muore, la madre è ancora incinta, il padre Cesare decide che la figlia che potrà studiare è la piccola Flavia, mentre gli altri resteranno in Paese ad aiutare la famiglia.
Un’altra sorella, Ada, finirà in convento: la voce del Signore per lei è solo una condanna a penitenze sempre più vergognose per i suoi piccoli e innocui peccati.
Il racconto fuori dal tempo di Maura Delpero respira l’autenticità del cinema più puro di Ermanno Olmi: le vicende degli uomini sono parentesi infelici strappate al destino di una terra ostile, su cui la neve cade copiosa nei lunghi mesi invernali.
In questo piccolo mondo distante i bambini muoiono ancora improvvisamente e senza motivo, la guerra resta un’eco lontana ma sempre presente nelle famiglie di chi è partito, il grande focolare domestico arde di desideri impossibili.
La scuola e lo studio sono un beneficio per pochi, per gli altri restano il conforto della musica – cibo dell’anima – le immagini di qualche atlante colorato e i racconti di chi è partito per il sudamerica.
Vermiglio è capace di ricostruire con un pudore e una sensibilità rari un intero universo narrativo lontano da ogni stereotipo, profondamente ancorato alla realtà e alla storia del nostro Paese.
Nella semplicità più assoluta il film trova una profondità di sguardo rara nel cinema italiano. La stessa costruzione delle scene segue un ritmo governato da una musica interiore. Chopin e Vivaldi impreziosiscono di senso una colonna sonora quasi tutta diegetica. Anche perché la musica è l’unico lusso che Cesare si può permettere.
Vermiglio è un film che racconta le radici di una generazione perduta meno di un secolo fa e che si è affacciata solo di rado alla ribalta del nostro cinema.
La bellezza cristallina dello sguardo di Delpero consente di entrare nella trama del film ad attori teatrali formidabili come Tommaso Ragno, accanto ad esordienti assoluti, in un rapporto di feconda sinergia creativa. Al suo racconto bastano pochi frammenti, capaci di evocare desideri e sentimenti in modo straordinario: la gonna che cade dietro un armadio, una mano che si poggia su un’altra, una puntina che si insinua nei solchi di un disco, un biglietto che passa di mano in mano, assieme a una piuma.
Limpido, materico, profondamente morale, Vermiglio è una delle soprese più belle di questa Venezia 81.
Imperdibile.


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